Capitolo 4 Damon

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Quel cazzo di numero rimbomba incessantemente nella testa... cinquantadue...

«Cazzo, Damon, ci ammazzerai tutti!», urla Cody al mio fianco, ma è come se non lo sentissi.

Non voglio ascoltarlo.

Sollevo il volume della radio, con le note di My Demons degli Starset che riempiono l'abitacolo fottendomi il cervello, continuando a pigiare sempre più forte sull'acceleratore di fronte al rettilineo di Main Street, poi mi volto verso Cody senza guardare più la strada.

Vedo il mio amico allungarsi sul sedile e aggrapparsi alla portiera, il volto pallido di chi se la sta facendo sotto.

«Damon, per favore... te l'avremmo detto», grida Joselyn da dietro.

«Ah sì?», urlo a mia volta, mentre la fisso nello specchietto retrovisore e poggio la mano sul freno a mano. In fondo alla via vedo lo spiazzo del supermercato, i miei occhi saettano dalla strada alla lancetta del contachilometri che sembra quasi implorarmi di rallentare. Decelero il tanto che basta, scalo di due marce, sterzo e nello stesso istante sollevo il freno a mano. La macchina gira su sé stessa e regalo a chi credevo essere mio amico la stessa sensazione che ho nella mia testa in questo preciso istante.

Confusione.

Delusione.

Disperazione.

È questo che sento e non voglio che questi sentimenti mi appartengano.

Freno e Cody spalanca di corsa la portiera, saltando giù dal mio veicolo infernale, seguito da Joselyn.

«Sei un fottuto bastardo, figlio di puttana», ringhia il mio migliore amico, puntandomi il dito contro che trema quasi come una foglia al vento.

Lo raggiungo sbattendo la portiera dell'auto: «Sarei io il bastardo? Ah? Cazzo!», lo spintono. «Ti credevo un amico, dannazione!», ringhio, mentre le parole che pronuncio vengono mozzate dall'aria che sento quasi consumarsi nei polmoni.

«Sei arrivato soltanto stamattina, dovevamo trovare il momento giusto per dirtelo...», prova a spiegare Joselyn. I miei occhi si inchiodano su di lei, con una furia letale che mi annebbia la mente.

Deve ringraziare di essere una ragazza e che mi stia più simpatica di suo fratello, altrimenti sarebbe già col culo per terra.

«Il momento giusto?», ripeto sarcastico. «Prima o dopo averla accompagnata a casa? O magari stavate aspettando che mi bevessi anche una birra in sua compagnia?».

Non posso crederci.

Lei, Allyson, è la figlia della puttana che si è sposato mio padre.

La causa della fine della mia vita e di quella di mia madre. Non potrò mai cancellare dalla memoria come l'ha ridotta quel bastardo di mio padre, umiliandola in quel modo e buttandoci entrambi in mezzo a una strada.

Ha provato anche a chiamarmi, con quale diritto?

Solo perché abbiamo lo stesso sangue che scorre nelle vene?

Non è questo a renderlo un padre.

Il destino sembra continuare a volersi prendere gioco di me e mentre questo pensiero sfiora la mia mente, non posso fare a meno di ridere, una risata priva di qualsiasi emozione.

«Allyson non ha nessuna colpa», esclama Cody ed è lui a spintonarmi questa volta.

«Non mi provocare», lo minaccio.

«Altrimenti? Vuoi picchiarmi?», ribatte invitandomi con un gesto delle mani a farmi sotto.

Le mani, in un gesto automatico dettato dal veleno della rabbia che affluisce letale nelle vene, si serrano in due pugni. Il desiderio di liberare il demone che è in me è troppo forte, ma non ce la faccio, non con lui.

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