Era un pomeriggio nuvoloso ed io me ne stavo rannicchiata come molte volte nel divano del salotto dell'appartamento, la mia coperta di lana morbida mi proteggeva infallibilmente dal freddo, e un libro raccattato dalla mia libreria mi teneva la giusta compagnia. "Ragione e Sentimento" di Jane Austen, un romanzo risalente all'inizio dell'ottocento, certamente non la mia prima scelta letteraria, ma in tutti questi anni avevo letto così tanti libri che dovevo per forza allargare i miei orizzonti e non rifiutare niente, non mi rimaneva davvero più nulla da leggere. Poco tempo prima mai avrei immaginato di stare così bene tra le pagine di un libro, non ero il tipo, ma lo sono diventato necessariamente. Io sarei stata più il genere di persona che le avventure se le creava, partendo, esplorando, ma le circostanze mi portarono ad osservarle da lontano, queste avventure, che poi non erano neanche le mie. Mi faceva rabbia osservare le vite degli altri, così piene, e non poter fare niente per la mia, così piatta. Zero effetti speciali, zero colpi di scena, tutto scontato e ripetitivo.
Dalla porta d'ingresso fece la sua entrata Aurora che in tutta la sua allegria ruppe il rigido silenzio di casa. Con ancora lo zaino più grande di lei sulle spalle salutò mamma e papà, ben sistemati ognuno di essi nei lati opposti del tavolo da pranzo. Essendo le due stanze, il mio salotto e quella dove era stanziato il resto della famiglia, comunicanti, riuscivamo a vederci e sentirci a vicenda. I miei accolsero la figlia minore con entusiasmo, lasciando quello che stavano facendo, il giornale di papà venne chiuso, e il maglione con una sola manica, attaccato ad un gomitolo giallo, messo di lato.
-Tesoro com'è andata a scuola?
Ed è così che iniziava il solito lunghissimo elenco di tutte le emozionanti cose fatte, una sfilza di ottimi voti, nel mezzo c'era anche un insufficienza, ma avrebbe recuperato, nulla di grave, i dinamici giochi durante le pause, la treccia a spina di pesce che era riuscita a fare alla sua compagnetta senza alcuna difficoltà, o la spaccata a freddo nel cortile di scuola lasciando a bocca aperta il resto dei bambini, tutte piccole cose che però mentre le raccontava la facevano sentire grande. Sorridevo da lontano nel sentirla parlare senza staccare gli occhi dal libro.
-Adesso voglio sapere com'è stata la giornata di tutti voi- Si scrollò di dosso il macigno comunemente chiamato cartella e si sedette arrampicandosi su una sedia sulla superficie del tavolo, si beccò un'occhiataccia da papà, ma il suo sorriso innocente lo fece addolcire, cominciò a parlare della sua mattinata di lavoro.
-E c'è questo nuovo prodotto che sono sicuro farà la differenza nel mercato, la concorrenza sarà obbligata a mettersi di lato, credo in questo progetto, i miei migliori dipendenti ci stanno lavorando su da mesi ormai, e vedrete sarà...- Mi perdo nel suo discorso non capendo di preciso di cosa stesse parlando, e da qualche sbadiglio in lontananza capisco di non essere l'unica.
-E tu mamma?- chiese non preoccupandosi se papà avesse realmente finito, a quanto pare no, l'espressione confusa che fece immediatamente dopo parlò al posto suo.
-Ma niente di che, sono passata al mercato con due amiche, in merceria ho comprato un sacco di materiale tra cui delle stoffe raffinatissime, a fine settimana ci sarà una festa, l'abito ce l'ho, ma un scialle in pandan non l'ho proprio trovato, così me lo faccio io, lo comincerò non appena finisco questo maglioncino per papà, a proposito ti piace?
-E tu Nicole? Tu che hai fatto?- si gira verso la mia direzione mostrandomi il suo miglior sorriso, che nonostante i denti asimmetrici e la finestrella tra i due incisivi illuminava tutta la stanza, ed io che ero posta in quell'angolo buio della casa, ne fui presa alla sprovvista. Insieme a lei si voltarono anche gli altri, a differenza della prima però il loro viso mostrava preoccupazione e imbarazzo.
Aurora era piccola e si scordava delle cose molto facilmente, lei vedeva la vita a colori, e non ci trovava niente di male a chiedere della giornata a una che sta tutto il giorno sdraiata, non potendo di fatto far assolutamente niente, e che di conseguenza vede tutto sulla scala dei grigi, proprio come le pagine che abitualmente sfogliava, altro che colori, quelli li avevo dimenticati da tempo.
Rimasi a fissare mia sorella per un tempo troppo lungo, il suo sorriso si spense, abbassò leggermente il capo evitando il mio contatto visivo rendendosi solo dopo conto della sua ingenuità. Mamma le mise una mano sulla spalla per tranquillizzarla mentre si scambiava delle occhiate tristi con il marito. Avevano smesso di guardarmi, e impacciatamente cercarono di ritornare alle loro precedenti attività, chi riprese il giornale cercando con difficoltà il rigo che aveva lasciato incompleto, chi riprese in mano gli uncinetti facendoseli scappare dalle dita più di una volta. Aurora era invece posta a metà, indecisa se lasciar stare come fecero tutti, o pronunciarsi per rimediare alla cosa. Le sue labbra sottili stavano per dire il solito ed inutile "scusa", ma prima che potesse completare la parola, che ero stanca di sentire, e che non aveva un senso, scostai dalle mie gambe la coperta alzandomi in piedi.
Il gesto improvviso catturò l'attenzione di tutti i presenti.
-Niente.
Indossavo la camicia di notte nonostante fuori ci fosse il sole, e stringevo al mio petto il libro, inchiodando i miei occhi in quelli degli altri, e quello bastò a farli gelare sul posto.
-Come al solito, niente- La presa sulla copertina di "Ragione e sentimento" si fece più forte, facendomi sbiancare le nocche –Ho solo...- agitai impercettibilmente in aria il libro, poi sbuffai, lanciandolo a terra, probabilmente colpii qualcosa, rompendolo, perché il rumore che venne fuori fece saltare tutti sul posto, tranne me che mi allontanai dalla stanza il più velocemente possibile, senza voltarmi.
Raggiunsi la mia camera, poi la mia finestra, era chiusa, un senso di soffocamento mi prese, mi precipitai così a scostare le tende, i primi raggi di luce attraverso le tapparelle fecero la loro comparsa, inondandomi totalmente quando venne il momento di spalancare le ante. Sentii gli occhi bruciarmi, ma mi sforzai a tenerli aperti, ignorando anche il vento che mi colpiva il viso facendo oscillare le onde dei miei capelli, e regalandomi una sensazione che per poco, solo per poco, mi fece sentire bene.
E bastò così poco per farmi capire definitivamente che io lì non volevo più starci.
-Che succede Nicole?- la voce grave e seria di mio padre mi fece tornare alla realtà.
-Pensavo l'avessi capito, niente, non succede proprio niente, è questo il problema.
Si sedette ai piedi del mio letto disordinato e vi poggiò sopra il libro di poco prima, io restai alzata lasciando che il sole proveniente dalla finestra mi riscaldasse la schiena.
-Questo non va più bene?- batté una mano sulla copertina malandata.
-Non va più bene da tempo- confessai con un nodo in gola. Finora avevo sempre dato l'impressione che andasse tutto bene, che fossi tranquilla, e che chiudermi nei miei libri mi bastasse, ma non era più così.
-I libri ti hanno stancata? E il tuo diario, anche quello non va bene?
-E' il diario che si è stancato di me- ormai è solo una raccolta di lamenti.
-Cosa posso fare? Se vuoi esco subito, ti compro un cucciolo, uno di quelli carini, sono sicuro riuscirà...
-No papà- lo fermo in tempo ponendo una mano avanti prima che si mettesse a giurarmi di portarmi il mondo intero, non volevo niente di ciò, io il mondo lo volevo vedere, fuori. –Non devi comprarmi niente, non serve.
-Cosa vuoi allora, cosa posso fare per renderti felice?
-Mi sto ammalando.
La mia frase lo lasciò visibilmente interdetto, a suo pensiero avevo evidenziato l'ovvio, ero malata, questo lo sapeva, lo sapevano tutti. Ma non aveva capito in che senso.
–Nicole, io...-Sì, so di essere già malata, il mio cuore, sono debole, ho rischiato la morte un sacco di volte- abbassò lo sguardo – il mio corpo è andato, lo so. Ma questa- indicai la mia fronte, tampinandola di manate –questa fisicamente non ha niente che non va, eppure sento che sta lentamente andando verso l'oblio, sto cadendo in depressione papà, mi sento impazzire, ogni giorno sempre di più, non ce la faccio, non ce la faccio più- Gli occhi mi si riempirono automaticamente di lacrime.
Uno scricchiolio mi fece volgere lo sguardo alla porta da dove spuntò fuori mia mamma che con le guance bagnate mi venne incontro per abbracciarmi. Papà non riuscì a dire niente, si limitò a fissare il pavimento.
-Amore mio dicci come rimediare, non riesco più a vederti in questa maniera, ci sarà un modo, qualcosa che potremmo fare, parlaci, non tenerti più niente per te- Le parole di mamma sciolsero inaspettatamente l'enorme nodo che mi bloccava la gola, e trovai il coraggio di dire tutto, di esporre la mia richiesta, il mio desiderio, la cura che credevo più adatta a me.
STAI LEGGENDO
Con un cuore di carta
Science FictionL'amore, lo sanno tutti, riesce a farti del bene, ma talvolta è capace anche a ferirti, farti male. L'amore che ho provato è diverso, perché noi siamo diversi. Io volevo amare ardentemente, ma fino a che punto ci si può spingere per amore? Ma quant...