20. Bury me an angel

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N.a Eccomi con un nuovo capitolo dopo la mia settimana di "ferie". Vi ho avvertito sul mio profilo che non avrei aggiornato perchè mi trovavo alla casa al mare e sono tornata solo ieri. Quindi ho subito aggiornato con questo capitolo che ha la forma più o meno di diario. Spero che vi piaccia, alla prossima!

*


Domenica, 20 gennaio. Si è chinato per allacciarsi una scarpa, sul vialetto di casa. Stava uscendo dal cortile; non ha dormito quasi affatto, ed ha le palpebre pesanti come macigni e gli occhi che sembrano voler sgusciare via dalle orbite.

Incubi, incubi tutta la notte.

Chissà quali incubi popolano i sogni di Mattia.

E non mi ha visto. Nascosto dietro il sottile tessuto della tenda della mia camera, ad ammirarlo da lontano soltanto da un piccolo squarcio.

Eppure sono passati diecimilaottanta minuti da quando ha interrotto qualsiasi contatto con me.

Vale a dire centosessantotto ore.

Vale a dire sette giorni.

Solo sette giorni.

Edo è preoccupato per me, pensa che possa fare qualche pazzia ed entra ogni mezz'ora nella mia stanza a controllarmi. Io ogni volta che lo dice mi sforzo a ridere e gli dico che pur volendo, non avrei la forza per fare qualsiasi cosa.

Si è chinato, proprio accanto alla piega del muro, ed io in quel momento ho schiacciato il tasto della chiamata.

Sessantesima chiamata.

Metto il vivavoce, così in caso dovesse rispondere riuscirei a sentire il suono della sua voce in ogni vibrazione.

Sente il cellulare squillare, si alza piano quasi come gli costasse fatica e sfila il cellulare dalla tasca.

Non mima alcuna espressione: né rabbia, né tristezza, né felicità.

Getta un'occhiata al display quel tanto che basta per leggere il mio nome, e far tornare il cellulare al suo posto, al sicuro nella tasca dei jeans sbiaditi.

Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.

Lunedì, 21 gennaio. Il banco in fondo alla classe è vuoto. Risplende, immacolato, colpito da uno spicchio di luce che è riuscito a non venir incastrato dalle spesse tende della classe.

Bea continua a ripetermi che Mattia ha solo bisogno di tempo per capire cosa sia giusto fare e che anche lui mi ama come lo amo io, Lore invece non dice nulla, si limita a gettarmi qualche occhiata dispiaciuta.

Io cerco di sembrare tranquillo, come se non avessi il cuore guasto e cerco di parlare normalmente con tutti, di mostrarmi socievole e indifferente, come se tutta quella questione non mi riguardasse.

Indosso una maschera di tranquillità che mi permetto di togliere solo quando sono solo a casa. Eppure ogni tanto questa maschera ha qualche crepa.

Non riesco a non notare che Mattia è assente da molto, troppo tempo.

Martedì, 22 gennaio. Lui non si è visto tutto il giorno. Non è uscito neanche per buttare la spazzatura. Lore dice che le cose con suo padre vanno meglio, che è sempre lucido e che non lo picchia più.

Mi siedo sul marciapiede del cortile sotto casa, giocando con il buco dei jeans ormai logori e fisso il terreno impolverato.

Inizio a sfogliare il libro che ho preso a caso dalla mia libreria, poi sento il rumore di un camion e mi volto, pensando che sia qualche nuovo inquilino che ha scelto di trasferirsi nel palazzo. Ma lui è lì, vicino al camion dei traslochi, in piedi, con una mano appoggiata allo sportello.

La misura di tutte le cose - Vol. IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora