Capitolo nove/ Caffè

91 8 0
                                    


Mi svegliai quando il sole era già spuntato, sudando. Avevo sognato mia mamma, ma aveva uno sguardo terribile, non sembrava più lei.
Mi alzai e andai nel bagno comunicante con Ana. Mi sciacquai la faccia con l'acqua gelida e bevvi un sorso. Poi mi misi a piangere. Anche se qui erano fantastici, mi mancavano Diego, i miei amici, la mia casa, Danalyse, la mamma.
E mi sembrava tradire Diego quel che stavo facendo, perché non la smettevo di pensare a Mike, ai suoi occhi verdi, quando qualche giorno prima stavo male per il mio migliore amico...
"Come si chiama?", disse una voce alle mie spalle. Sobbalzai e mi girai, dietro di me c'era Ana, con i capelli arruffati e una camicia da notte bianca. Anche alle sei del mattino, era stupenda.
"Eh?"
"Stavi fissando il vuoto con lo sguardo perso. Chi è lui?", mi chiese di nuovo avvicinandosi piano piano al lavandino, afferrando un bicchiere e riempiendolo d'acqua.
"Nessuno. Non riesco più a dormire."
"Bene, perché neanche io. Oggi inizia il tuo lavoro."
"Ah, giusto. A che ora dobbiamo essere al bar?"
"Di solito verso le sette e mezza."
"Per me è un po' presto."
"Ti ci abituerai. Ci porta Mike che è l'unico che ha la macchina."
A quel pensiero mi venne già mal di testa, ma annuii.
"Ok"
"Dai, tanto lo so che è lui."
"Eh?"
"Lo so che ti piace Mike, non fare la finta tonta. E secondo me anche a lui piaci."
"Ma che dici, lui è solo uno stupido e io non gli posso mica piacere, mi hai vista?"
"Ma se sei bellissima"
"Cara, hai bisogno di una visita dall'oculista."
Rise fragorosamente. Ana, da quel che avevo capito, non aveva mai mezze misure. O faceva una cosa bene, o non la faceva. Penso che attraeva la gente anche per quello.
"Dai, vestiamoci", disse infine.
Annuii e tornai in camera. Quale sarebbe stato l'abbigliamento adatto per il mio primo giorno di lavoro?
Frugai tra l'armadio, alla fine scelsi una camicia bianca, un jeans e un gilet neri e le mie amate Converse, l'unico paio che avevo.
Rientrai in bagno e mi truccai con un po' di eye-liner e un rossetto trasparente. Anche Ana si stava truccando, ed era davvero uno schianto. Indossava un jeans, una maglia bianca e nera ed enormi orecchini, cerchi oro che le pendono dall'orecchio. Si stava piastrando i capelli.
"Wow, sei davvero carina. Chi c'è al bar che ti interessa?"
"Un ragazzo che viene ogni mattina a prendere il caffè, John. È uno schianto."
"E internamente com'è?"
"Sai che sei la prima che me lo chiede?", sorrise Ana. "Alle altre importa solo che sia carino. Però, a me piace perché è tanto dolce con me. Mi lascia sempre una mancia spropositata e mi chiede sempre come sto. Un giorno, la signora Roselin mi stava gridando e lui ha preso le mie difese." 
Una voce maschile ci interruppe.
"Ragazze, io sto andando!"
"Oh, dobbiamo andare", si affrettò Ana.
Uscimmo all'aria aperta. Quel giorno faceva veramente caldo nonostante fossimo a metà settembre, che strano. Mike era vestito con i jeans e una camicia bianca. Andammo verso una Jeep rossa e salimmo, Mike guidava e io gli stavo di fianco, mentre Ana stava dietro.
Diciamo che Mike non era il più bravo a guidare, tutta la macchina ballonzolava e io mi affrettai a mettermi la cintura. Era come andare sulle montagne russe.
Imboccammo una strada con tanti buchi che Mike non faceva nemmeno cenno di evitare. Al terzo mi girai verso di lui irritata.
"Ma, ce l'hai la patente?", chiesi.
"Sì, certo. L'esaminatore era un amico di mio padre."
"Ah, infatti mi pareva a strano che l'avessi avuta onestamente."
"Zitta. Io almeno non parlo di notte con mio padre, che tra l'altro non c'è."
Diventai paonazza. Mi aveva sentita mentre dicevo quelle cose, ieri? Al solo pensiero rabbrividii. Perché doveva essere tutto così complicato?
Per il resto del tragitto restammo silenziosi, Ana leggeva un libro. Il bar era un po' distante ma quando arrivammo in città ne valse la pena.
Era una tranquilla domenica mattina in cui tutti erano spensierati, felici, tranquilli. Davanti a ogni villetta c'erano almeno quattro o cinque bambini che giocavano o donne che prendevano il sole o uomini che giocavano a calcio. Avrei tanto voluto essere una di loro e non avere tutti i problemi che avevo.
Mi girai verso Mike e rimasi sorpresa vedendo che stava guardando nostalgicamente due ragazzini che giocavano a pallone. Forse anche lui non aveva avuto un bel passato, in fin dei conti. Forse sotto la corazza c'era anche un cuore.
Arrivammo davanti a un bar, il Lady in Yellowstone. Era molto accogliente e chiassoso. Cameriere servivano vassoi con piatti fumanti, bacon, uova, persino hamburger. Dentro c'era una grande agitazione. Al bancone c'erano diversi uomini che stavano chiacchierando della scorsa partita di calcio della loro squadra preferita e a sinistra erano disposti dei divani con tanti cuscini e tavolini di legno, tutti occupati. Dietro al bancone c'era una povera donna bionda che stava cercando di tenerli tutti a bada.
"Susan!", chiamò Ana salutandola.
Susan doveva avere sui trent'anni, era alta con capelli liscissimi biondi raccolti in una crocchia disordinata.
"Ciao! Tu devi essere Sun", disse rivolta a me. "La nostra nuova impiegata! Vieni, ti presento Rosalyn."
Mi guidò nella cucina, che era abbastanza spaziosa. Rosalyn stava preparando uova, facendo caffè e cuocendo bacon nello stesso momento, girando da una parte all'altra. Era una donna bassa e grossa, con i capelli castani corti e una semplice vestaglia.
"Rosalyn, è arrivata", disse Susan.
"Chi?", chiese la proprietaria chiudendo un cassetto con il piede mentre posava un caffè sul vassoio.
"Quella nuova! Sun! ricordi?"
"Ah sì sì", disse infine. Si girò verso di me. "Devi essere tu. Senti, non ho il tempo di farti un colloquio, sei assunta, ok? Comincia a servire i clienti."
Mi mise un vassoio con tre tazze di caffè latte in mano  e mi lanciò un grembiule con il logo del bar che infilai sopra ai vestiti.
"Tavolo tre", mi disse.
Uscii cercando disperatamente il tavolo tre. Ana e Mike si erano già eclissati. Strizzai gli occhi distinguendo solo tanta, tanta gente.
Non potevo restarmene qui impalata, bloccavo il traffico. Così mi avvicinai al primo tavolo che trovai e buttai lì il vassoio. Poi corsi verso la cucina prima che qualcuno potesse dirmi niente.
Susan stava preparando altri caffè.
"Quello non era il tavolo tre", mi fece notare sorridendo.
"Se voi non mi fornite informazioni, io non posso fare che indovinare", controbattei a mia volta, giustamente d'altra parte.
"C'è scritto"
Susan mi indicò i tavoli e guardai attentamente. C'erano cartellini posati sopra: tavolo quattro, tavolo cinque, tavolo otto...
che papera che sono!
"Dammi un altra chance", chiesi.
Susan mi diede due succhi dicendo che erano per il tavolo quattordici. Andai in terrazza.
L'atmosfera si era un po' cambiata da quando ero arrivata, erano tutti molto tranquilli e qualcosa attirò la mia attenzione.
Poco lontano dal ristorante, Mike stava parlando al telefono con qualcuno. Era arrabbiato, teneva i pugni stretti ma, quando si girò verso di me, con grande sorpresa scoprii che piangeva. Mike che piangeva? Era successo qualcosa di davvero grave!
Tuttavia, feci finta di niente, abbassai la testa e servii i clienti, che erano una mamma col suo passeggino e un uomo alto e magro che le cingeva la vita. La neonata era stupenda, aveva grandi occhi azzurri e non voleva stare ferma. I suoi genitori erano felici, si baciavano e abbracciavano in continuazione. Chissà da quanto si conoscevano.
Vedendo che Mike era rientrato nel locale, lo seguii silenziosamente, ma si infilò nel bagno dei maschi e non potevo certo aprire la porta. Però, chissà cosa faceva là dentro...
Dopo circa mezz'ora passati a preparare caffè, servire piatti fumanti e aiutare Rosalyn in cucina, potemmo rilassarci. Tutti i clienti si erano eclissati, tranne alcuni che si stavano godendo il sole o altri che finivano il cappuccino.
Vidi Ana che serviva un giovane di bell'aspetto, biondo. Doveva essere John. Lo guardò con un luccichio negli occhi... era veramente innamorata. E anche lui sembrava molto interessato a lei; facendo finta di niente, le sfiorò il polso. Lei si sporse di più verso di lui e rise. Gli sta servendo il cappuccino, ma sapevo che c'era qualcosa di più, quella scintilla che permette di dire a trenta chilometri che due erano innamorati, l'alchimia dei primi giorni.
Nel frattempo Mike ci aveva raggiunti. I suoi occhi smeraldo non lasciavano tracce di aver pianto, e lo ammirai per questo; io, ogni volta che piangevo, mi ritrovavo con gli occhi rossi e le occhiaie che non se ne andavano per mezza giornata. Così tutti mi chiedevano cosa succedeva, io rispondevo niente, loro insistevano, preoccupati, e finiva sempre che li mandavo a quel paese. Tuttavia avrei voluto sapere perché piangeva; non mi sembrava il tipo che lo facesse così, a vuoto, anzi, la maggior parte delle volte nascondeva i suoi sentimenti.
Ci rilassammo, seduti in cerchio, e Rosalyn mi fece il colloquio sotto gli occhi di tutti.
Avevo capito che in questo paesino tutto accadeva apertamente e non c'erano segreti. Era inutile tentare di ostacolare il flusso che aveva preso la vita qui da anni ormai.
"Nome?"
"Sun Mitchell"
"Anni?"
"18"
"Esperienze lavorative?"
"Nessuna"
"Percorso scolastico?"
"Ho fatto il liceo in un istituto tecnico, non so se possa bastare"
"Passato?"
"Non tanto bello, mia mamma si è suicidata e mio padre è morto quand'ero piccola"
Rosalyn mi guardò, sporgendosi verso di me. Si doveva chiedere perché non facevo alcun sforzo per ottenere il posto. Ma io ero sempre stata abbastanza sincera e molto scettica. Come vada vada. Avevo bisogno di quel posto, ma non mi sarei piegata in quattro per averlo.
"Perché vuoi questo posto, Sun?", mi chiese a bassa voce.
Capii che era la mia sola opportunità. O mi lanciavo, o sarei rimasta indietro per tutta la vita.
"Ascolti, Rosalyn, ne ho già passate tante. Non sarò bella e nemmeno simpatica, e forse è per questo che la gente non mi vuole. È vero, non ho esperienze lavorative, ma imparo in fretta. Sopravvivo, no? L'ho sempre fatto, e senza l'aiuto di nessuno. Voglio questo posto per iniziare a vivere. A modo mio, intendo. Finora non l'ho mai fatto. E per guadagnare soldi, in modo da poter essere indipendente. Voglio che, lassù, i miei genitori sorridano vedendomi rinascere, ovunque siano. E anche se non mi ascoltano, voglio vendicarli. Voglio essere una brava figlia, per una volta in vita mia."
"Assunta!", disse Rosalyn, per poi alzarsi e riordinare quel che restava. Anche se non lo dava a vedere, so che l'avevo commossa. Ero brava, quando volevo.
"Congratulazioni!", gridò Ana abbracciandomi. Tutti sorrisero felici e mi diedero pacche sulla schiena. Mi girai e incontrai accidentalmente lo sguardo di Mike.
"Sì, sei stata brava", disse indifferente, alzando le spalle.
Mi girai verso Ana, contenta di me stessa. Avevo ottenuto ciò che volevo e forse, per la prima volta, mi sentivo felice.

Sun Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora