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Daniel

Finimmo sfiniti sul divano, dopo poco più di cinque minuti passati a ballare senza un filo di grazia nei passi che muovevamo. Gli inciampi erano stati numerosi almeno tanti quanti le nostre risate che, unite al susseguirsi del brano, coinvolgente, rumoreggiavano per tutta la villa.

"La prossima volta riusciremo a fare di meglio, ne sono certa" esclamò lei, con la sua solita sicurezza e determinazione sedendosi sfinita sul divano accanto a mio sorella che, divertita, ci aveva osservati tentare di muoverci con piú leggiadria possibile. Nel frattempo, Miele aveva fatto il suo ingresso, camminando scodinzolante.
"Hey, vieni". Lo chiamai, invitandolo a sedersi a terra accanto a me, ma vedendomi a gambe incrociate non ebbe dubbi su come sistemarsi.
"Ecco, come piace a te" dissi, facendolo accomodare col muso sulla mia coscia.

"Comunque stiamo imparando". La voce di Sonia attirò la mia attenzione.
"Credo diventeremo bravi".
Qualsiasi cosa accadesse, Sonia era sempre pronta a spendere parole positive e di buon proposito, anche quando oramai la situazione pareva essere perduta o irrimediabile. Un po' come lo erano i nostri passi di danza.
"Giá. Lo spero" risposi io, sorridendole. Mia sorella, intanto guardava fuori dalla finestra. Il cielo si stava annuvolando e un soffio d'aria entrò in soggiorno, spostando di qualche centimetro le tende  ricamate a mano dalla nonna.
"Ah, a proposito, quando avrà inizio il tuo corso di ballo?" domandó Sonia, toccando un tasto dolente. Le avevo annunciato almeno un paio di mesi prima che avrei iniziato a ballare e nonostante fosse passato un discreto lasso di tempo se n'era ricordata.

Di recente avevo scoperto un certo interesse nel voler intraprendere una nuova attività, qualcosa che mai prima di quel momento avessi sperimentato.
Dopo varie ricerche e domande postemi, compresi che la danza poteva essere ciò che cercavo.
Perché non provare? D'altronde era una delle tante cose che forse avrei iniziato per scherzo e avrei poi approfondito. D'altronde era stato cosí con altre molte altre cose.

'Oh oh'. Pensai immediatamente al fatto che il giorno in cui avrei mosso i primi passi a ritmo di musica si stesse avvicinando inesorabilmente. Cercavo di negarlo a me stesso, ma la questione mi agitava abbastanza.
"La prossima settimana. Sono nel panico!" esclamai, esternandole il mio reale stato d'animo.
"Ma come? Perché mai, poi?" chiese, interponendo le mani fra le ginocchia, coperte da un paio di jeans pinocchietti.
"Non lo so" bofonchiai, sistemandomi accanto a lei sul divano, coperto da una federa color crema. Miele, intanto, se n'era andato via.
"E non sei felice?".
"Sí, certo che lo sono. Non vedo l'ora di iniziare e sono molto impaziente di sapere se apprenderò subito qualche passo o cos'altro si farà per cominciare".
"Oh, inizi tra sette giorni e non mi dici nulla?" si lamentò lei, incrociando le braccia e ruotando il capo per osservarmi.
"Otto, per la precisione" puntualizzai ironicamente. La vidi roteare gli occhi, contrariata. Poi sbuffò stringendo gli avambracci al petto.

"Cos'hai, perché fai quella faccia?". Erano pochissime le volte in cui la vedevo arrabbiarsi, in particolar modo con me che ero l'unica persona con cui non litigava mai. Ma la sua espressione pareva voler dare inizio a una polemica.

"Sonia, mi rispondi?". Si leccò le labbra nervosamente prima di iniziare a parlare, sguardo serio e mani serrate.
"Niente, niente. Lascia perdere" concluse lei, ponendo fine alla conversazione. Mi venne spontaneo guardarla in cagnesco, non avevo compreso la sua reazione. Si stava comportando in modo sospetto, tutt'altro che gradevole.

"Dimmi tutto, cosa ti succede?" insistetti per venire a conoscenza del suo evidente malessere.
"Niente, Daniel. Non ha importanza". Sorrise, in modo poco naturale.
Non volli assillarla con altre domande, sapevo che se avesse avuto voglia di parlarmene lo avrebbe fatto. Non aveva senso che le cavassi le parole di bocca, ci conoscevamo abbastanza e lei sapeva che io sarei sempre stato disposto ad ascoltarla e aiutarla.
C'eravamo sempre stati, l'uno per l'altra. Quella sarebbe stata solo l'ennesima prova che la disponibilità era uno dei aspetti più forti della nostra relazione.

"Spero tu ti diverta" mi augurò, cambiando improvvisamente discorso e umore. Accennando un sorriso tentó di apparire il piú cortese possibile, ma il suo gesto non eliminó il precedente dalla mia memoria.
"Grazie". Lasciai correre, pensando che sarebbe stato inutile farle notare la stranezza del suo cambiamento repentino.

"Hey, per la prima lezione vorrei che ci fossi. Verresti alla presentazione con me?".
"Mh?" prese tempo, stringendo ancora di più le mani fra le gambe, magre.
"Per favore, ci tengo... non farò ancora nulla probabilmente, la mia istruttrice ci dirá cosa portare e cosa faremo durante le lezioni. Solita routine di inizio corso".
"Mi dispiace, io... io sono occupata" si affrettò a rispondermi, deglutendo il poco di saliva che aveva in bocca dopo tutto il tempo trascorso a parlare.

"Che impegni hai d'estate in un giovedì pomeriggio proprio dalle due alle tre e mezza? "domandai poco convinto dalla sua dichiarazione.
Sonia non mi rispose ed evitò d'incrociare il mio sguardo, concentrato ad analizzare le sue labbra.
"Hai una visita per caso?". Scosse la testa con un movimento quasi impercettibile.
"Devi accompagnare i tuoi da qualche parte, tipo a fare la spesa?". Era una cosa un po' stolta da chiedere. Penso che chiunque avrebbe rimandato l'acquisto di cibarie per un incontro così importante come il mio, ma cercavo sempre di non dimenticare che lei non aveva nemmeno tredici anni e i suoi genitori decidevano molte cose per lei, tra cui anche i suoi impegni settimanali e gli orari cui doveva attenersi quando usciva con i suoi amici o con me. Oltretutto erano inflessibili su determinate questioni e lei non poteva in alcun modo cambiare le sorti delle loro decisioni, nè tantomeno disobbedire. Sarebbe stata punita in modo esemplare e io non ero nessuno per convincerla od obbligarla a mettersi contro di loro.

"Mh... più o meno" rispose facendo ondulare il capo.
"Cosa devi comprare? Se vuoi andiamo in centro assieme, uno di questi giorni".
"No, no. Non si tratta di quello". Gesticolò con le mani, scuotendole davanti a sè.
"E di cosa?".
"È vero che devo accompagnare i miei genitori in un posto, ma non si tratta del supermercato".
"Dai, per favore. Dimmi, dimmi dove dovete andare".
"Non posso".
Rimasi allibito nel sentir pronunciare quella risposta. Mi sentii un estraneo, improvvisamemte escluso dalla conoscenza di fatti che riguardavano non solo lei, ma probabilmente anche me. Il modo in cui avesse mutato atteggiamento tutto a un tratto mi faceva fortemente sospettare l'arrivo di brutte notizie.

"Senti, non so cosa ti prenda. Andava tutto così bene, fino a dieci minuti fa nemmeno. Perché hai cambiato umore così all'improvviso?" chiesi, deciso a non passarci sopra una seconda volta.
"Daniel, davvero. Lascia stare".
"Lascia stare un corno!" sbottai.
"Odio quando fai la misteriosa e diventi lunatica senza una ragione. Quelle poche volte che ti è successo era per cose importanti". Avevo alzato fin troppo la voce.
Mia sorella era di fronte a noi, in silenzio. Ascoltando la conversazione, faceva ricadere lo sguardo prima su di me, poi sulla mia ragazza, strettasi fra le spalle come a voler attutire il dolore che il mio alzare di voce le stava causando. Osservarci litigare non era certo uno spettacolo molto gradevole, ne fui sicuro.

"Mi dispiace, non posso dirti tutto quanto. Alcune cose sono soltanto mie, e di nessun altro". Ci guardammo per qualche istante. Io, che avevo avuto la fronte aggrottata fino a poco tempo prima, la rilassai nel sentire quelle parole, stupito delle cose che aveva appena detto. Era chiaro. Non avrei ricevuto chiarimenti.
"Io non so più che dirti. Fai come vuoi, Sonia. Sembra che tu non ti fidi più di me". A quel punto, abbassando lo sguardo per un istante, fece spallucce. La osservai compiere quelle azioni senza fiatare. Si sporse con il collo affusolato per guardare fuori, lasciando che una mano si adagiasse sotto al suo mento.

"Non è come pensi. Sono i miei che non vogliono che io ti dica nulla" prese parola, il volto nascosto fra il vetro e i capelli, lisci e corti.
"Ma allora qualcosa c'é!". La raggiunsi, sedendomi a terra accanto alla poltrona su cui giaceva. Mi chinai in ginocchio, appoggiando le mie mani sulle sue cosce.

"Hey, ma tu... tu stai piangendo ". Le presi il viso tra le mani, ma si sottrasse per l'imbarazzo.
"Daniel..." sillabó singhiozzando.
"È qualcosa di brutto? Perché i tuoi non vogliono che io lo sappia?".
"Non lo so, Dane. Non lo so" disse scuotendo il capo.
"Perdonami per prima. Non volevo invadere la tua privacy. Se non puoi dirmelo, non fa nulla". Le accarezzai le gambe, coperte dai jeans celesti.
"Ti dirò tutto". Alzò di scatto lo sguardo verso di me. I suoi occhi, arrossati, avevano iridi che parevano più azzurre del cielo, più azzurre di quando già non fossero di solito.

"Hai paura?" domandai.
"Sì, tanta" sussurrò.
Si avvicinò per baciarmi.
Era così fragile , in quell'istante. E io non sapevo come fare per proteggerla e per proteggere il suo cuore.

La storia prima della storiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora