Capitolo 18 - Ingiustizie

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17 Agosto 1998, St. Leonards, Victoria, Australia

Gli ospedali sanno di disinfettante in ogni parte del mondo. Di disinfettante, di attesa, di rabbia, pianti e silenzi. Sanno di mura strette, chiuse, come prigioni. Sanno di vetri sterilizzati e manine quasi irraggiungibili.

Mani cucciole. Pugni chiusi, a vagare in aria, come due fragoline, su un corpicino fragile e addormentato. Dietro il vetro - piccola, piccola, piccola – stava il suo amore più grande.

"È perfetta." Harry annuì di risposta alla voce del signor Granger, senza alzare lo sguardo da quel miracolo. Tua figlia, Harry. Come poteva lui aver contribuito alla creazione di tutto ciò, alla creazione di qualcosa di così etereo e reale, piccola e perfetta, così bella? Hermione. Ovviamente, tutte le cose più belle della sua vita erano merito di Hermione.

Aveva una voglia matta di ridere e una voglia matta di piangere. Non poteva lasciarla. Doveva davvero lasciarla?

"Non è giusto," disse, col tono più cristallino che riusciva ad imitare in quel momento. Sentiva un grosso groppo bloccargli la respirazione al solo pensiero di dover abbandonare quel tesoro, il suo tesoro più grande; ma voleva che Edward Granger sapesse chiaramente quale fosse la sua opinione in proposito, la sua più completa e onesta opinione.

"No, non lo è." L'uomo sospirò, mentre osservava quel ragazzo, appena diciottenne. C'erano stati momenti in cui lo aveva cordialmente odiato – d'altra parte, si era portato via tutto quello che restava della sua bambina –, e quando aveva urlato contro Hermione gli avrebbe volentieri sbattuto la testa contro il muro, solo lo sguardo di sua figlia lo aveva fermato. Ma in quel momento non riusciva a disprezzarlo, nemmeno un po'. Se lo avesse odiato, sarebbe stato più semplice. Invece, poteva vedere e capire: il modo in cui teneva gli occhi fissi sul quel corpicino addormentato, il modo in cui le sue dita si piegavano sul vetro dell'incubatrice. Si stava innamorando della piccola Chriseys, esattamente come lui. Anzi no, era già innamorato perso. E ti aspettavi altro, vecchio Ed?

"Se solo me lo lasciasse fare," non era necessario che spostasse leggermente il capo verso l'esterno per capire a chi si riferisse, "potrei amarle e proteggerle e prendermi cura di loro, come non può neppure immaginare, signore."

Edward sorrise, suo malgrado. "Lo immagino, Harry. Lo immagino benissimo." Cosa pensava quel ragazzino? Non si era forse innamorato perdutamente anche lui, diciannove anni prima? Non aveva forse affrontato dubbi, eccitazioni, e il primo dentino, e il primo sventolio di magia? Non aveva forse dovuto lasciare che la sua cucciola crescesse in fretta, diversa da tutti, speciale? Non l'aveva forse vista prendere un treno rosso che l'aveva condotta lontana da lui, ogni anno di più, un passo più lontana da lui, un passo più vicina a una guerra che non apparteneva al suo mondo, un passo più vicina a Harry Potter?

"Lei non crede ch'io ne sia capace, non è così?" Harry finalmente distolse gli occhi dalla piccolina, per rivolgerli diretti e rabbiosi al suo interlocutore. D'istinto chiuse la mano a pugno, come a ricordarsi di trattenere l'ira. Odiava l'atteggiamento condiscendente del padre di Hermione, odiava quella finta comprensione. O forse odiava soltanto l'idea che sarebbe stato lui a prendersi il suo ruolo. Odio, odio, odio. Non avrebbe dovuto riempire la mente di tutto questo odio, proprio quel giorno. Non ti meriti tutto questo, amore.

"Sei così," Edward scosse la testa, quasi volesse scacciare un pensiero, "giovane. Impulsivo, insicuro."

"Lei non ha la minima idea di quello che ho dovuto affrontare, così giovane." Quando doveva portare sulle sue spalle la giustizia del mondo, nessuno si era preoccupato della sua giovane età. Quando doveva uccidere o morire per mano del Mago Oscuro più potente di tutti i tempi nessuno gli aveva rinfacciato i suoi diciassette anni. 'Vai, Harry! Sei la nostra salvezza!' Così, gli avevano detto. "Io ho dovuto ucc-"

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