4. Tutto cambiò

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Come è facile intendere, questa è la fine della parte felice della mia vita, e l'inizio di quella, se così possiamo definirla, triste. Sì, questo era lo stato d'animo che predominava nella mie giornate. Ero triste perché si apriva per me un capitolo totalmente nuovo, e questo implicava l'abbandono di alcune delle cose che amavo, se non tutte.

Quel giorno mi risvegliai nel lettino dell'ospedale, avevo solo degli sfocati ricordi della corsa in ambulanza, ma niente di nitido. Aprii debolmente gli occhi, subito capii di non trovarmi al mio posto, l'aria austera e le pareti bianche mi fecero subito capire di essere ben lontano da casa.

Nella stanzetta eravamo solo io e i bip della macchina a cui ero attaccata da una decina di fili di vario genere. Mi osservai, indossavo la camicetta standard da ricoverato a fiorellini rosa, sbottonata al petto con a vista gli elettrodi, e la flebo al braccio.

Improvvisamente mi attraversò una sensazione di panico, data dal non avere la più pallida idea del motivo per il quale mi trovavo lì, di cosa mi sia successo. I bip derivanti dal macchinario si fecero poco più rapidi, ma aumentarono spropositatamente quando mi accorsi che alla mia sinistra era presente una finestra che dava al corridoio, al di là di essa, nascosti dalle tapparelle, le ombre dei miei genitori. Parlavano con un uomo con il camice, teneva una cartella in mano e ne leggeva il contenuto. Li osservavo con gli occhi non ancora  totalmente aperti, ero debole, non del tutto consapevole, ma nel momento in cui mamma si abbandonò alle braccia di papà piangendo, mi si spezzò il cuore.

Subito dopo l'attenzione delle tre persone si rivolse verso di me, entrarono di corsa nella stanza, li vidi, avevano il volto stravolto, pallido e palesemente preoccupato, non li avevo mai visti così. Non mi ero accorta che l'elettrocardiogramma scalpitava rumorosamente, segnando ogni mio battito che si faceva sempre più veloce. Mia madre arrivò per prima da me, mi prese il viso con le entrambe le mani, tremavano, mi chiamava disperata ripetendo il mio nome, ma  io potevo solo fissarla, incapace di risponderle, stavo per perdere i sensi. Immediatamente il dottore si fece spazio allontanando la donna, intervenne per aiutarmi, non feci attenzione alle sue manovre o qualsiasi altra cosa mi stesse facendo, scacciai la sensazione della tenaglia al petto, e mi concentrai appieno alla figura di mamma che nel frattempo raggiunse papà, erano ai piedi del letto, si stringevano la mano, e guardavano impotenti la loro unica figlia lottare tra la vita e la morte.

All'età di dieci anni mi fu diagnosticata una rara patologia di insufficienza cardiaca, di tipo degenerativo. Nessun campanellino di allarme, la malattia si manifestò lampante, senza dare a nessuno un attimo di preavviso, la gravità dell'attacco avrebbe potuto uccidermi sul colpo, fui infatti molto fortunata, se non miracolata.  Un fattore che mi aiutò fu la rapidità del soccorso. Avrei dovuto ringraziare Corinne di essere così brava a nascondino e di avermi trovata per tempo, se non fosse stata un asso nel gioco, non sarei uscita viva dal mio nascondiglio.

Questo non significa che adesso sia tutto passato, al contrario è solo l'inizio. Non ero e non sarei mai stata fuori pericolo, il mio cuore non lavorava correttamente, avrei dovuto aspettarmi un infarto in qualsiasi momento della giornata, per questo erano categoricamente da evitare tutte quelle attività che avrebbero potuto mettermi sotto sforzo, o provocarmi una forte reazione emotiva.

E fu così che il mondo attorno a me cambiò radicalmente, cambiai io, e così anche tutti quelli che mi circondavano.

Dopo qualche giorno di ricovero all'ospedale principale della mia città, Jacksonville, i miei presero la decisione di trasferirsi ad Orlando, dove avrei potuto ricevere cure migliori in una clinica specializzata. Le mie giornate le passavo saltando da un reparto all'altro, eseguendo controlli e imbottendomi di farmaci di varia natura, e solo alla fine, verso il tardo pomeriggio rintanare in quella casa che chiamavo "sistemazione provvisoria".

Questa era un'appartamento, ampio, elegante e caratterizzato dalla comoda vicinanza alla clinica. Perfetto, se non fosse che non sapeva neanche lontanamente di casa, casa mia intendo, quella vera. Mi mancava il mio giardino, la mia amica, la danza, sentivo addirittura la mancanza della scuola, e di tutto quello che non potevo più fare, e che ho sempre dato per scontato.

Ma i giorni passarono, così come i mesi e la speranza di vedere casa, la vedevo sempre più lontana. Non ero lì per guarire, non sarei mai tornata ad essere quella di una volta, ero lì per sopravvivere, tenermi in vita. Avrei dovuto dire addio a tutto e a tutti. Con una tremenda tristezza lo feci, diedi addio alla bambina felice e dinamica che amava giocare e ballare.

Allora mi trattavano con le pinze, mi parlavano tutti lentamente usando un tono basso, non avevo un attimo di intimità, ero controllata ogni ora, venivo guardata con quell'espressione di compassione che mi dava sui nervi, ma non avrei potuto permettermi una scenata isterica, causa possibile morte. La mia unica scelta era abituarmi e farmi andare tutto bene, farmi scivolare addosso tutte le emozioni. E questo mi venne naturale, avevo messo da parte tutto quello che mi faceva stare bene, e la conseguenza fu chiudermi in me stessa.

I miei mi incitavano a parlare, ma di cosa se ogni discussione con loro iniziava con un "come stai?", di certo non bene, e questo loro lo sapevano, si vedeva, inutile parlarne. Però ci pensavo, eccome se ci pensavo, i pensieri, quasi tutti negativi, sbattevano in ogni parete della mia mente, in qualche modo dovevo sfogarmi, farli uscire. Avrei voluto urlare, sbattere i pugni, correre e scappare di casa, ma niente di tutto questo mi era possibile. Presi la sana abitudine di annotare ogni mia riflessione in un diario, me lo portò una zia, una delle tante di cui non sapevo l'esistenza e che mi venivano a trovare. Inizialmente lo schifai, ma poi, non sapendo che altro fare mi cimentai nella scrittura, che sostituì tutto fino a diventare essenziale per me. 

#SpazioAutrice

Siamo ancora all'inizio, come vi sembra fin ora la storia? Vi sta piacendo? Fatemi sapere. 

Comunque mi scuso se la pubblicazione non è tempestiva, visto che non riesco a mantenere i ritmi dello scorso libro, vi dico fin da adesso che pubblicherò la media di un capitolo ogni settimana circa.

-Vi saluto, Marty 💛

Con un cuore di cartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora