3. Corso di teatro

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La terza volta che avevo incontrato Mattia Lombardi era notte fonda. Ero uscito con Bea e Lore nella speranza di distrarmi facendo quattro chiacchiere con qualcuno, per non pensare a quel ragazzo nuovo che non accennava ad uscirmi dalla testa dal momento che lo avevo visto seduto in fondo alla classe. E verso le due del mattino di un sabato sera, rincasando, mi ero imbattuto, salendo su per le scale proprio in lui. Non appena ci eravamo visti, entrambi, per un istante, avevamo atteso immobili.

«Ciao» avevo sussurrato impercettibile.

Il mio nuovo vicino sembrava non avermi neanche visto che mi passò accanto ignorandomi. Eppure ero sicuro che anche lui mi avesse visto quel giorno in classe, che anche per un attimo avesse posato gli occhi su di me, anche per sbaglio.

Solo dopo pochi secondi sentii le urla di suo padre chiamarlo per le scale. Era ubriaco.

*

«Bea questa è l'ultima volta che facciamo quello che dici» mi lamento mentre ci dirigiamo verso il teatro del Liceo Virgilio. Il nostro teatro è il più schifoso che si fosse mai visto nella storia dei teatri. E' vecchio, puzza di muffa e la struttura è fatiscente.

«Un pezzo di storia» si vantava con noi la Giannelli fiera, ricordando nostalgicamente gli anni della sua giovinezza.

«Sei un tiranno» le dice Lore.

«Ogni cosa ha il suo prezzo, tipo le mie versioni di latino» commenta con un sorriso furbo.

Io e Lore sbruffiamo contemporaneamente, ma ormai è troppo tardi che siamo già dentro il teatro. In lontananza sul palco vediamo alcuni ragazzi riuniti in cerchio mentre un uomo, piccolo e magro sta al centro.

«Siete arrivati giusto in tempo!» esclama non appena ci vede. Io mi sento immediatamente a disagio non appena noto che tutti ci osservano. Poi guardo Lore e Bea e mi sento più forte con loro accanto.

«Sedetevi con gli altri» ci dice indicando con un gesto il cerchio. Facciamo come dice e riprende a parlare.

«Io sono Davide Castelli, il vostro insegnante di teatro» si presenta, ma non appena distolgo lo sguardo dal suo viso baffuto proprio di fronte a me mi accorgo che c'è anche lui. Non mi guarda neanche, ma non guarda neanche Castelli, è intento a bisbigliare qualcosa all'orecchio di Clarissa, che gli sorride scaltra. Sposto lo sguardo a disagio e incrocio con due occhi scuri che mi fissavano attenti. Ludovica della Quarta A mi sorride e mi saluta con un cenno della mano e io ricambio un po' impacciato.

«Questo corso è finalizzato a rendervi dei maestri dell'improvvisazione e ad abituarvi a parlare davanti ad una marea di gente» ci informa Castelli «So che molti di voi sono qui per il credito, se non tutti, ma sono sicuro che vi divertirete»

«E' già una noia mortale questo schifo di corso» bisbiglia Lore, procurandosi una gomitata da Bea.

«Bene, adesso iniziamo subito con un esercizio facile, che vi aiuterà con la gestione dello spazio. Dividetevi in coppie»

Ci alziamo in piedi e tutti sembrano già conoscersi che trovano subito un compagno.

«Leo stiamo insieme?» mi chiede Lore.

«Non può, Leo è già in coppia con me» mi precede Ludovica. La guardo con la bocca aperta e mi sento arrossire leggermente.

Lore mi sorride malizioso «E bravo il nostro Leo. Mi toccherà stare con quella rompi palle di Bea, neanche Clarissa è sola sta con quello nuovo» si lamenta, per poi andarsene da Bea che però non è brava a nascondere il rossore sulle guance mentre Lorenzo le parla.

«Ti avevo detto che mi dovevi un favore» mi bisbiglia all'orecchio Ludovica.

«E adesso siamo pari?» le chiedo un po' in soggezione.

«Non lo so, forse» mi dice ridendo.

Le sorrido e non so più che dire. Forse le sembrerò un po' stupido, ma è meglio non dar fiato alla bocca inutilmente e rischiare di peggiorare la situazione finendo per sembrare un coglione.

«Adesso che ognuno di voi ha scelto il proprio compagno possiamo procedere con l'esercizio. Il palcoscenico è come una zattera e per questo deve essere equilibrato, non ci devono essere troppi attori da una parte o dall'altra. Altrimenti, la zattera affonda da una parte! L'esercizio consiste nel disporvi in due parti opposte rispettivamente con il vostro partner e camminare in linea retta, senza fare curve e cambiando direzione solo quando si incontra un ostacolo. Non dovete né scontrarvi con il vostro compagno, né con gli altri»

«Facile, no Leo?» mi chiede Ludovica.

«Si, facilissimo» mormoro.

«Dai su, iniziate»

Tutti si dispongono in modo da riempire tutto lo spazio all'interno del palco. Anche io e la mia compagna riempiamo uno degli spazi vuoti e iniziamo l'esercizio. Siamo entrambi bravi, riusciamo a non toccarci e per me è meglio così, non voglio toccarla e non voglio che lei mi tocchi.

Poi sento la risata di Clarissa e la sua voce stridula che grida a Mattia «Scusami, è la centesima volta che ti vengo addosso» e allora mi distraggo e inciampo su Ludovica, che per poco non finisce a terra.

«Mi sa che abbiamo perso» dice ridendo. Mi accorgo che le sto stringendo i fianchi e che sono un po' troppo vicino a lei, così vicino che il suo fastidioso profumo alla vaniglia mi riempe i polmoni.

«Scusami...» mormoro impacciato staccandomi alla svelta da lei «io devo andare in bagno» le dico lasciandola lì, sola, al centro del palco.

Non appena esco dal teatro riprendo a respirare.

Non devo andare al bagno, avevo usato solo una balla per allontanarmi da Ludovica. Esco fuori e mi siedo su una panchina del cortile della scuola. Mi accendo una sigaretta senza pensarci troppo e do un primo tiro tenendomi la fronte con il palmo, chiudo gli occhi; cerco di mettere ordine fra i mille pensieri che mi affogano dentro e penso che non è normale che quel ragazzo mi sia entrato nella testa e stia lì senza accennare ad andarsene, come un organismo parassita fermamente attaccato alla pianta da cui riceve nutrimento. Mi sento oppresso da un'ansia angosciosa, consapevole che probabilmente i suoi pensieri nei miei confronti sono meno della metà, se non inesistenti. Tra le altre cose, ho preso anche a nutrire un vacuo e demenziale sentimento di rancore nei confronti di Clarissa Mastro, nato inspiegabilmente e senza alcun valido motivo.

E poi, non scherziamo, l'ho incontrato si e no tre volte a quel Mattia, di certo non è normale un comportamento del genere da parte mia, soprattutto poi a causa di un ragazzo. Piuttosto devo essere felice che una come Ludovica mi dedica quelle attenzioni, quelle frasi, quei sorrisi.

E invece no, mi arrabbio perché penso ancora a Clarissa e Mattia.

Sono proprio pazzo, cazzo.

Continuo a tirare il fumo della Camel, come se volessi strapparle l'anima a quella povera sigaretta. Ed è già tardo pomeriggio e lontano nel cielo, in alto, scorgo una luce minuscola di un aereo che in diagonale lo attraversa silenzioso. Seguo la traiettoria di quella piccola luce rossa, finchè un tocco leggero mi sfiora la spalla.

Mi volto di scatto e, colmo di stupore, comprendo che è stato Mattia a toccarmi, lui, la sola e unica fonte della mia frustrazione.

«Ciao Leo» è l'unica cosa che mi dice.

La misura di tutte le cose - Vol. IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora