Capitolo cinque/ Altalene

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Questa è una fermata privata. Si prega di non scendere e... mmh... Sun, tu sei pregata di scendere.
Mi alzai e raccolsi le mie cose in fretta e furia, presa dall'imbarazzo per tutti coloro che si giravano verso di me e probabilmente si chiedevano perché avessi quel nome tanto strano. Quando passai di fronte a Samuel, gli sorrisi come se ci conoscessimo da anni, lasciandolo perplesso. L'ultima volta che aveva avuto modo di vedere la mia espressione, poche ore prima, ero arrabbiata nera con lui perché ci stava provando con mia zia.
"Ciao, Samu. Grazie di tutto"
"Sei una ragazza davvero strana, sai? Mi ricorderò di te", rispose sorridendo.
"Me l'hanno detto in tanti, sì", annuii.
"Se hai bisogno di qualcosa, chiamami", mi intimò scribacchiando qualcosa su un bigliettino e dandomela.
"Mmh-mmh"
Scesi e appoggiai le mie cose per osservare la casa, già sfinita di quello che stava succedendo.
Era grande, e il colore di origine doveva essere il bianco; tuttavia ogni spazio, ogni muro era riempito di colori, finemente dipinto da qualcuno che, evidentemente, si divertiva molto nel disegnare ciò che più gli piaceva su una superficie così grande. Sulla facciata sinistra era rappresentato il mare con i suoi colori sgargianti di un tramonto, che viravano dall'arancio al rosa. Le balene erano grandissime, quasi a grandezza naturale. Sulla facciata destra era rappresentato un occhio gigantesco, splendido ma che mi metteva in soggezione, così dettagliato; su quella davanti, con la porta e che dava sulla strada, l'artista aveva scelto un semplice cielo, con nuvole singolari, di ogni colore dell'arcobaleno.
Il giardino era poco curato; l'erba era molto alta, arrivante a metà coscia, e sembrava lasciata allo sbaraglio da anni, così come la recinzione bianco sporco. Le finestre erano gialle e la porta azzurra, mentre sul tetto sbocciavano fiori di rampicanti. Dovevo ammettere che era la cosa più bella che avessi mai visto, rispetto ai palazzi del mio quartiere di Londra, tutti uguali in modo freddo e vuoto.
Bussai sul cancello ma questo, senza benché minimo sforzo, si aprì cigolando. Riflettei che se fossi stata un malintenzionato avrei potuto benissimo ammazzare, ad uno ad uno, tutti i ragazzi della casa senza particolari difficoltà, ma probabilmente qui abitavano le tipiche persone convinte che la vita fosse facile come un giro sulle montagne russe.
Mi avviai ciondolando verso la porta per via del peso della mia valigia e la mia borsa contenenti tutto ciò che avevo.
Bussai insistentemente alla porta azzurra e aspettai qualche secondo chiedendomi se il mio aspetto fosse decente. In realtà, no. Indossavo quel maglione deforme e un jeans nero non particolarmente nuovo, strappato sul ginocchio ma non intenzionalmente.
Ma perché mi importava tanto? Quelli non erano e non sarebbero stati miei amici. Ero qui solo per far contenta Lyse e per farla pagare a Diego che mi aveva tradita.
Aspettai che da un momento all'altro qualcuno aprisse la porta, ma niente. Nessuno e nessun segnale di vita. Mi stavo cominciando leggermente a preoccupare.
E se fosse stato una trappola? Da chi, esattamente?
Ero sicura che questa era la casa giusta?
In effetti, non sembrava tanto abitata.
Bussai di nuovo e aspettai qualche minuto sentendo gli uccellini che cinguettavano sugli alberi e il sole che picchiava su di me. Mi asciugai il sudore dalla fronte. Tanto, non mi abbronzavo, ma un'insolazione per la mia pelle color mozzarella non era esclusa.
Decisi di fare un giro della casa. Dietro il giardino si estendeva un po' di più, sempre negligente e trasandato. Al centro, c'erano due altalene arrugginite.
Non potendo fare altro, mi avvicinai e mi sedetti su una delle due. Quando ero piccola, mio padre amava spingermi sull'altalena, e io avevo in mente come attimo di più grande felicità quel momento in cui, per i miei giovani anni, toccavo il culmine dell'altezza, sentendo il vento scuotere i miei corti capelli a caschetto. Poi, all'improvviso, mio padre bloccava tutto stringendomi a sé.
"Io me la mangio, questa bimba!"
Sentivo ancora quella voce, chiara e nitida, che mi parlava... Era come se fosse ancora lì accanto a me. Non mi sarei mai scordata il suo tono di voce calmo e profondamente maschile.
Poi, come ogni volta che pensavo a papà, il suo sorriso venne rimpiazzato da una folla accalcata intorno alla sua tomba, il giorno della sua morte. Tutti piangevano addolorati e io mi sporgevo dalla gonna di mia madre per vedere meglio, per poterlo scorgere un'ultima volta, ma non ci riuscivo e capivo di dovergli dire addio per sempre. Non riuscivo a ricordarlo senza pensare a quel momento gelido, che ormai faceva parte della mia infanzia e sarebbe rimasto con me per sempre.
Cercai di riconcentrarmi sul suo sorriso, sul calore del suo abbraccio e della sua risata, ma purtroppo non ci riuscii. Anche quella volta era andata, il suo ricordo mi era scivolato dalle mani insieme a tutti i bei momenti passati insieme.
Riscuotendomi dai pensieri, cercai di focalizzarmi su altro.
A dire il vero, stavo veramente cuocendo. Era quasi mezzogiorno, ero in mezzo al cortile da dieci minuti come una stupida e senza che nessuno fosse venuto verso di me. Se non avessi trovato nessuno entro mezz'ora, avrei preso il prossimo autobus e sarei tornata da Lyse, me lo promisi in quel momento. E poi, naturalmente mi sarei arrabbiata con lei, e le avrei detto che, la prossima volta, era meglio non spedirmi in mezzo al nulla senza soldi per il ritorno e senza la minima possibilità di sapere dove mi trovassi.
Mi rialzai e ripresi a fare il giro della casa, ammirando l'arte sui muri. Era davvero molto espressiva e bella, la adoravo. Avevo da sempre un debole per l'arte.
"Sun!" Sentii chiamare una voce dietro di me che tuttavia non avevo mai sentito.
Mi girai e mi ritrovai davanti una ragazza sconosciuta. Come sapeva il mio nome?
"Ci conosciamo?" Le dissi un po' troppo brusca.
Lei arretrò e per qualche secondo ebbi paura che scappasse, poi scoppiò in una risata argentina.
"Ma no!" I suoi occhi verdi magnetici mi squadrarono da capo a piedi, come soppesando la situazione. "Conosco tua zia, Danalyse. Cioè, tu sei Sun, vero?"
"Sì, sono io, sua nipote."
"Bene!" Disse allegramente. Come faceva questa a essere tanto ottimista sulla vita quando io stavo cercando di capire se dovevo suicidarmi o meno, non lo sapevo. "Mi chiamo Ana. E sono la tua futura coinquilina. Vogliamo tutti molto bene a tua zia, sai. È stata molto generosa a concederci di affittare la casa. E anche di renderla nostra!" Disse indicando i dipinti sui muri.
"Ah, li avete fatti voi?", chiesi incuriosita.
"Sì. Li ha fatti Sean. È un grande artista, sai. Ma, andiamo! Dove hai messo le cose?"
"Le ho lasciate all'entrata", risposi. Ci avviammo verso la fiancata principale.
"Eccole", dissi indicando la mia valigia e la borsa.
"Be', hai poche cose, questo è sicuro", rise. "Per essere una femmina..."
"Diciamo di sì. Non sono una che fa caso a come si veste, non si vede?" , scherzai indicando il mio maglione deforme.
"Questo è un bel problema", dissi fingendosi preoccupata e aggrottando le sopracciglia. "Perché io e Spencer siamo fissate con la moda. Ma fa niente, sei appena arrivata! Andiamo, vorrai riposarti!"

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