Fifteenth chapter

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15.

JPOV
Dopo aver passato tutto il giorno bloccato nell'attico, chiamai l'autista per farmi portare al rancio. Non ero in grado di guidare, la testa mi pulsava e mi sentivo debole. Avevo fatto alcune telefonate, e avevo scoperto che Hannah stava in un lussuoso albergo. Be', speravo che le sue lenzuola fossero confortevoli. Il che mi fece inumidire gli occhi.

Prima o poi saremmo giunti ad un accordo. Io le avrei comprato una bella casa, e avrei acquistato ogni cosa per il bambino. Anche se sarebbe stato addirittura peggio, essere così vicino a lei, senza averla. A causa della mie debolezza, della mia colpa.

Avrei voluto aprirmi la testa per tirarne fuori il cervello. Ripararlo, o cambiarlo. Lo detestavo. Odiavo la sensazione di essere intrappolato, limitato.

E detestavo anche di più essere senza di lei, perché avevo la sensazione che mi mancasse una parte di me stesso. Qualcosa era cambiato da quando Hannah era tornata nella mia vita. Non ero più l'uomo arrogante ed egoista che ero stato un tempo, anzi, non riuscivo neppure a credere di essere stato così. Di colpo realizzai che quell'uomo non era comunque ciò di cui lei aveva bisogno.

Lasciai l'appartamento e scesi in strada, salendo a bordo della macchina che attendeva accanto al marciapiede. Piegai la testa all'indietro senza neppure guardare mentre la vettura partiva. Sentivo la testa pulsare, ma a mano a mano che mi allontanavo dalla città mi sembrò che la situazione migliorasse, anche se il cuore mi batteva forte. Per la prima volta aprii gli occhi e mi scontrai con gli occhi azzurri nello specchietto retrovisore.

«Sono stato rapito?» domandai, la mia voce che mi sembrava estranea persino a me.

«Rapito è una parola forte» rispose. «Preferisco pensare che sei stato requisito.»

«C'è differenza?»

«Un po'.»

Lo stomaco mi si contrasse. «Che cosa vuoi, querida

«Io? Che mi ascolti onestamente, senza saltare a decidere come devono andare le cose. O non ti ricordi che un matrimonio è una società?»

«Credevo di avere deciso che non abbiamo un matrimonio.»

«Sì, bene, io non sono d'accordo. E se posso rammentartelo, quando stavo per sposare un altro, neppure tu eri d'accordo. Mi hai detto che eravamo ancora sposati e che questa era una fortuna. Quindi, pensa un po', Justin? Noi siamo sposati. Che colpo di fortuna! Questo significa che ne dobbiamo parlare e che non puoi limitarti a dare ordini.»

«Che ne hai fatto del mio autista?» domandai.

«L'ho pagato e l'ho mandato via. Sono molto ricca, sai, e persuasiva.»

«Hannah...»

«Torniamo al punto» disse lei, entrando in una strada di campagna e spegnendo il motore tra i campi. Scese e girò intorno all'auto, andando ad aprire la mia portiera. «Come stavo dicendo, non puoi prendere tu tutte le decisioni nella nostra società. Anche io voglio dire qualcosa.» Mi si inginocchiò di fronte. «Sono un tipo difficile con cui vivere, a volte. Sono testarda, e posso essere materialista, ed egoista. Fino a poco tempo fa avevo paura di dovermi prendere cura di qualcuno. Paura di non saper controllare le mie emozioni, i miei sentimenti. Ma adesso non più. Ed è a causa tua che non ho più paura.»

La mia bocca era secca. «E come... come ho fatto a farti superare la paura?»

«Perché mi hai accettato. Non importava da dove venivo o cosa avevo detto, tu non mi hai permesso di mandarti via. Non mi hai fatto vergognare di quello che avevo fatto, delle mie paure. Tu sei stato... là. Nessuno, in tutta la mia vita, mi ha accettato per quello che sono, né mi ha aiutato. Tu sì, invece. Tu l'hai fatto.»

A game of vows. ↠ Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora