Capitolo dieci/ Orchidee

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"Andiamo a cenare da una parte", mi annunciò Ana, sul sedile posteriore della macchina di Kyle, uno dei dipendenti. Accanto a lei c'era Susan. "Vuoi venire?"
Riflettei alla sua proposta, ma decisi di no. Avevo bisogno di stare da sola. Quando vivevo con mia madre, cenavo da sola in veranda per permettermi di riorganizzare le idee. Era una mia tradizione e la volevo continuare. Il mio cervello, per funzionare al meglio, aveva bisogno di tempo per riflettere in solitudine sulla giornata trascorsa, archiviando i pensieri. Ero una persona strana, lo so, ma ero fatta così: preferivo stare da sola che accettare un invito con tanta gente.
"No, grazie", rifiutai educatamente. "Ho bisogno di stare un po' da sola."
"Sei una persona particolare, Sun", constatò Kyle con interesse, guardandomi con quei suoi occhi nocciola.
"Me lo dicono in tanti", sorrisi.
"Va bene", accettò Ana. "Ti aspetto a casa, d'accordo?"
"Ok"
Partirono veloci verso qualche bar alla moda.
Mi incamminai uscendo dal caffè. Le vie erano piuttosto calme. Il sole stava tramontando e alcuni ragazzi ridevano spensierati, seduti nel giardino di una casa ben curata. Tutto mi sembrava tranquillo; a Londra le cose non andavano così. Per prima cosa, dopo le otto, anche d'estate, non era consigliabile camminare per le strade da soli o anche in gruppo. Poi, le strade non erano mai deserte, ma piene di passanti, gente, movimento. Qui, invece, tutto era calmo. A volte passava qualcuno, ma sorrideva in modo benevolo e non correva; si godeva il sole sulla pelle e la calma di questa serata.
Non sapevo dove stavo andando, ma giunsi a un ristorante piuttosto tranquillo, con alcune persone che parlavano con voci soffuse. Le luci erano basse, sopra ad ogni tavolo troneggiavano vasi di orchidee, e i camerieri portavano piatti fumanti in modo elegante, quasi volassero.
Mi accomodai ad un tavolo nell'angolo, in cui c'era una buona visuale dell'insieme.
"Buonasera", mi salutò il cameriere. Portava la divisa del ristorante, il Mayflowers. Aveva una quarantina d'anni e portava i capelli a spazzola, aveva gli occhi verdi (ma non belli come quelli di Mike, ovvio) e la mascella squadrata. Era bello, aveva un fascino particolare. "Desideri cenare?"
"Sì", annuii, e mi porse il menù, qualche foglio rilegato elegantemente.
Se ne andò lasciandomi alle mie scelte. Dopo dieci minuti tornò per ordinare.
"Sei nuova nella zona?", mi chiese estraendo il taccuino.
"Sì. Si nota tanto?"
"È solo che le persone qua si conoscono tutte. Abiti nella casa di Danalyse, vero?"
"È mia zia", dissi, e lui sembrò sorpreso.
"Oh", esclamò. "In realtà, c'è una leggera somiglianza..."
"La conosce?"
"Di vista, sì. Mi chiamo Marcus", si presentò, porgendomi la mano. "Se hai bisogno di qualcosa, chiamami."
"Piacere, Sun, e... grazie", dissi imbarazzata dalla sua gentilezza. Qui sembravano tutti disponibili, posati... un mondo di favole, in pratica.
"Di nulla... allora, cosa ordiniamo?"
Dopo aver chiesto un'insalata verde e una coca cola, tornai alla contemplazione del ristorante.
Nell'angolo c'era una coppia che si stava baciando. Erano molto dolci, e si vedeva che si conoscono da poco; baci del genere si danno solo all'inizio. Forse era anche il loro primo, visto il desiderio che li pervadeva. Si vedeva da chilometri che si amavano. Questo era l'amore, che gli sconosciuti capiscano dai tuoi gesti e dai tuoi sorrisi che volevi molto bene alla persona con cui stavi, e che eri felice. Avrei voluto un amore del genere, qualcuno che mi tenesse stretta come stava facendo il ragazzo. In modo impacciato, sicuramente; ma non contava, contavano solo i sentimenti che avevano e non come li dimostravano.
Più avanti c'era una ragazza con un neonato. Era la mamma, si vedeva. Ma quanto poteva avere quella ragazza? Al massimo sedici anni. Ero in pena per lei. Come avrebbe fatto a sormontare le imprese della vita, tutte le sfide che comportava avere un figlio, quando lei stessa doveva ancora crescere e scoprire sé stessa? Era una bambina che si occupava di un altro bambino. Rabbrividii; a volte la vita e il destino si mettevano d'accordo per farci brutti scherzi, garantendoci solo difficoltà. Altre volte, invece, riuscivamo a essere più forti noi; lo auguravo a quella giovane mamma dai capelli rossi.
Poi, al tavolo a sinistra della ragazza, c'era un tavolo di amici, che ridevano e scherzavano come commensali. Bevevano vino, univano i bicchieri in un confuso groviglio, chiacchieravano allegramente senza preoccuparsi del chiasso che facevano, che avrebbe potuto disturbare molte persone. Avevano un'amicizia vera e la nutrivano in modo molto bello. Avevano quella specie di luce negli occhi, che caratterizzava chiunque si stava divertendo. Credo che fosse una festa a sorpresa per una ragazza bionda. Sembrava molto sorpresa e improvvisamente si mise a piangere, abbracciando le due ragazze accanto a lei e ringraziando tutti. Chissà se un giorno qualcuno mi avrebbe voluto bene abbastanza da farmi una sorpresa del genere.
Infine, in un tavolo nell'angolo opposto al mio, c'era un vecchio signore che mangiava, da solo, come se intorno a lui non ci fosse tutto quel movimento. Sembrava sospeso, separato dal mondo, rialzato dai suoi pensieri. Aveva gli occhi lucidi e una barba incolta; ai suoi piedi riposava un bellissimo pastore tedesco. Era quel tipo di persona impenetrabile, il saggio del villaggio. In un'altra occasione, mi sarebbe piaciuto conoscerlo.
Marcus mi portò il cibo e divorai tutto. Era stata una dura giornata di lavoro.
Mi colpì all'improvviso l'immagine di un ragazzo dagli occhi verdi che piangeva. Non avevo ancora scoperto perché Mike era triste.
Quel ragazzo mi attirava sempre più. C'era qualcosa in lui di speciale. Era come se una calamita ci attirasse insieme, una forza magnetica a cui non potevamo resistere. Con quei suoi occhi a cui pensavo in continuazione... ma anche il suo carattere, forte e deciso, ma con qualche crepa, delle imperfezioni che lasciavano vedere il ragazzo sensibile che è veramente. Cosa gli era successo perché fosse diventato così insensibile?
Tutti noi avevamo un passato, mi resi conto, che ci penalizzava. E tutti noi cercavamo di nasconderlo.
Mi alzai e pagai il conto, lasciando una mancia per Marcus, e lo salutai con un cenno della testa.
Passeggiai per le strade per ore e ore, osservando quella piccola città alla luce sgradevole dei lampioni. Era un vero labirinto di vie, viali, strade e quant'altro. Questo posto permeava di vita, ma non come Londra; Londra era impersonale. Ci vivevano molte persone, ma non c'era niente di veramente atipico, personale, straordinario. Londra era semplicemente una città. Questo posto, invece, vibrava della storia delle persone che ci avevano vissuto e che ci sarebbero vissute. Già il fatto che tutti si conoscevano aumentava la famigliarità e il senso di casa. Doveva essere piacevole per tutti tornare lì dopo un lungo viaggio.
Rientrai a casa a piedi. Anche se eravamo venuti in macchina, a piedi ci volevano solo una quarantina di minuti. Osservai le praterie dove ieri sera ci eravamo seduti ad osservare le stelle. Era stata la prima volta che avevo sentito qualcosa, avevo visto la mia corazza sciogliersi, e tutto grazie a Mike. Non va bene, Sun, se mostri i sentimenti soffrirai, come hai sofferto con Diego, con tua mamma e come, stanne certa, stai per soffrire per Mike.

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