Capitolo 3 - Favole

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"Vieni a dormire?" chiese a bassa voce Ron, entrando con calma nel salotto. Hermione era appallottolata di fronte al caminetto, così concentrata che sembrava contare ogni singola scintilla. Al suono della voce preoccupata di Ron, voltò il capo verso di lui e gli sorrise.

"Tra un po'," bisbigliò. Ron si limitò a scrollare le spalle e ad accarezzarle brevemente le labbra con un bacio a stampo.

"A dopo." Il suo zoticone personale, sempre a contatto con criminali magici d'ogni sorta, quando si metteva d'impegno sapeva essere d'una delicatezza unica. Gli era grata per questo, e per tanti altri piccoli gesti che ogni giorno della vita che avevano condiviso l'avevano salvata da se stessa. Sapeva di essere in debito di attenzioni nei suoi confronti, ma alcune situazioni non potevano essere curate che con la solitudine. In quel momento, Hermione aveva bisogno soltanto del silenzio d'una casa addormentata e di contare ogni piccola fiammella in quel camino bruciante.

Quel pomeriggio aveva lasciato Chris alla stazione di King's Cross, al binario 9 e ¾, poco prima che l'Espresso partisse. Da quel giorno a Dover, la settimana prima, la ragazza non aveva fatto più alcuna resistenza all'idea di tornare a scuola. Si era adattata alla situazione, aveva detto. Hermione vedeva nel suo atteggiamento solo una rassegnazione passiva, così poco tipica di lei, che doveva senz'altro preannunciare qualche guaio. Dannata adolescenza! Mamma, dimmi cosa dovrei fare... si rivolse d'istinto all'unica persona che avrebbe saputo come agire in quel frangente. Peccato che non potesse più risponderle.

Quando avrebbe smesso di sentirsi così piccola e impaurita? Gli adulti affrontano il dolore, e sostengono le proprie responsabilità. Gli adulti sanno come ci si comporta. E Hermione aveva sempre saputo come comportarsi, lei era sempre stata la ragazza con la testa sulle spalle che agiva sempre seguendo il suo naturale buonsenso. Solo, adesso si sentiva una bambina spaventata che aveva perso la sua mamma.

Dei passettini vispi interruppero il corso dei suoi pensieri. Non ebbe neppure il tempo di voltarsi che un fagottino rosso gli si catapultò nelle braccia.

"Mamma, 'ose è cattiva," mugugnò Hugo contro il suo petto, mentre l'altra sua figlia, Rose, se ne stava appoggiata al muro con le braccia intrecciate e lo sguardo più torvo che riusciva a fare. L'espressione identica a quella che Hermione dedicava a Ron o Harry nei loro momenti più brillanti da ragazzini.

"Ancora svegli, voi due?"

"Il pupo non riesce a dormire!" rispose la bambina, indicando il fratellino che doveva aver pesantemente urtato la sua pazienza se veniva relegato a ruolo di 'pupo'. "Non fa che parlare!"

"Non ho sonno!" esclamò lui, alzando la testa verso la madre. "E 'ose non mi vuo'e 'acconta'e 'e favo'e." Hermione fece un po' di fatica nel capire quella piccola frase dove mancavano una erre di qua, e una elle di là. "Zia Ch'issie non ha finito di 'acconta'e i' p'incipe vo'ante."

"Aladdin, Hugo. Aladdin, non il principe volante. Non era neppure un principe!" Rose lo corresse, per puro gusto di contraddizione. Ma Hermione aveva imparato a non correre dietro alle perenni discussioni dei suoi due bambini, concentrandosi sempre su un problema alla volta. Molly l'aveva definito 'istinto di sopravvivenza materno'.

"Rose, che fine hanno fatto la erre e la elle di tuo fratello?" La bambina si limitò a biascicare qualcosa di vago, mentre abbassava lo sguardo verso i suoi piedini scalzi.

" 'ose ha fatto poppi!" rispose Hugo per lei. Poppi?

"Rose Jean Weasley. Esigo una risposta."

"Mamma. Lui continuava a parlare, parlare, parlare, e non stava mai zitto, e io volevo solo dormire! E allora... volevo solo che... zitto." Rose scattò sulla difensiva: grossi lacrimoni minacciavano di scendere dai suoi occhi.

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