Chiedo aiuto!

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Era marzo, quando tentai il primo suicidio.
La sera prima avevo pianificato tutto "posso aprire la finestra prof?". Così semplice, così inaspettato.
Il giorno dopo, ero pronta.
Andai a scuola e nessuno sospettò nulla. In seconda ora uscimmo fuori a fare ginnastica, l'ora dopo sarebbe stata perfetta per me.
Ritornammo in classe, ci sedemmo e poi un urlo "aiuto", e successivamente un altro urlo.
Io e la mia classe ci affacciamo alla porta, i prof corsero fuori ordinandoci di rimanere dentro. Il nostro prof di ginnastica uscì correndo, qualcuno si era sentito male.
Tutti rimasero chiusi nelle classi. Il silenzio regnava nella scuola. Un ambulanza, i carabinieri.
Nessuno si era sentito male..ma semplicemente mi aveva preceduto.
Una ragazza si era impiccata nel bagno accanto alla mia classe. Anche lei era tornata dall'ora di educazione fisica, anche lei aveva scelto la mia ora per finirla.
Portarono via il cadavere, i prof di ginnastica soccorrevano le amiche della ragazza, che svenivano una dopo l'altra.
12.00- esattamente due ore dopo i ragazzi iniziavo a uscire da scuola. Chi chiama i genitori e chi si faceva il permesso. Ricordo che uscii anche io, passai davanti a quel bagno e sulla parta c'era un carabiniere. Dopo di lui si vedeva una scarpa che la ragazza aveva messo fuori dalla sua porta. Lei sperava in qualcuno che per caso passasse di lì, che notasse quella scarpa e che la salvasse. Ma non accade.
Passai lì davanti e abbassai lo sguardo.
Come era riuscita ad avere quel coraggio? Perchè nessuno si era accorto dei suoi occhi? Poi mi sono guardata, nessuno alla fine aveva letto i miei.
La scuola rimase in silenzio per quasi una settimana. Ed una scuola silenziosa fa più paura che di mille voci assordanti.
Tentai il suicidio solo dopo 3 mesi...per la seconda volta, solo che questa volta nessuno mi avrebbe fermato ma invece qualcuno mi avrebbe fermato lui...

Rebecca era il suo nome,
Rebecca aveva 16 anni. La mattina si svegliava e ancora con gli occhi chiusi metteva le mani sullo stomaco. Si faceva prendere dall'ansia ma quando si ricordava che la sera prima non aveva cenato si tranquillizzava.
Rebecca si alzava e si preparava per la scuola. Si metteva maglioni larghi e jeans.
Cercava di truccarsi,ma non si vedeva mai carina.
Rebecca usciva di casa col suo zaino ed un sorriso finto.
Passava ore in un posto che non le piaceva.
Rebecca tornava a casa all'ora di pranzo e mangiava tutto quello che riusciva.
Poi i suoi genitori andavano al lavoro.
Lei doveva fare qualcosa per smaltire tutto quel cibo, così si ritrovò china su un water.
Rebecca non faceva mai i compiti ne studiava, preferiva passare il tempo a fare aerobica.
Rebecca si vedeva enorme, si odiava.
Rebecca perdeva tanti capelli.
Rebecca non aveva le forze per fare niente.
Rebecca passava le notti a piangere.
Rebecca era tanto sola.
Rebecca era morta

Mi chiamo veramente Luna.
Un nome che non mi sono mai sentita appartenere, un nome in cui non mi sono mai riconosciuta fino al giorno in cui è arrivato lui.
In lui ho subito riconosciuto il sole, quello accecante, quello che ti fa mettere gli occhiali mentre guidi, quello che non ti fa dormire perchè filtra dalle persiane.
Quello che riempie il cuore e gli occhi dopo una giornata di pioggia.
Lui per me è stato tutto questo.
Ci siamo conosciuti per caso, in un giorno qualunque diventato poi IL giorno che cambia per sempre la tua vita.
Stavo aspettando un taxi fuori dalla stazione di Milano, una coda infinita di persone davanti a me. Qualcuno parlava al telefono, qualcuno fumava, qualcun altro leggeva distrattamente un quotidiano.
Ho sempre osservato le persone. Così, mentre guardavo quegli sconosciuti, quei numeri di ossa e carne ho visto lui.
Bello come una poesia. Con due occhi che ti entrano dentro lasciando solo confusione.
Ci siamo guardati. Un attimo. è bastato un attimo.
Mi ha chiesto da accendere e dove fossi diretta.
"Navigli" rispondo
"Anche io".
Decidiamo quindi di prendere il taxi insieme e improvvisamente la gente non esiste più, saliamo in taxi, arriviamo e non so dire quanto tempo fosse trascorso, quante parole abbiamo speso, non so dire niente.
"è proprio così che deve andare. Un calcio al cervello" , pensavo.
Scendo dal taxi e lui rimane all'interno.Lo guardo interrogativamente, senza capire.
"Non dovevo andare realmente qui ma avevo voglia di accompagnarti" mi dice e in quel momento penso di dover fare, dire qualcosa per rivederlo.
Risalgo in taxi :
"Io qui ci dovevo venire ma ho voglia di accompagnare te dove sei diretto tu"
Abbiamo fatto l'amore quell' ora stessa. Siamo andati a casa sua, una cosa da pazze fidarsi di uno sconosciuto, lo so ma ero ipnotizzata.
Un vortice di emozioni nella casualità imprevista.
Non ci siamo più lasciati da quel giorno.
5 anni insieme. 5 anni come li ho raccontati ora. 5 anni con il cuore a mille, battiti accellerati. Sogni. Progetti. Amore....

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