Guardo il ragazzo che avevo incontrato nella serra della Tufts. «C... Ciao», dico con un filo di imbarazzo. Mi ha davvero chiamata "Mimosa pudica"? Penso, quasi ridendo mentalmente. «Ero... stavo...», non è di certo facile da dire: stavo facendo una seduta di psicanalisi, perché ho giusto qualche problemino. La gente ti tiene a debita distanza, come se avessi appena contratto una qualche forma di malattia contagiosa. Quando a Boston le voci avevano preso a fare il giro dell'intero liceo, mi ero assicurata il primato dell'invisibilità; non ero solo "Ally la cicciona", ero diventata "Ally la psicopatica Cicciona" e mi chiedevo cosa potesse esserci di peggio. Mi sono resa conto che la gente non è cattiva, è molto peggio. Si prende gioco delle tue debolezze, delle tue sofferenze e se non riesci a essere forte, lasciandoti scivolare tutto addosso, arrivi a fare il loro gioco, che è esattamente ciò che vogliono. Scruto le altre targhe affisse e leggo il nome di uno studio legale. «Dovevo lasciare dei documenti per conto di mio padre», indico la targa alle sue spalle, che si volta a guardare annuendo.
«Quindi sei solo di passaggio?», il suo sguardo sorride senza che la bocca segua quell'espressione.
«Sì, esatto e tu?», chiedo a mia volta.
«No, io sono di New York, studio alla Columbia; eravamo in visita alla Tufts per uno studio che stiamo facendo come gemellaggio con i campus», sembra molto interessante detto così. «Comunque sono Davis, Sebastian Davis», mi porge la mano che stringo sorridendo contro la sua risata che scoppia spontanea. «Scusa...», si sposta il ciuffo che gli ricade ribelle sulla fronte, «ma hai un vero nome o devo continuare a chiamarti Mimosa?», sento le guance prendere colore per una delle mie tante figure da aggiungere a una lista che non ha una fine.
«Sì, scusa, sono Allyson, Allyson Evans», annuisce compiaciuto.
«Ci vediamo, Ally, magari quando torno alla Tufts, il prossimo mese, potremmo prendere un caffè», lo saluto con un cenno della mano, allo stesso tempo che entro in ascensore e aspetto che le porte si chiudano. Butto un occhio ai tavoli della caffetteria al pianoterra e non riesco a scorgerlo fra le persone intente a conversare tranquillamente di fronte ai loro caffè. Dove può essere andato? Esco dal palazzo e lo intravedo dall'altro lato della strada, che gesticola animatamente mentre parla al cellulare. Non so se avvicinarmi o aspettare che concluda la conversazione. L'aria è pungente, sono già le cinque e mezza passate del pomeriggio e ci attendono quattro ore di viaggio per il rientro.
Ripenso alla conversazione con la dottoressa Sanders, al confronto che dovrei avere con mia madre. Non le ho mai detto cosa accompagnava le mie giornate nella sua totale assenza, non conosce le lacrime che ho versato per quelle telefonate che aspettavo con ansia, nella speranza di sentirla solo per chiedermi semplicemente com'era andata la giornata. Il telefono non ha mai squillato nel primo periodo e quel silenzio riempiva la mia testa di mille parole che non riuscivo... non potevo scacciare.
«Tutto bene?», la sua voce mi fa trasalire dai pensieri e i miei occhi incontrano i suoi, che mi scrutano con apprensione.
«Sì. Tutto bene, tua zia è fantastica», dico con entusiasmo raccontandogli dell'acquario e di come quel suo discorso sia entrato in una parte molto profonda di me... quella che vuole rinascere per essere la donna che nei sogni da bambina mi sono sempre immaginata.
«Credo che mia zia e la parola fantastica non possano stare nella stessa frase», risponde accigliandosi mentre ci apprestiamo a salire in auto.
«Allora perché mi hai portata da lei?», in quell'istante ricordo che dovrei essere furiosa con lui per aver pagato la seduta, quasi mi stava sfuggendo, non gli lascio il tempo di replicare che aggiungo piccata. «Ah... vorrei tanto sapere perché hai pagato la seduta», mi scocca un'occhiata che non mi piace affatto mentre si immette nel traffico della città.
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UN AMORE PROIBITO Cuori Spezzati
RomanceDamon Sanders, due occhi magnetici e letali che sanno scavarti l'anima, un corpo marchiato, dove i tatuaggi altro non sono che profonde cicatrici che nessuno conosce. Dopo due anni, nei quali ha lasciato perdere le sue tracce, fa ritorno a Medford...