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Elisa :

Dopo essere tornata a casa mi sono fatta una doccia e ho dato appuntamento ad Anna in un bar vicino al Duomo di Trieste.

Proprio qui perché fanno dei waffol davvero buoni e con questa scusa Anna sarebbe venuta sicuramente. Ovviamente con suo solito ritardo, la sto aspettando da ormai dieci minuti ma ci eravamo date appuntamento per venti minuti fa.

Appena arriva, con tutta la calma del mondo, con gli occhiali da sole sulla testa e almeno due buste pieni di vestiti o scarpe, si ferma davanti ad una vetrina, la osserva e ci entra. Incredibile. Mi farà impazzire questa ragazza.

Intanto vado a sedermi siccome sono stanca di stare in piedi. Neanche il tempo di posare il telefono sul tavolino e un cameriere, giovane, molto alto, capelli biondi e occhi verdi mi si avvicina. «Buon giorno signorina, cosa desidera ordinare in questa splendida domenica mattina di Trieste? Uh ma che bel braccialetto che indossa. Ne ho regalato uno simile alla mia ragazza. Sa la amo molto e dopo un anno non sapevo proprio che regalarle, è una ragazza alquanto complicata ma dannatamente bella, mi piace chiamarla cucciola sapendo che odia essere chiamata così. Tornando a noi, cucciola, cosa desidera ordinare, cucciola?» intanto si è seduti vicino a me e continua a guardarmi con quei suoi occhi magnetici.

«Smettila di chiamarmi così, cretino» sorrido spingendolo ancora di più sulla sedia. Lui velocemente mi bacia il sorriso e ritorna al suo posto.

Gli sistemo velocemente il grembiule di lavoro e la targhetta con il suo nome sopra. Angelo.

Quanto odio questo "completo" di lavoro. Non si addice affatto all'arredamento del locale. Appena si entra si vedono il bancone verniciato rosso, con sgabelli blu, dei tavolini tipo antichi, con il vetro, e le gambe in metallo dipinte di un verde scuro, le sedie, anch'esse antiche, rosa pallido. Le pareti sono azzurro chiaro, viola chiaro, perla e verde pistacchio. Vicino al bancone una vetrata dove sono esposti vari pasticcini.

In una stanza vicina, due tavoli da biliardo e un televisore. In una terza stanza, dove vengo gran parte delle mie sere con i miei amici, un altro bancone fornito solo di alcolici, qualche cassa per la musica, un po di divanetti e qualche quadro appeso ai muri pieni di tutte le sfumature possibili di tutti i colori.

«Aspetti Anna?» mi chiede Angelo.

Non faccio in tempo a rispondergli che lei arriva magicamente con il doppio delle buste di prima e un sorriso raggiante sul suo viso un po truccato. «Non puoi capire quanti negozi in saldo ho trovato. Devi vedere un vestitino, ti starebbe stra bene con le scarpe laccate rosse. Oddio ti immagino scendere le scale vestita così, i capelli portati indietro da delle forcine, il rossetto bordeaux e sugl'occhi truccata rigorosamente nero. La borsetta rossa e nera. Saresti fa.vo.lo.sa» oddio ora inizia a parlare a vanvera. Vedo Angelo che sghignazza per lo strano modo di fare di Anna. La interrompo prima che mi descriva dettaglio dopo dettaglio tutte le compere che ha fatto.

«Anna basta. Mi farai vedere a casa okay? Ora ordiniamo » mette su un broncio adorabile ma non ci faccio molto caso. «pago io per te» aggiungo. Ricomincia a sorridere e inizia a muovere le braccia come una bimba, io scuoto la testa sorridendo.

Angelo tira fuori il suo blocco per appunti e una penna e si gira verso Anna aspettando la sua ordinazione. «Un waffol con la nutella, uno con una pallina di gelato al pistacchio, una di bacio e una di fior di latte. Un cappuccino, un succo all'ananas. Un cornetto alla nutella.»

Angelo ha dovuto girare pagina per quanto ha scritto. Poi si gira verso di me ridendo. Quel sorriso è la mia salvezza.

Io ordino solo un cappuccino. Anna vedendo che non ha scritto la mia ordinazione fa una faccia perplessa. «Ei perché non lo scrivi?»
«Perché lei, al tuo contrario, non si ordina mezzo bar» le fa l' occhiolino, mi bacia sulla testa e se ne va.
Inizio ad osservare Anna seria, e lei capisce che devo parlarle di un argomento serio. È ricca, mica stupida. Inizia a guardarsi le unghie nervosa, ad accendere e spegnere il telefono per vedere se ha notifiche.
«An» la chiamo. Nulla
«Anna» riprovo. Nulla.
Le appoggio la mano sul ginocchio, lei sussulta. Capisco che questa storia va ben oltre me. C'è qualcosa di più grande. E la conferma è quando vedo gli occhi lucidi e disperati di Anna. Le accarezzo la guancia e tento di abbracciarla ma lei prende tutte le sue buste e se ne va via. Decido di lasciarla andare. La conosco.
Intanto Angelo torna con le nostre ordinazioni. «Dov'è andata quella cosetta?» si siede di nuovo vicino a me.
«Sua madre l'ha chiamata e le ha detto di tornare a casa e lei è andata.» gli sorrido.
«Ah senti io ho finito il turno. Vieni a casa mia? Dovrebbero arrivare tutti quanti, giochiamo con la play e mangiamo una pizza. Vuoi?»
Decido di accettare. Porto a casa il cibo che ha ordinato Anna, avviso mia madre che sarei andata da Angelo e vado via. 

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