Vattene!

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Alessandro si lasciò sfuggire un'imprecazione violentissima, affrettandosi a coprirsi. Il suono della zip che si sollevava squarciò un silenzio che si era fatto di ghiaccio.

Io mi chinai lentamente per tirare su la brasiliana che era scivolata fino ai miei piedi. Tremavo e non avevo francamente idea di che cosa dire. Era molto peggio che farsi scoprire con l'amante da tuo marito. Era peggio che farsi beccare a tette scoperte da tuo padre sul divano di casa.

Mia sorella mi aveva appena beccata a fare sesso in piena vista, lei che del sesso non sapeva nulla, o almeno mi auguravo. E quel che era peggio, non era sola.

Andrea era impalato al suo fianco, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata. Era allucinato, a differenza di Angie. Il volto di lei non esprimeva nulla. Era di freddo marmo, una statua insensibile, pallidissima e immobile. Pregai perché dicesse qualcosa, una cosa qualsiasi. Mi andavano bene risate isteriche, insulti, qualunque cosa.

Invece il primo a parlare fu Andrea. Si mosse a disagio, distogliendo lo sguardo da me. «Eeehm... Io mi sa che vado.»

Angie non disse nulla. Andrea, dopo un attimo di esitazione, biascicò un saluto e si incamminò verso la fine del vialetto, dove aveva parcheggiato l'auto, nascosta dalla Mercedes.

Alessandro era imbarazzatissimo, ma ebbe il coraggio di chiedermi, a bassa voce: «Chi sono?»

Non mi diedi pena di rispondergli. Con occhi iniettati di sangue, sibilai: «Vattene e non tornare mai più da me.»

Alessandro parve spaventato dal mio tono di voce, eppure non mi diede ascolto. «Aspetta, io...»

Avrei voluto prenderlo a pugni, ma in quel momento avevo problemi più grandi da risolvere. Mi diressi verso mia sorella. «Angie...»

Lei sollevò i palmi delle mani, indietreggiando. Poi, visto che io non mi fermavo, si voltò e prese a correre verso la casa.

Feci per seguirla, ma Alessandro mi afferrò il braccio. «Aspetta! Non ti lascerò andare via di nuovo, Monica. Hai visto l'attrazione che c'è tra di noi! Neanche tu riesci a starmi lontana. Penso...»

Girai il viso facendo ondeggiare i capelli e gli mollai un ceffone talmente potente da lasciargli il segno delle cinque dita sulla guancia magra. Quindi ripresi l'inseguimento di mia sorella, sperando che Alessandro avesse il buonsenso di andarsene via nonostante il cancello fosse aperto.

«Angela!» gridai al giardino deserto.

Mia sorella non si vedeva. La cercai per tutta la casa, in camera sua, persino nella camera di mio fratello e di mio padre, immerse nel buio, da cui proveniva solo il suono dei loro respiri profondi.

Alla fine mi presi la testa tra le mani. Dove cazzo era andata? Non poteva essere scappata di casa. E che senso avrebbe avuto, poi?

La cercai in lungo e in largo per il giardino, utilizzando una torcia elettrica per sondare gli angoli più bui. La cercai intorno alla piscina dal fondo illuminato, la cercai in garage e sotto il porticato.

Poi mi accorsi che una delle due ante della cantina era stata spalancata. Vi entrai a passi rapidi, scendendo i gradini umidi.

«Angie?» mormorai, sferzando l'oscurità col fascio di luce.

Non un suono giunse in mia risposta. Oltrepassai la legnaia e le cantinette dei vini, fino a raggiungere lo sgabuzzino di cianfrusaglie disseminato di coperte rattoppate, scarpe sfondate e rastrelli rotti. Chinai il capo per oltrepassare l'arco di pietra che conduceva alla stanza della sedia a dondolo.

Angela era lì, rannicchiata sulla sedia, che ondeggiava ritmicamente, producendo uno scricchiolio sinistro.

«Angie...» mormorai tristemente.

La Ragazza con il FuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora