IN VIAGGIO

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L'espresso di Hogwarts correva nei campi inglesi con la monotona lentezza che aveva ogni maledetto anno. Narcissa Black aveva la fronte appoggiata al finestrino, e osservava annoiata i campi susseguirsi ai casali, ai ponti, ai...

- Cissy, cosa hai?

Andromeda le accarezzò distratta la testa bionda, alzando lo sguardo dal libro per un attimo.

- Non hai voglia di tornare a casa?

Narcissa appoggiò la testa sulla spalla della sorella maggiore.

- Non ho nulla, sono solo un po' stanca. Tu invece, sei sicura di voler restare qua con me? Non vuoi andare con i tuoi amici?

Andie rise cristallina.

- Oh, smettila Cissy. Mi fa piacere stare qua con te. Sei tu piuttosto che dovresti stare con i tuoi amici, o con quelli di Bella.

Cissy agitò la mano con il naso aggrottato.

- Oh, la gente che frequenta Bella sarebbe da rinchiudere al San Mungo. Sono certa che alcuni di loro non hanno neppure un neurone.

Andromeda rise.

- Oh, Cissy, non è vero dai. Magari c'è qualcuno di simpatico, invece.

Cissy chiuse gli occhi disgustata e sbadigliò.

- No, affatto.

Narcissa era pronta ad iniziare il quinto anno, Bella il sesto e Andie era ormai all'ultimo anno di scuola, dopo averla frequentata da studentessa esemplare per tutta la sua durata. Ma se Andie era rimasta la calma e decisa ragazza della sua infanzia, così Bella era rimasta la ribelle dai ricci neri.

Andie definiva le sue compagnie un po' strane, Druella non ne sapeva niente, e Cissy evitava di esprimersi. Bellatrix Black frequentava i serpeverde meno raccomandabili di Hogwarts da anni, a detta di Cissy.

Andromeda sorrise alla sorellina.

- Cissy, so cosa pensi di loro, ma magari non sono tutti così male.

- Parli come mamma.

Sbottò la bionda.

Andromeda si rabbuiò.

- Non ti sto cercando un pretendente, Cissy. Odio questa pratica come la odi tu, sorellina. E  non sono come mamma.

Narcissa annuì e abbracciò la sorella.

- Lo so scusa.

In quel momento la porta dello scompartimento si aprì di scatto e comparve una testa scura.

- Ciao cugine.

Sirius.

Era in camicia bianca, pantaloni neri, stivali in pelle di drago, neri anche quelli, capelli dello stesso colore degli stivali lunghi fino a sotto le orecchie, naso dritto, sorriso sghembo sulle labbra sottili e una vistosa sciarpa rossa e oro al collo.

Da Grifondoro.

Era stato uno shock per tutti, quando a casa Black era arrivata la laconica lettera dell'allora undicenne Sirius con due righe sullo smistamento avvenuto. Grifondoro. Il primo Black di sempre ad essere qualcosa di diverso da Serpeverde.  E non qualcosa casuale, ma con tutte le casate che c'erano proprio un grifone.

Zia Walburga aveva evitato a malapena un colpo al cuore, e zio Orion aveva contattato il preside per sapere cosa fosse successo. La risposta era stata laconica quasi quanto la lettera del figlio "E' il cappello a scegliere, signor Black".

E così ora Sirius era un fierissimo Grifondoro. Talmente fiero da litigare ogni giorno con sua madre, da appendere stendardi rossi e oro alle pareti della sua stanza (insieme a foto di cose babbane di nome motociclette e di cose non babbane chiamate donne mezze nude). Aveva una cricca di amici purosangue e non (-Il sangue non si vede, madre, le azioni delle persone sì.) e non sopportava nessuno della sua famiglia, tranne le cugine e il fratello.

TO BE A BLACKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora