Capitolo 26 Damon

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Massaggio la guancia dove sento la sua mano che mi ha come marchiato. Non è di certo il primo schiaffo che ricevo, ma è di sicuro l'unico che mi faccia bruciare la pelle in questo modo. I suoi occhi contro i miei sono diversi; nessuna lacrima sfida il suo sguardo, che non vacilla di fronte al mio. Non doveva andare così. Ripeto a me stesso, sapendo bene di aver sbagliato. Ho vinto una partita che doveva esser persa. Mi ricorda una coscienza alla quale presto ascolto.

«È questo che pensi di me?», le domando. "Sei uno stronzo".

La sua voce continua a urlare nella mia testa, mentre osservo le labbra segnate da una linea dura dalla quale non traspare nessun tipo di emozione, neppure quel suo solito vizio di mordersele quando è nervosa.

«Sì, è quello che penso!», annuisco e non riesco a trattenere un ghigno che rivolgo solo a me stesso e alla mia stupidità.

«Non dovevi venire», incrocia le braccia al petto scuotendo il capo incredula. Osservo i suoi vestiti, i capelli che formano piccole onde sulle punte, il trucco che le incornicia il volto e quasi mi domando perché si sia conciata in questo modo. Forse per me? Domando con stupidità e caccio via il pensiero.

«Non prendo ordini da nessuno tanto meno da te», biascica tamburellando il piede contro l'asfalto. Faccio schioccare la mascella, non mi piace la sua arroganza, nemmeno il suo modo di mettersi sempre in mezzo alle mie cose, anche se era ovvio che sarebbe venuta.

«Come vuoi», sollevo le mani in aria in segno di resa. Alle nostre spalle, le voci di quelli che sono i "nostri amici" attirano la mia attenzione, ma molto di più quella del mio ego. «Ti ripeto la domanda», dico protraendomi verso di lei che tenta di retrocedere, ma si ferma immobile come se fosse attirata da un sottile filo invisibile che non riesce a separarci. «Pensi che sono uno stronzo e che dovrei andare via con lei?», con un cenno della testa indico Tamara... il mio premio.

«Vai pure. L'avresti fatto comunque anche se io non fossi stata qui», gli occhi scivolano dai miei verso l'asfalto. La testa elabora pensieri che non riesco a decifrare., che non mi ostino a non capire.

«Infatti hai ragione», esclamo con tono di stizza e le volto le spalle. Vado a riscuotere ciò che mi spetta. Io e Alec ci scocchiamo un'occhiata che dura un millesimo di secondo prima che il suo sguardo si posi proprio su di lei. Fanculo. Impreco e trascino Tamara prendendola per un braccio.

«Che cazzo fai, Dam?», Cody mi segue fin dentro il locale.

«Lasciami in pace», ringhio.

«Dovevi perdere», incalza.

Sfilo le chiavi della macchina dai pantaloni della tuta: «Aspettami lì», ordino a Tamara che ancheggiando fa come le ho chiesto. «Lo so anche io, ma è andata diversamente, come hai potuto vedere», gli faccio notare sarcastico. Poggio la schiena alla parete dietro di me. «Hai visto anche tu che Alec si faceva picchiare facilmente», dico ripensando alla lotta... la più facile che abbia mai affrontato.

«Lo sapevi che non avresti dovuto sfidarlo, non in questo modo», mormora verso le mie orecchie che riescono ad ascoltare solo il suono della sua voce.

Allyson.

Che vorrei solo poter spegnere come se fosse un interruttore.

«È stato lui a sfidarmi per primo», gli ricordo e senza preoccuparmi di recuperare la maglia esco dal locale. Dannazione. La rabbia, la mia nemica più grande è prevalsa contro quella faccia di merda. Sono certo che la starà consolando.

Le ricorderà che l'aveva messa in guardia da me. Bastardo. Salgo in macchina.

«Dove andiamo?», chiede Tamara facendomi trasalire dal turbinio di pensieri che si danno battaglia fra un cuore che non riconosco e una mente troppo confusa.

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