20 (EPILOGO). All For Love

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Avevo lasciato casa prima ancora di realizzarlo. I mobili erano stati già presi da responsabili per poterli trasferire a St Louis - di nuovo - e così anche la mia auto. Per l'aereo che avrei preso durante il pomeriggio, dovevo aspettare ancora un'ora. Fido era stato ingabbiato e si trovava vicino ai miei piedi, sul pavimento dell'aeroporto. Stava piagnucolando perché voleva uscire, ma non volevo liberarlo, perciò lo lasciai lì. Seduta su una delle classiche panche presenti negli aeroporti, meditai su cosa avrei fatto una volta tornata a St Louis, se la vita che anni prima avevo vissuto in quella città sarebbe tornata a farmi visita e se mi sarei trovata bene. Mi chiesi che cosa avrebbero fatto tutte le persone che avevo conosciuto a Santa Monica, perfino quella cameriera che aveva preso di mira Travis la prima volta che eravamo usciti insieme. Ricordai qualsiasi cosa che avevo fatto nell'ultimo tempo e fu inevitabile non trovare una persona in ogni singolo ricordo; Travis, come avevo già considerato, sarebbe stato per sempre un fuoco che non si sarebbe spento con tanta facilità: lui non passava mai inosservato nella vita delle persone e questa cosa mi doleva, perché avevo promesso a me stessa di non pensare a lui ma lo stavo facendo. Sapevo che, per quanto fossi orgogliosa, Travis sarebbe restato nell'angolo più remoto della mia mente e da lì non se ne sarebbe mai andato. Eppure non mi apparteneva più ed io non appartenevo più a lui... però i nostri cuori, in un modo o nell'altro, avrebbero trovato sempre un modo per rincontrarsi e su questo ne ero certa.
«È ora di andare.» Mia madre si era parata di fronte a me ed ora mi sorrideva, come se non stesse per succedere nulla.
Annuii, distogliendo lo sguardo. Presi la gabbia di Fido, che emise un verso di lamento, e così anche la mia valigia e la leggera tracolla che tenevo appesa sulla mia spalla.
Papà portava la valigia di mia madre e la sua e mi sorrise quando i nostri sguardi si incontrarono. «Ti prometto che da oggi in poi saremo una famiglia più unita.»
Gli sorrisi dolcemente. «Lo siamo già, papà.»
Si avvicinò a me e premette quelle labbra rosee e sottili sulla mia fronte.
Chiusi gli occhi e sospirai. Mi sarebbe mancata tantissimo Santa Monica e l'oceano Pacifico.
La mamma si mise in marcia per prima, a seguire mio padre.
Io fui incerta sul da farsi. Non sapevo se fossi realmente pronta a lasciare l'unica città che mi aveva portato felicità e amore, per modo di dire. Non sapevo di essere pronta ad abbandonare ogni cosa. Non sapevo e non avevo proprio idea se sarei riuscita a dimenticarmi di me stessa per poter essere una persona migliore. Non sapevo un sacco di cose e stavo per mollare tutto ed esclamare ancora una volta che non potevo lasciare la città, ma una vocina alle mie spalle mi fece tornare al mondo. Mi voltai.
«Ehi! Sei tu Lux, vero?» Era una bambina di almeno sette anni. Aveva due codini che raccoglievano i suoi capelli castani e due grandi occhi verdi che mi guardavano curiosi. Aveva una rosa bianca in mano, una rosa profumata e bellissima. Mi chiesi che cosa ci facesse una bambina come lei, da sola, in un aeroporto con una rosa in mano. Scrutandola, ero certa di non aver mai visto un faccino così adorabile prima di allora.
Aggrottai la fronte. «Sono io. Tu chi sei? Dove sono i tuoi genitori?» Chiesi, un po' preoccupata per lei.
La bambina ridacchiò e indicò alle sue spalle una coppia di coniugi che stava sorridendo con complicità davanti la nostra strana conversazione. Sua madre le assomigliava davvero tanto.
Tornai a guardare la bambina, ancor più confusa di prima. «Okay... allora, piccola, che cosa ci fai con una rosa in mano?» Le sorrisi un po' per evitare di evidenziare troppo la mia agitazione.
«Me l'ha data un ragazzo. Ha detto che non sarebbe riuscito a dartela se ti avesse guardato negli occhi. Ora se ne è andato.»
Smisi di respirare mentre spalancavo gli occhi. Corsi a guardarmi in giro: non poteva essere venuto fin qui per me.
Nel frattempo, la bambina mi porse la rosa. «L'ha data a me, spiegando il tutto ai miei genitori. Sembrava molto triste.» Continuò a spiegare, porgendomela. «Si chiamava Travis, mi pare. Ha detto che ti avrebbe fatto piacere, se avessi capito.» Si avvicinò un po', come per sussurrare un segreto che voleva far rimanere fra me e lei. «Non mi chiedere cosa, non l'ho capito neanche io.»
Sentire parlare quella voce pura e piccola di quella bambina e il grande gesto che aveva fatto Travis Bernard per me, ebbi le lacrime agli occhi. Presi la rosa dalle piccole mani della bambina. «T-ti ringrazio davvero tanto.»
«Non c'è di che! Comunque, sono Jenna, se un giorno ci rincontreremo.» Esultò. «Spero che andrà tutto bene fra te e lui.»
Mi morsi le labbra e mi asciugai una lacrima. «Non potrebbe andare meglio, Jenna.»
Corse via dai suoi genitori, i quali mi salutarono come se fossi una loro vecchia amica. Li salutai anche io, continuandoli a guardare anche quando si allontanarono dal punto di partenza.
Guardai la rosa, annusandola. Sorrisi. Non sapevo il perché e non sapevo neanche come, ma riuscii a sentire il dolce profumo di Travis. «Mi manchi già.» Sussurrai, isolata dal resto del mondo.
Impugnai quella rosa, assieme a tutti i bagagli che avevo già con me, e raggiunsi i miei genitori che avevano visto tutto.
«Travis.» Dissi semplicemente, facendo un cenno alla rosa.
La mamma sorrise e mi accarezzò i capelli.
Mio padre fece altrettanto. «Se ti ha reso felice per tutto questo tempo, troverà un modo per ritornare da te.» Mi sussurrò.
Mi morsi il labbro per evitare un altro pianto inutile.
Tornammo a camminare verso l'esterno per raggiungere l'aereo che ci stava aspettando.
Diedi agli addetti dell'imbarco le mie valige e la gabbia di Fido, avvisando loro che dovevano trattarlo bene. Non mi aspettai un'entrata di scena da parte di Travis. Semplicemente... pensavo che era giusto che tutto stesse andando in quella maniera. Era perfetto.
Salii immediatamente sulla scala che mi condusse all'interno dell'aereo e trovai il mio posto accanto al finestrino. Si. Ero pronta a lasciare la città. Ero pronta a lasciare Santa Monica che, nel frattempo, aveva lasciato nella mia mente e nel mio cuore lezioni di vita che non avrei mai dimenticato. Era valsa la pena vivere in California ed andarmene da lì come se avessi vinto una battaglia che non sapevo neanche di aver combattuto. Me ne andai da quello stato capendo che nella vita bisogna amare, amare sempre e incondizionatamente. Senza amore non si è liberi di essere, né tanto meno di vivere. Bisogna combattere per ciò che vogliamo, per ciò che siamo e per ciò in cui crediamo. Nella vita bisogna essere gentili, avere pazienza, curare cuori che sono stati feriti, perché un giorno arriverà qualcuno che avrà bisogno di noi e noi non sapremo come agire. Ho aiutato molte persone nella mia vita; sono stata gentile e calma nei confronti di qualsiasi persona che ho incontrato lungo la mia rotta verso la felicità. Ho seguito l'insegnamento di Santa Monica ancor prima di riceverlo. Non do la colpa a Travis per la persona che sono diventata dopo Santa Monica; lui è stato l'insegnamento più grande e più struggente che io abbia mai imparato. Ho trasformato una persona che non voleva essere salvata in una persona che aveva un disperato bisogno di essere capita e amata. Travis è stato l'insegnamento più complicato. Un insegnamento che mi porto ancora nel cuore.
Ed ora, nonostante stia parlando una Lux diversa da Santa Monica, ho capito che dovunque sia, qualunque cosa stia facendo, comunque sia andata la nostra storia, Travis Bernard rimarrà sempre quell'insegnamento che non ho mai concluso del tutto e rimarrà sempre la persona che io abbia mai amato veramente e mi manca ogni giorno, ogni volta che respiro.

Fine e grazie davvero per aver
letto questa storia
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