Capitolo ventisette- Palloncini

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Mike
Il problema era trovarlo, un lunapark, a metà novembre. Di solito se ne andavano tutti dopo l'estate, quando le normali attività riprendevano. 
Eravamo tutti un po' spaesati, ma entrammo in un bar e chiedemmo alla signora grassoccia dietro al bancone dove potessimo trovarne uno. Lei ci rispose che ce n'era uno abbandonato a qualche chilometro da lì, ma era una zona piuttosto malvista e non ce la consigliava.
Inutile dire che ci andammo senza pensarci due volte. Avrei fatto tutto per ritrovare Sun, per chiederle scusa di persona, per rivedere i suoi occhi e, se non mi avesse voluto perdonare, girare almeno pagina, non rimanere bloccato nel tempo a rinvangare il passato.
Prendemmo l'autobus e arrivammo nella zona verso le undici. Era effettivamente molto desolata, e quelle giostre abbandonate mi mettevano una strana tristezza. Mi facevano ripensare al fatto che io non avevo mai potuto giocare su una qualsiasi di queste giostre, o perlomeno non avevo avuto un genitore che mi incoraggiava da fuori. Avevo perso tutti quei momenti.
L'erba era cresciuta e le giostre erano le più innumerevoli, ma molte erano rovesciate a testa in giù, altre erano rotte e solo alcune rimanevano intatte, ma ferme e senza la possibilità di essere usate. Era tutto così vuoto, e mi chiesi perché Sun non avesse potuto scegliere un posto caldo e accogliente. Mi strinsi nel cappotto rabbrividendo e guardandomi intorno. Non sapevamo cosa fare, dove andare, o perché fossimo lì. Iniziammo a vagare tra le giostre, osservandole ad una ad una e separandoci. Mi sembrava lo scenario di un film horror, e mi chiesi se la mia ex ragazza non avesse assunto un sicario per eliminarci che da un momento all'altro ci sarebbe saltato addosso. Eppure non accadde niente, fino a quando Ana cacciò un urlo, ma non di paura, di sorpresa.
"Cosa ci fa un palloncino giallo in mezzo a delle giostre abbandonate?", chiese sfilandolo dalla giostra a cui era legato. Mi avvicinai prontamente e, scostando un po' di erbe, notai di che giostra si trattava. Un pezzo di montagne russe. Esultai mentre cercavo in ogni parte il famoso bigliettino che ci avrebbe dato le indicazioni per il prossimo posto, e alla fine lo trovai in mezzo a due agganci.
'Bravo, Mike! Hai fame? Lo sai che qui c'è un lungomare fantastico con un sacco di ristoranti? Ah, quante volte noi due ci siamo andati, al lume di candela!'
"Be', almeno questo è chiarissimo", commentò Ana. "Andiamo sul lungomare, dai."
Così lasciammo quel posto solitario, per mio sollievo, e ci dirigemmo verso il lungomare. Era bello, erano circa le quattro del pomeriggio e mi accorsi che non avevamo ancora pranzato, così per prima cosa offrii un gelato alle due ragazze che mi accompagnavano e ci sedemmo su una panchina di fronte al mare per mangiarlo. Nonostante facesse freddo, il gelato mi fece bene e mi diede energia, oltre che sfamarmi.
"Quanto è bello il panorama...", commentò Spencer mettendosi comoda. Aveva finito il gelato prima di tutti.
"Già", annuii osservando le deboli onde del mare e il sole che, pur non scaldando tanto, dava un tocco di colore a quel panorama.
Restammo un attimo in silenzio, ascoltando le macchine che passavano.
"Credete che la ritroveremo?", chiese Ana di punto in bianco, e non c'era bisogno di specificare chi. Tutti e tre eravamo in pensiero per la ragazza dai capelli castani e gli occhi azzurri come il mare che stavamo osservando.
"C'è un solo modo per scoprirlo", dissi alzandomi, presto seguito dalle due ragazze. Buttammo i fazzoletti nel cestino e continuammo la passeggiata alla ricerca di qualcosa che non sapevamo. Camminammo per circa cinque minuti, stando attenti ad ogni dettaglio, finché finalmente vidi qualcosa.
Davanti a noi c'era una pizzeria.
Sunshine.

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