7. A casa

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Quella mattina mi svegliai prima del solito, dei rumori poco consuetudinari fecero capolino alle mie orecchie obbligandomi ad alzarmi. Stropicciai gli occhi assonnati e strisciando i piedi girai per casa per capire cosa stesse succedendo. La casa non era mai stata così affollata, degli uomini corpulenti in salopette di jeans facevano avanti e indietro trasportando alcuni mobili, seguii i loro movimenti rischiando più volte di essere travolta.

-Già sveglia?- mia madre teneva in mano una valigia stracolma.

-Cosa sta succedendo?- chiesi incredula –Perché stanno portando via le nostre cose? E queste valige?- indicai un angolo dove ne erano depositate diverse e che avevo notato solo dopo.

-Ma come, non era quello che volevi?

Immediatamente ripensai alla discussione del giorno prima, e no, non poteva davvero essere vero. Mi avevano chiesto cosa potevano fare per rendermi felice, cosa volevo, e io lo avevo detto, ma mai avrei immaginato che avessero accolto così la mia richiesta.

-Non ci credo, stiamo davvero...?- non riuscivo a dirlo.

-Andiamo a casa tesoro- avanzò verso di me lasciandomi una carezza sul viso per poi andare avanti lasciandomi da sola.

-A casa- sussurrai.

Non è così che mi aspettavo di ricevere una notizia del genere, stavo per tornare a casa, la mia vera casa. Riamasi qualche minuto immobile a centro di abitazione mentre tutto mi girava a torno incapace di dire qualcosa o elaborare un pensiero, anche il più elementare. Dire che non me lo aspettavo è poco, mai avrei pensato che i miei genitori, conoscendoli, sarebbero stati in grado di prendere una decisione del genere, delicata, in così poco tempo, per me poi. Rimasi spiazzata.

-Cosa fai ancora qua, vai a sistemare le tue cose- mamma mi scosse facendomi tornare nel mondo dei vivi, scrollai la testa e di corsa mi precipitai in camera. Non mi sentivo così felice da tempo immemore, sentivo l'adrenalina scorrere nelle vene, tanto che feci tutto alla velocità della luce.

In poco tempo fu tutto pronto, erano le quattro del pomeriggio e tutti i membri della mia famiglia erano sistemati nei sedili del treno. Destinazione: Jacksonville.

Avevo insistito nel sedermi al lato del finestrino, per osservare quelle terre che avevo dimenticato, e che attraversandole mi avrebbero riportato nello scenario della mia vecchia vita.

Durante il viaggio parlammo dei dettagli, ci saremmo ritrasferiti nella nostra precedente casa, un'agenzia di pulizie la mattina aveva già provveduto a pulirla e sistemarla, rimaneva soltanto da sistemare alcuni mobili e gli affetti personali. In poco tempo tutto sarebbe tornato come una volta, sarei stata libera di respirare l'aria della mia città, guardare la gente del mio quartiere, scendere in giardino, rivedere la mia amica, non vedevo l'ora.

Ma cosa più importante, e che solo dopo alcune pressioni da parte mia, la resistenza dei miei ha ceduto permettendomi di poter abbandonare la signora uccello e tornare a scuola.

Avrei ricominciato da capo.

Avrei ripreso gli studi, Avrei finalmente avuto un motivo per alzarmi dal letto la mattina, uscire di casa, vedere gente, la cosa in parte mi spaventava, ma la parte gioiosa di me stava riprendendo vita, e in quel momento prevaleva sull'altra. Io a scuola, non ricordavo nemmeno più come ci si comportava tra i banchi di una classe. Sarei stata catapultata in una realtà a me totalmente sconosciuta. Avrei vissuto la routine propria di una qualunque ragazza della mia età. Sapevo che sarebbe stato difficile, soprattutto all'inizio, speravo che sarebbe stata solo una questione di abitudine. Non sarei stata sola, fui inserita nella stessa classe di Corinne, e la cosa mi rincuorava tantissimo, avrei avuto una guida, mi avrebbe aiutata ad integrarmi, ma cosa più importante avrei potuto ricominciare a vederla, la mia migliore amica.

C'era stato un periodo in cui ero straconvinta che il nostro rapporto era definitamente finito, un rapporto epistolare non può essere considerato un'amicizia autentica. Due amiche hanno bisogno di vedersi, confrontarsi e avere per lo meno qualcosa in comune. Grazie a questa grandissima opportunità avrei potuto riprendere in mano la situazione, ricominciare a coltivare un rapporto che consideravo essenziale per me. Non vedevo l'ora di rivederla.

Casa era esattamente come la ricordavo, grande ed imponente, non un dettaglio diverso, mi sembrava di esser tornata indietro nel tempo, e invece no, ero realmente là. Mi sentivo già meglio.

Durante la sistemazione generale non potevo non fare caso alle occhiate compiaciute tra mamma e papà, come se vedermi sorridere fosse il giusto ripago dello sforzo sovrumano che avevano compiuto con questo improvviso trasferimento.

Comunque tutti un po' furono avvantaggiati. Papà si trovava più vicino all'azienda, potendo così avere un controllo più diretto sui lavori, cosa a cui aveva rinunciato accontentandosi di viaggiare e avere contatti a distanza. Mamma invece era contenta per il semplice fatto che la vecchia villa circondata di verde era preferita rispetto al palazzo immerso dallo smog della città. Aurora forse sarebbe stata quella che ne avrebbe sofferto di più, ad Orlando lasciava i suoi compagni di classe e la sala da danza, ma queste erano solo mie preoccupazioni, più volte tranquillizzate dalla mia stessa sorellina che si fece vedere più che entusiasta a cambiare casa e avere nuovi amici. La danza non l'avrebbe comunque abbandonata, si sarebbe iscritta nella palestra che frequentavo io una volta.

Tutti furono più o meno accontentati. Nessuno ne risultò ferito in qualche modo. E questo per me era l'importante. Ora dovevo solo concentrarmi a quello che ne sarebbe stato della mia vita lì. La mia principale preoccupazione era la scuola, dopo aver intrapreso, a casa, un colloquio di fronte a un dirigente scolastico per accertare le mie attitudini e idoneità varie per poter effettivamente frequentare, mi fu comunicato il giorno in cui avrei potuto andare a lezione, fissato esattamente una settimana dopo il mio arrivo in città. Avevo il tempo necessario per riambientarmi, cosa poco complicata, e organizzarmi per quanto riguarda il materiale scolastico e tutto ciò che mi sarebbe servito.

Mancava un giorno al grande debutto a scuola, non conoscevo il plesso né niente, ero totalmente impreparata, Corinne tramite telefonata aveva cercato di spiegarmi più o meno cosa mi aspettava, ma la sua euforia non mi permise di capire bene, uscii da quella conversazione più confusa di prima, e un senso di ansia fece presa nel mio stomaco.

Non mancarono durante queste giornate le raccomandazioni di tipo medico da parte dei miei. Era ormai chiaro che non avrei potuto essere sottoposta a sforzi di alcun tipo, l'educazione fisica per me era altamente vietata, avevo già tutti i permessi e i professori erano al corrente del mio stato, mi avrebbero trattato con i guanti, riservandomi particolari attenzioni, dato che la mia sensibilità fisica è strettamente connessa a quella morale. Ero intoccabile. E questo mi creava disagio, avevo paura che essere vista con occhio diverso avrebbe potuto compromettere eventuali rapporti con i miei futuri compagni di scuola, o peggio mi avrebbero vista male, considerandomi un elemento da evitare. Ma diversamente da così non si poteva fare, era già tanto che mi avessero permesso di frequentare una scuola pubblica e non una privata, a detta dei miei genitori "più adeguata" alle mie esigenze.

Quella notte non dormii, troppo emozionata, tenevo lo sguardo fisso sull'orologio attaccato alla parete di fronte a me osservando ogni minimo spostamento delle lancette, in attesa che arrivasse il momento di alzarsi e iniziare questa nuova esperienza.

Con un cuore di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora