La persona giusta

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Quando mi chiedono che lavoro faccia mio padre, rispondo con molta facilità. È un consulente. Ma quando poi mi domandano che incarichi abbia di preciso un consulente, mi trovo sempre in forte imbarazzo. Sono cresciuta con l'idea, inculcatami da mia madre, che fare il consulente fosse un lavoro molto importante, che faceva guadagnare bei soldini a papà con cui potevamo comperare i nostri giocattoli. Questa risposta impressionava molto i miei amichetti, cui bastava guardarmi nei miei vestiti di marca per crepare di invidia. Ma crescendo non mi accontentai più di una risposta così spicciola e domandai direttamente a papà che tipo di lavoro fosse il suo.

Così imparai che il consulente aziendale, oltre ad essere una persona che viaggia molto, è un professionista che si rivolge ad aziende pubbliche e private per incrementare le loro entrate e rendere più concorrenziale la loro attività. Deve saper ascoltare i clienti, le loro visioni del mercato, la loro descrizione dei problemi dell'azienda, della concorrenza e dei collaboratori. Deve conoscere lo scenario di mercato in cui si trova ad operare.

Deve saper fare un mucchio di altre cose, ma a quel punto della spiegazione mi stavo già annoiando a morte, e avevo interrotto pa' con uno sbadiglio, dicendo che era tutto troppo complicato per me. Lui aveva riso, dicendo che non era affatto complicato, solo molto noioso.

«Ma allora perché lo fai?» gli avevo chiesto.

«Perché lo so fare bene» era stata la sua risposta. «Ho avuto un ottimo insegnante: mio padre, che a sua volta aveva imparato da suo padre. Facciamo questo lavoro da generazioni, e se Giovanni volesse seguirmi nella mia strada scommetto che il nonno lassù ne sarebbe contento.»

«Gio è troppo pigro per queste cose» avevo sentenziato.

«Vedremo.» All'epoca Giovanni aveva solo sedici anni. Volendo, avrebbe potuto impegnarsi per seguire le orme di papà. Il tempo dimostrò che avevo ragione.

Il ricevimento di quel venerdì sera sarebbe stato pieno di consulenti aziendali. Si sarebbero parlate tutte le lingue europee ed extraeuropee e ci sarebbe stata una quantità di champagne e tartine al caviale posate su vassoi talmente lucidi da potercisi rispecchiare. Così almeno ci disse papà, a bordo della lussuosa Giulietta di Bob.

Il festino si teneva all'Hotel Villa Michelangelo, una residenza nobiliare del XVIII secolo, circondata da cinque ettari di prato all'inglese, alberi centenari e uliveti. Era uno spettacolo mozzafiato, talmente splendido che veniva usato come location anche per matrimoni e cocktail party. Comprendeva una piscina, un ristorante e sette sale riunioni in grado di contenere più di trecento persone.

Il ricevimento di consulenti si teneva nella Sala Caminetto. Era enorme e già stipata di gente, con i pavimenti e le colonne in marmo bianco e le pareti di un giallo ocra soffuso, lo stesso colore dei tappeti. Nel grande camino in quarzo e marmo brillava un allegro fuocherello. Il riscaldamento era alzato a manetta, e fui lieta di togliermi il soprabito e affidarlo ad uno dei camerieri di passaggio, sentendomi splendida nel mio abito nuovo.

Fortunatamente, la mia crisi di martedì sera non aveva riportato danni sul vestito. Dopo essermi addormentata tra le braccia di Francesco, ero stata spogliata e messa a letto da Angie e Rachele, che erano rimaste a vegliare su di me il più a lungo possibile. Quando mi ero svegliata, mia sorella si era addormentata insieme a me. Senza svegliarla mi ero alzata, sentendomi ancora un po' debole. Avevo accusato un giramento di testa ma ero scesa comunque di sotto, e non ero rimasta sorpresa di trovare Rachele addormentata sul divano. Non l'avevo disturbata - in fondo era l'una di notte - e mi ero scaldata una tazza di camomilla. Il mio cellulare aveva squillato da qualche parte in salotto. Prendendolo, avevo trovato un messaggio di Francesco.

Sono dovuto tornare a casa, ma fammi sapere qualcosa appena ti svegli, qualunque ora sia...

Commossa dalla sua sollecitudine, gli avevo scritto:

La Ragazza con il FuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora