NB: Camila/Capitan America -- Lauren/Iron Man
Quando riaprì gli occhi, piano, il bianco delle pareti l'accecò, colpito dai raggi solari che ad intermittenza penetravano attraverso le tende candide. Sbatté le palpebre più volte, per lasciare che la vista si abituasse a tutta quella luce. Il suo corpo era un fascio di nervi, avvertiva un dolore acuto all'addome e non riusciva a capirne il motivo. Era tutto così confuso che si accorse solo in un secondo momento di una musica in sottofondo, qualcosa che non aveva mai sentito prima.
Un tocco sfiorò la sua mano, delle dita tiepide, i polpastrelli appena ruvidi. Così voltò piano il capo, gli occhi socchiusi e stanchi ed il respiro flebile. Riconobbe immediatamente il viso di Normani, un sorriso pieno e dolce che gli comunicava affetto, mentre quelle stesse dita si stringevano alla sua mano, come a farle capire che c'era, era accanto a lei, che aveva aspettato solo che si risvegliasse. Sembrava stanca, forse non aveva dormito, forse era rimasta lì tutta la notte, o le notti, non poteva dirlo con certezza, non sapeva da quanti giorni fosse in quella camera di ospedale.
«Ehi.» La voce gli uscì fuori arrochita ed avvertì bruciore alla gola, schiarendola.
«Ehi.» La salutò quella, i denti bianchissimi ed il sorriso che si faceva più ampio, sereno. «Marvin Gaye. Ti avevo detto che dovevi ascoltarlo per forza.» Le disse, per sdrammatizzare la situazione, lasciando poi andare la sua mano con delicatezza.
Camila deglutì, sbuffando una risatina e provando a mettersi seduta, con pochi risultati. Storse il naso e sbuffò, affondando la nuca nel cuscino e fissando il soffitto con un certo disappunto. Odiava essere costretta in un letto, l'aveva odiato anche quando era una ragazzina rachitica e malaticcia, molti e molti anni prima. Aveva l'intero corpo indolenzito.
«Ally—lei... dov'è?» Domandò in un sussurro, guardandosi intorno quasi si aspettasse di vederla in un angolo della stanza, a vegliare su di lei. Ma no, Ally non c'era, e la sua assenza non era mai pesata così tanto prima. Pian piano nella mente le ritornavano le immagini dello scontro, la rabbia e la disperazione negli occhi della sua migliore amica, la confusione ad ogni parola gentile, ad ogni frase detta per farle ricordare quello che erano state, e quello che potevano ancora essere.
Poi il vuoto sotto i piedi, poi era precipitata e l'acqua l'aveva risucchiata, di nuovo, e per un attimo aveva temuto di restare ancora una volta sepolta sotto essa, che il ghiaccio avrebbe di nuovo carpito il suo corpo in un riposo piatto e crudele. Non lo avrebbe sopportato, non di nuovo.
«Non lo sappiamo, Mila, eri sola quando ti abbiamo trovata.» Non sembrava che Normani stesse mentendo, il suo tono era sincero ed il suo viso tradiva solo dispiacere.
«Mi ha salvato la vita.» Mormorò l'altra, stringendo le labbra e corrugando appena la fronte. Se avesse avuto abbastanza forza avrebbe cominciato a piangere, ma anche le lacrime richiedevano sforzo ed era troppo debole per i singhiozzi. Le sembrava che il petto si stesse accartocciando su sé stesso, il dolore che provava dentro era più forte di qualsiasi foro di proiettile, taglio e livido.
Ma non era solo per Ally, no, la sua intera esistenza si era sfaldata a poco a poco senza che potesse far nulla per rimettersi in piedi. Non sapeva più cosa pensare, fare, si sentiva impotente, ormai l'unica persona su cui poteva contare era Normani, la conosceva da poco tempo ma le sembrava già una vita. Poi c'era Lauren, che aveva dimostrato di avere un cuore grande, dietro quella facciata da ex spia russa fredda e calcolatrice.
«Vado a prenderti qualcosa di caldo da bere, ti va?» Domandò Normani, mettendosi in piedi ed inarcando un sopracciglio, quasi non volesse ammettere repliche. «Sono giorni che sei attaccata a queste macchine, sembri dimagrita, e non è un buon segno, il tuo bel sederone ha bisogno di sostentamento.» Scherzò, strizzandole l'occhio e vedendola sorridere appena, mentre lasciava la camera.