Capitolo 1
La Croce era costituita da due linee immaginarie, intersecate tra loro perpendicolarmente, che attraversavano l'America.
Il punto di unione di queste era spostato, notevolmente ad Ovest, rispetto al centro dello Stato.
All'interno vigeva la pace.
I membri dell'A.S.A – Associazione Sangue d'Argento – ovvero i cacciatori, e i licantropi vivevano gli uni accanto agli altri, assieme agli inconsapevoli umani.
Erano linee neurali, istituite ormai secoli addietro.
Ovviamente se mai mi fossi chiesta, cosa che mi ero sempre ripromessa di non fare, per non mettere troppo a repentaglio la mia sanità mentale, dove abitasse il capo dell'A.S.A, la risposta sarebbe stata semplice. Nella confluenza della Croce.
Ed eccoci perciò a Cobourn. Una delle cittadine più importanti, per il mondo del paranormale.
Era apparsa tranquilla, ma ebbra di vita agli occhi di chi, come me, aveva passato gli ultimi sette anni in campagna.
C'erano fiumane di persone, intente a camminare per le strade. Uscivano ed entravano dai negozi, parlavano al telefono, ascoltavano la musica o semplicemente si salutavano.
I rumori però ero qualcosa a cui non ero più abituata. Caotici e indistinti, mi ero ritrovata a sobbalzare più di una volte, in auto, spaventata.
Avevo i nervi a fior di pelle.
Se nessuno mi avesse detto della sua collocazione non l'avrei degnata di uno sguardo così attento, però.
Molte città di provincia dovevano apparire simili.
Lasciammo presto le strade trafficate, per immetterci in direzione dei boschi.
Il centro sorgeva, infatti, tutto in pianura, ma da un lato si vi era una collina, che pareva dividerla e allo stesso tempo proteggerla dal successivo nucleo di abitazioni.
Questa era l'unico punto verde che spiccasse. Appariva completamente ricoperta di vegetazione, tanto che per un secondo mi chiesi se non avessimo sbagliato strada.
Superate le prime due curve, però, il passaggio si allargò, lasciandoci in una via, ai piedi della flora, ricca di villette.
Doveva essere una zona residenziale, tra le più care, dato che lì non si udiva nessun suono urbano. La percorremmo tutta.
Erano case a schiera tutte uguali.
Curatissime, con un gran giardino a disposizione, erano in stile neo classico. Ognuna aveva un bel porticato di colonne, e quasi certamente una piscina sul retro.
Vi erano per lo più parcheggiate, nei vialetti, auto sportive e su nessun prato mi stupì, di non vedere, giochi o qualcosa che sottolineasse la presenza di un bambino.
A quel pensiero strinsi a me Haru. Si era addormentato, fortunatamente in forma umana.
Avevo idea che dove stessimo andando non avrebbero amato, particolarmente, la nostra presenza.
Varcammo un cancello di ferro battuto, già aperto. Su uno dei pilastri, che sottolineava l'inizio della tenuta, vi era una grossa targa per portava scritto il nome dell'abitazione, "Villa Egan".
Deglutì.
Quel cognome era come un pugno nello stomaco. Un risveglio improvviso. Una realtà che si stava approcciando e che per anni avevo provato a negare, dimenticare.
Imboccammo un lungo viale di magnolie, prima di giungere dinanzi a quella, che sarebbe divenuta la nostra nuova casa.
Pareva uscita dal film "La lunga estate calda". Solo con un aspetto più lugubre.
Gli alberi sembravano nodose dita intrecciate, che incombevano sulla strada, lasciando intravedere un enorme villa bianca, immersa anch'essa nella nebbia.
Le luci delle finestre lasciavano presagire fosse a due piani, invece le ombre apparivano adornarla, assieme a stucchi e colonne, donandole un fascino sinistro.
Presi il piccolo lupetto in braccio, al col tempo l'autista ci apriva la portiera, per poi raccogliere i nostri pochi bagagli e scortarci sino alla porta.
Lasciò alla soglia i nostri averi e poi impugnò la visiera del cappello, sollevandolo appena e così salutandoci.
Lo vidi riavvicinarsi al taxi e quasi mi affrettai a raggiungerlo, per pregarlo di portarci via con sé.
Mi convinsi a voltare le spalle a quell'uomo con cui avevamo passato quattro ore e mezza, e che rimaneva ancora un estraneo, ma allo stesso tempo l'unico ad essere in grado di portarci via da lì.
Davanti a noi si presentava, adesso, un grosso battente argentato.
Vi era intagliato un lupo.
Mi feci forza e cautamente, quasi si trattasse di un delicato oggetto, lo feci ricadere due volte, così d'avvertire della nostra presenza.
Non mi accorsi di aver trattenuto il fiato, finché una donna non si palesò sulla soglia.
Ormai non si tornava più indietro mi dissi, seppur me lo ripetessi da quando avevo iniziato a comprendere le parole del verdetto.
<< Tu devi essere Amira Drew >> proferì, senza smettere di squadrarmi.
Era piuttosto bassa e doveva avere una cinquantina, o forse più anni. I suoi occhi erano infossati e nerissimi, i suoi capelli castani magistralmente tirati, in uno strettissimo chignon che avrebbe fatto invidia a una maestra di danza classica.
Aveva qualche chilo di troppo, ma grazie alla divisa, immacolata, questo risaltava solo dopo un'attenta analisi. O lo studio di un nemico.
<< E lui >> continuò, spostando lievemente il collo e avvicinandosi un poco, << deve essere tuo figlio. >>
Per quanto suonasse strano, lo era.
Meno di un mese fa c'era stato il processo. Fortunatamente non mi avevano mandato in un carcere minorile, ma quanto di più strano, era stato acquisire la tutela legale di Haru.
Come potevo occuparmi di lui? Avevo appena diciassette anni.
Gli avvocati avevano, ovviamente posto la mia stessa domanda, quindi ero finita qui.
Il mio padre biologico si sarebbe dovuto prendere cura di me, sino alla maggiore età.
Non c'era nessun altro disponibile. Di certo non avevo chi faceva a gara per chiedermi in adozione. Ero troppo grande e avevo appena ucciso un uomo.
Inoltre avevo un giovane, aitante, ricco padre biologico. Jackpot! Agli occhi di un giudice che con il mio caso segnava la sua ultima udienza, prima della pensione.
Peccato fosse un cacciatore, e non un cacciatore qualsiasi, ma il capo di tutti i membri dell'A.S.A.
E io, guarda caso, ero appena divenuta madre di licantropo.
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Amira - A fated relation- [SOSPESA]
WerewolfLa figlia di Romeo e Giulietta, del paranormale, è famosa più di quanto dovrebbe dato che nessuno sa e mai dovrà sapere della sua esistenza. La vita di Amira Drew è scritta su ogni tabloid. Appena diciassettenne, ha ucciso il padre adottivo e inspie...