Amore e lussuria

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Quella notte non feci che girarmi e rigirarmi tra le lenzuola. Sudavo, puzzavo, mi girava la testa appena tentavo di mettermi seduta per andare a farmi una doccia. Giovanni mi aveva lasciata in balia di me stessa, buttandosi a letto con le cuffie nelle orecchie. Angela era al mare con le amiche, papà in viaggio.

Trattenendo altri conati che mi scombussolavano lo stomaco, mi strinsi il cuscino contro la pancia, nascondendoci la fronte sudata. Alla fine non riuscii più a trattenermi e, mezzo gattonando e mezzo barcollando, andai a vomitare in bagno.

Quindi appoggiai la schiena alla fredda parete di piastrelle, gli occhi che bruciavano di lacrime che non avevo nemmeno più la forza di versare.

Trascorsi lì più tempo di quanto non avessi immaginato. Quando tornai in camera e vidi sulla sveglia che erano passate le cinque, decisi di togliermi il pigiama. Avevo un bisogno disperato di una doccia, ma mi infilai una larga maglia azzurra senza disturbarmi a mettere il reggiseno, e un paio di pantaloncini di tela. Scesi di sotto, mi lavai rapidamente i denti e cercai di sistemarmi i capelli arruffati, senza neanche spazzolarli, limitandomi a raccoglierli in una sgraziata coda di cavallo. Avevo gli occhi da panda per tutto il trucco che mi era colato, ma tolsi solo le tracce più evidenti, le scie scure che mi arrivavano al mento.

Quindi, senza preoccuparmi di prendere il portafoglio con la patente, salii in auto.

Avevo la mente annebbiata dalla stanchezza e dall'alcol, gli occhi che bruciavano reclamando il sollievo di lacrime che non potevo offrire.

Guidai con attenzione, tenendomi entro i limiti. Non ero così sconsiderata da attirare l'attenzione dei poliziotti di ronda.

Poco dopo parcheggiai davanti a quella casa in cui ero entrata una sola volta in vita mia. Strano che ricordassi così bene come arrivarci... Forse voleva dire qualcosa. Ero lì per scoprirlo, comunque.

Attraversai il giardino incolto immerso nel buio totale che precede l'alba, sperando che nessuno si svegliasse e mi scambiasse per una ladra. Ma nella grande casa dormivano tutti. E anche nella dépendance.

Bussai alla porta di legno, e continuai finché non vidi una luce filtrare da sotto la soglia. La porta si aprì, rivelando il viso assonnato e i capelli scarmigliati di Francesco.

Prima di dargli tempo di assimilare il fatto che ero lì, davanti alla sua porta, domandai di getto: «Sei innamorato di Rachele?»

Francesco strizzò gli occhi, passando rapidamente dal sonno, alla confusione, allo stupore. «Cosa ci fai qui?»

Ondeggiai in avanti, aprendo la porta e infilandomi nell'apertura. Lo guardai con occhi folli. «Ho bisogno di saperlo... Me lo devi dire.» Ero di nuovo sull'orlo delle lacrime, anche se non lo credevo possibile.

Francesco arricciò il naso, scrutandomi. «Sei ubriaca?»

Tesi le mani verso di lui, implorante. «Devi dirmelo, così mi metto il cuore in pace.»

Francesco sembrava non avere idea di che cosa fare. Alla fine optò per la scelta preferita dagli uomini: prese tempo.

«Ti preparo un caffè.» Mi prese delicatamente per il gomito, conducendomi nel salottino. «Aspettami sul divano, non ti muovere.»

Mi lasciai cadere di peso su quel divano dove ero diventata donna, tanti mesi prima. Dove per un attimo ero stata l'unica nella mente e nelle braccia di Francesco, dove mi ero sentita sbocciare, nonostante il dolore. Dove dal fuoco era nata la mia Fenice, da quello stesso Fuoco che ora stava carbonizzando la mia vita.

Carezzai la tela rossa e ruvida e sprofondai il naso nello schienale, lasciando che quelle sensazioni mi riportassero i ricordi di quella notte.

Francesco ritornò con una tazza piena di caffè fumante. La presi, sollevando uno sguardo sorridente su di lui. «Ti ricordi quando hai suonato la "cancion del mariachi"? Sembra passata una vita.»

La Ragazza con il FuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora