Capitolo quattro/ Fazzoletti

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Mi risvegliai con una voce che mi stava urlando di alzarmi, insinuandosi nei miei sogni.
"Sun, devi prendere il treno!", mi gridò mia zia.
Mi alzai a fatica dal grigio letto dove qualcuno la sera prima mi aveva riposta e andai in cucina. Danalyse stava preparando la colazione ma, come mio solito, non avevo proprio fame. E questo era un peccato, considerando le allettanti uova e bacon che si trovavano davanti a me.
Mi ricordai che da piccola non saltavo mai i pasti. Ero sempre affamata e spesso ero io a chiedere di fare merenda, o la tipica domanda "quando si cena?" o "cosa si mangia?" era nella mia abitudine. Poi, però, il mio pensiero sul cibo era notevolmente cambiato.
Dopo aver scartato il mio pasto, tornai in camera e mi vestii il più banalmente possibile. La maggior parte dei miei vestiti erano ereditati da amiche a cui essi non stavano più bene. Ogni volta che venivano a darmi cartoni di vestiti, sentivo un groppo in gola quando ero obbligata a ringraziare, mentre avrei voluto buttare tutto nel fango. Mi sembrava umiliante.
Mia zia osservò la mia maglia deforme appartenuta a una ragazza di ventidue anni con un corpo massiccio.
"Potevi metterti qualcosa di meglio", disse.
"Potevi trovare un posto migliore dove mandarmi", controbattei. "Merito di meglio che dei perfetti sconosciuti di cui non so niente."
Mia zia sembrò ferita. "Appena arriverai lì, Sun, capirai perché ti ci ho mandata. Tu sei sempre scappata da tutto e tutti. Abbiamo cambiato casa almeno una trentina di volte. Non hai mai avuto amici veri. Lì incontrerai persone vere, se capisci quello che voglio dire. Amici di cui ti potrai fidare, ragazze come te, ragazzi di cui potrai innamorarti... questo è il meglio che io possa offrirti. Non posso colmare il vuoto che ti hanno lasciato tua madre e tuo padre, Sun, ma posso cercare di regalarti qualcosa paragonabile a una vita."
E con questo, girò i tacchi prendendo la mia valigia e portandola nella sua piccola macchinino rossa. Mi sentivo scossa e non sapevo cosa rispondere a un discorso del genere. Sembrava quasi che avesse ragione, ma la mia parte testarda si ostinava a gridarmi che era colpa sua e che io non volevo andare dove stavo andando. Comunque, nel più assoluto silenzio, uscii da quell'appartamento che aveva significato così tanto, non sapendo minimamente quando e se ci sarei tornata, e seguii mia zia fino alla strada, dove era parcheggiata la sua punto blu scura. Dopo aver caricato la mia valigia, salimmo e iniziò a guidare. Osservai il portachiavi che si era cucita, un piccolo gufo con gli occhi blu e il corpo rosa. Da piccola amavo quel gufo ma lei non me lo faceva mai toccare. Il rosa e il blu, comunque, erano rimasti i miei colori preferiti.
Arrivammo alla stazione. Mia zia prese la valigia e andò verso un autobus. L'autista era appoggiato al veicolo e stava fumando una sigaretta.
"Samuel, buongiorno", lo salutò mia zia. Sembrava che lei conoscesse tutti. Io, invece, conoscevo a malapena due o tre persone. "Questa è mia nipote, Sun. Viaggerà con voi fino alla contea di Raestain. Mi faresti un favore?"
"Per te qualsiasi cosa, Danalyse", rispose con fare adorante. Davvero questo omaccione stava flirtando con Lyse, la mia cara e innocente zia? Non ci potevo credere.
"Dovresti accompagnarla fino a questo indirizzo. Proprio davanti alla casa, capito?"
Si chinò per dargli un foglietto.
"Va bene", annuì dopo qualche esitazione. "Vuoi che ti carico il bagaglio?"
"Sì, volentieri", dissi.
"Grazie di tutto, Samuel. Non so cosa farei senza di te."
"Probabilmente nulla..." grugnì. "Siamo in partenza. Sun, se vuoi salire..."
"D'accordo", lo interruppi.
Se ne andò trascinando la valigia.
"Allora è venuto il momento, eh..." disse mia zia per spezzare il silenzio che si era creato. Mi abbracciò. Sentii la sua pelle sulla mia che mi stringeva sempre più forte come se avesse avuto paura di vedermi andare via, soffiata dalla brezza leggera.
Osservai, da sopra la sua spalla, una coppia di ragazzi che si stavano come noi salutando. Lei sembrava così triste e lui teneva alla mano una valigia verdognola. La ragazza aveva lunghi capelli biondi che erano raccolti disordinatamente in una coda che non si poteva definire coda. Era bella, stupenda direi. Lui invece era abbastanza normale, aveva i capelli marroni pettinati col gel, portava calzoncini verdi e una maglietta rossa. Vedendo le sue lacrime che la ragazza cercava di nascondere, si chinò su quella che era presumibilmente la sua ragazza e la baciò. Quel bacio mi lasciò senza fiato, come se fossi stata io a darlo. Sembrava che le anime di tutt'e due si stessero intrecciando insieme. Poi si abbracciarono. Chissà se un giorno avrei mai avuto una relazione del genere con qualcuno.
Mia zia mi lasciò andare e mi guardò.
"Buona fortuna, tesoro", disse. "Ti voglio tanto tanto bene. Sei la figlia che non ho mai avuto."
"Anche io ti voglio bene, Lyse", dissi.
Salii sull'autobus e mi sedetti dietro, negli ultimi posti. Misi subito la borsa di fianco a me per evitare che ci si fosse seduto qualcuno. Non volevo che mia zia vedesse le mie lacrime e le nascosi dietro ai miei capelli castani.
Va bene, stiamo per partire... mi chiamo Samuel e sarò il vostro autista per le prossime due ore, così... oh, al diavolo, buon viaggio
Le sue reazioni bizarre mi fecero ridere.
Da parte mia, presi il telefono. 26 chiamate perse da Diego. Oh, ma per favore, non fingiamo che io fossi stata importante nella sua vita! Io non ero importante per nessuno. Ero solo una stella filante, che magari ti sembrava bella per due o tre secondi, ma poi scompariva, e tu ricominciavi a fare la tua vita tranquillamente.
Però, se continuava a chiamare nei più svariati momenti, sarebbe stato fastidioso. Meglio risolvere il problema...
Come leggendomi nel pensiero, mi squillò il telefono. E chi poteva essere, oltre lui?
"Pronto Diego.", dissi annoiata.
"Sun! Ma che ti prende a scomparire così? Ho provato anche a chiamare tua madre, figurati!"
"C'è un motivo preciso", risposi alzando gli occhi al cielo. "Lei si è suicidata e io, be', sto partendo per una nuova vita. Sono su un pullman, adesso, Diego."
"Aspetta, frena", disse lui a quanto pare confuso. "Lei è morta?"
"Sì"
"Oddio Sun, mi dispiace tanto..."
"Senti, non ho più tempo da perdere", tagliai corto. "Ti ho voluto bene, ok? Ma ti pregherei di non chiamarmi più per, diciamo, il resto della mia vita. E cancella il mio numero, tanto che ci sei."
"Ma, Sun... non ti riferirai mica all'episodio con Samyra, vero? È per questo che sei fredda e distaccata da qualche giorno?"
A sentire il suo nome, mi vennero le lacrime agli occhi.
"No, non è per quello, Diego. Tanto tu ami lei, non è vero? Be', ti auguro tanti figli, una casa grande e magari anche un cane. Ciao e buon proseguimento"
Riattaccai. Lui mi richiamò ma io spensi il telefono e guardai fuori dal finestrino.
Samyra era la mia migliore amica. Sapeva della mia cotta per Diego. C'eravamo incontrate l'estate, in spiaggia. Poi, una sera, avevo deciso di presentarla a Diego per vedere come lo trovava. Lei si era appena trasferita, volevo farla sentire a suo agio... anche Diego a quanto pare, perché fu molto gentile con lei. Per me questo andava bene, anzi, amavo quel suo fare premuroso. Ma peccato che Samyra si innamorò anche lei di Diego, proprio come me, come una fotocopia perfettamente presa.
Tre giorni prima del suicidio di mia mamma li trovai che si baciavano. Fu anche per questo che accettai di andarmene: mi faceva troppo male stare lì con loro. E, era inevitabile, ero arrabbiata con entrambi. Samyra, perché sapeva dei miei sentimenti e Diego, perché... perché non aveva il diritto di stare con un'altra ragazza. Lui era mio.
E ora era tutto finito.

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