La mia fu un'infanzia abbastanza spensierata, fino ad un certo punto però.
Ora vi racconto.Dalle coccole e i vizi dell'asilo nido passai come chiunque altro alle elementari, preciso, come chiunque altro bambino proveniente da una famiglia che allora poteva permettersi di far frequentare i propri figli una scuola privata a pagamento. Tutta un'altra storia rispetto alla pubblica, i miei nemmeno si sognavano l'idea che io, la principessa di casa, potessi confondermi con soggetti di rilievo sociale più basso. Volevano solo il meglio per me.
Il primo giorno di scuola, approfittando dell'evento e del fatto che papà aveva il turno nel pomeriggio a lavoro, ci incamminammo tutti e tre, come una famiglia felice, verso la scuola. Negli anni precedenti non era mai capitato, ci muovevamo sempre con l'auto. Ero felice ed emozionata per la destinazione del viaggio ma insieme a questa ancor di più per il fatto di percorrere strade mai viste, i vicoli che attraversammo mi erano completamente nuovi. Osservavo tutto sorprendendomi della minima cosa, anche il cielo in quel'angolo di città mi sembrava diverso dal solito, l'aria che respiravo era differente, frizzante. Mi godevo tutto questo in silenzio con gli occhi sgranati saltellando a destra e a sinistra facendomi rimbalzare sulle spalle le trecce color miele.
Poi le strade si fecero più strette e il mio entusiasmo si smorzò capendo al volo le battute che si scambiavano i miei genitori, su come fosse poco rassicurante il quartiere nel quale stavamo camminando, e della promessa di cambiare strada facendo il giro largo la prossima volta.
Non ero ancora capace di capire il vero significato delle loro parole, ma le sensazioni che mi giungevano non mi andavano del tutto a genio, così decisi di velocizzare e di pormi a pochi passi davanti a loro, in modo da non sentire i solo aspri commenti.
-Nicole non ti allontanare troppo, stai vicina a noi- mamma cercò con una mano di riavvicinarmi, ma le sfuggii. Subito dopo dalla mia destra, più precisamente dal cancelletto della piccola casa che costeggiava il marciapiede sul quale mi trovavo, qualcuno uscì di corsa senza destare attenzione a chi avrebbe potuto trovarsi davanti, e infatti questo mi urtò, non mi diede neanche il tempo di capire, che mi ritrovai a terra.
Nell'aria svolazzavano fogli di quaderno a quadretti. Per un breve momento li vidi fermi nel cielo, come se il tempo si fosse fermato e io ne avessi avuto quanto ne volevo per capire realmente cosa stesse succedendo.
Non ero l'unica con il sedere a terra, un bambino, l'autore dell'incidente, era finito proprio su di me, mi sovrastava bloccandomi il respiro, ma prima di potermene accorgere lo guardai bene. Aveva un viso paffuto dalle guance rosate e degli occhioni verdi che mi osservano terrorizzati.
Poi il tempo riprese a scorrere, i fogli caddero al suolo come foglie autunnali e il bambino venne rialzato e rimosso dal mio corpicino da un uomo che si trovava dietro di lui. Immediatamente anch'io venni aiutata a rimettermi in piedi.
-Amore ti sei fatta male? Hai battuto la testa?- Mi chiese preoccupata mamma che tastava ogni superficie del mio corpo in cerca di ogni possibile ferita o contusione.
-No, mamma- facevo di no, con la testa, non mi ero fatta niente.
-Mi dispiace signori, perdonate mio figlio- L'uomo cercava di scusarsi, imbarazzato, mentre il bambino si nascondeva dietro le sue gambe lunghe, e ne tirava il tessuto -Oh!- d'un tratto sembra pietrificarsi alla vista di mio padre, si tira giù il cappello, un basco color verde militare, in segno di rispetto tenendo il capo basso -Signor Gould, mi scusi non l'avevo riconosciuta, mi perdoni davvero, mio figlio non l'ha fatto apposta.
Se mio padre non lo avesse fermato ponendo una mano sulla sua spalla avrebbe sicuramente continuato le sue suppliche.
-Ho il piacere di trovare davanti un dipendente della mia azienda, giusto?- chiese cordialmente mio padre. Il bambino pian piano usciva allo scoperto e guardava verso la mia direzione curioso, senza distogliere lo sguardo anche quando si accorse che stavo facendo anch'io la stessa cosa.
-Sì, settore 4C, seriamente mi deve scusare, la bambina sta bene?
-Mia figlia sta bene, a quanto pare- mi guardò per assicurarsene - non si preoccupi, è stato un incidente.
I due si salutarono formalmente con una stretta di mano, quella sicura e altezzosa di mio padre e quella tremolante e mortificata dell'altro, un cenno del capo di mia madre, e ognuno per la propria strada.
-Come già detto prima, Camille, questa è l'ultima volta che passiamo da qui.
Poco dopo arrivammo a scuola, mamma mi lasciò entrare, tra le lacrime di commozione, arrivai per ultima, dato l'inconveniente, e l'unico posto a sedere era quello in fondo all'aula, accanto ad un'altra bambina. I miei genitori mi avevano espressamente raccomandato di sedermi tra i primi banchi, io modo da poter prestare maggiore attenzione alla lezione, ma purtroppo non ebbi scelta.
-Ciao, come ti chiami?- mi chiese la mia compagna di banco, aveva dei capelli lisci scuri e degli occhi azzurri mozzafiato.
-Sono Nicole, tu?- risposi timida, intimorita dai suoi occhioni, non davo molta confidenza alla gente che non conoscevo, a differenza dell'altra bambina che appariva piuttosto estroversa.
-Io sono Corinne, piacere!
Ma presto imparai a sciogliermi, perché quello divenne il mio banco fisso, e lei la mia migliore amica, l'unica che non si sentiva troppo snob da non sentirsela a giocare a campana per strada, o ad acchiapparella. Insomma, Corinne era l'unica con cui mi divertivo sul serio, per questo diventammo praticamente inseparabili. Non aveva la stessa visione distorta del mondo degli altri miei compagni di classe, e non vedeva spazzatura tutto quello che c'era al di fuori del nostro quartiere, come i miei genitori.
Gli anni andarono avanti e ci ritrovammo all'ultimo anno delle elementari, eravamo così amiche che ci eravamo create dei braccialetti uguali, fatti con fili intrecciati e colorati, che noi nominammo simbolo del nostro legame, che non doveva assolutamente finire, per nessuna ragione.
Ci vedevamo la mattina a scuola, e il pomeriggio dopo aver studiato ci davamo incontro o a casa mia o nella sua, dove giocavamo fino all'orario di cena, molto spesso capitava anche di dormire insieme, organizzavamo dei veri e propri pigiama party, dove a festeggiare però eravamo solo noi.
Non avevamo nessun altra amica stretta, perché il resto della gente non si trovava bene con noi, eravamo così unite da non accettare nessun altro, stavamo bene così, l'una gelosa dell'altra, ci bastavamo a vicenda.
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Con un cuore di carta
خيال علميL'amore, lo sanno tutti, riesce a farti del bene, ma talvolta è capace anche a ferirti, farti male. L'amore che ho provato è diverso, perché noi siamo diversi. Io volevo amare ardentemente, ma fino a che punto ci si può spingere per amore? Ma quant...