TRENTUNO

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Kate era arrivata solo ad una conclusione in quella giornata: il detective Bryan Preston era solo un perfetto idiota. Anzi non solo quello, era anche presuntuoso e maschilista. Quell'omicidio su cui aveva indagato quel giorno era stato un caso di poco conto, risolto rapidamente: due soci in un affare nel quale uno dei due pensava che l'altro fosse di troppo, ma non aveva pensato a nascondere le sue tracce. Prima di sera il sospettato era già in custodia e proprio mentre formalizzavano il suo arresto vide Peggy Fuller che usciva, libera, dal distretto con la sua famiglia ed il suo avvocato.

- Cosa vuol dire questo? - Sbraitò contro Ryan ed Esposito che avevano continuato ad occuparsi del suo caso.

- Il suo avvocato ha chiesto il rilascio. Lei sostiene che non ha ucciso nessuno, che sul coltello c'erano le sue tracce solo perché lo aveva preso ed era scappata in stato di shock. Il medico che l'ha visitata ha confermato che non è lucida, è fuori su cauzione affidata alle cure della famiglia. - Disse Ryan

- State scherzando, vero? Ha confessato a me di averli uccisi entrambi! Quella donna sta solo recitando! - Urlò ai suoi colleghi.

- Beckett, non possiamo fare niente, la confessione che ti ha fatto non è utilizzabile, lo sai... abbiamo le mani legate!

Si voltò ancora a guardare la donna che circondata dai suoi genitori e dall'avvocato stava espletando le ultime formalità prima di lasciare il distretto.  Andò a grandi passi decisi verso Peggy Fuller. Il rumore dei tacchi degli stivali di Beckett sembrava essere diventato l'unico rumore in tutto il distretto dove gli agenti sembrava avessero smesso anche di respirare.

- Io ti giuro, fosse l'ultima cosa che faccio, riuscirò ad incastrarti. Non lascerò che la morte di tuo figlio resti impunita. - Quella di Kate più che una promessa sembrò una minaccia, e così la percepirono anche i genitori e l'avvocato della donna, che invece sembrava guardare la detective con aria di sfida.

- Da quello che mi risulta lei non segue più questo caso, quindi credo che possa fare ben poco, per fortuna, visto che ha già fatto troppi danni, vessando psicologicamente la mia assistita questa mattina. Ha aggredito una donna alla quale hanno ucciso il marito ed il figlio si vergogni detective Beckett! - Le disse l'avvocato facendosi avanti.

- Un neonato è stato massacrato da quella donna, da sua madre e a nessuno di voi interessa nulla. Né prima di sapere che era stata lei, né dopo, e sono io che mi devo vergognare?

- Detective Beckett, ora basta! - Il capitano Gates era dietro di lei, attirata lì dal tono eccessivamente alto della conversazione.

- Capitano, dovrebbe tenere più a bada i suoi uomini ed evitare che importunino la mia assistita! - Disse ancora l'avvocato sprezzante.

- Mi dispiace avvocato Sheppard. Potete andare... - Li congedò la Gates mentre questi entravano in ascensore.

- Le dispiace Capitano? Le dispiace per loro? - Kate non aspettò nemmeno che fossero sole nel suo ufficio per parlarle.

- Sì, mi dispiace, perché non abbiamo niente per incastrarla e perché grazie al suo comportamento, La Fuller ora farà la vittima di un detective che ha preso la cosa sul personale!

- È questo che pensa? Che è una questione personale?

- Sì, Beckett. Penso proprio questo! Ed ora farebbe meglio ad andare a casa, visto che qui per oggi ha già fatto troppi danni.

La Gates aveva ragione e Beckett lo sapeva. L'aveva presa come una questione personale. Era per lei una questione dannatamente personale visto che le immagini del corpo di Michael straziato la torturavano di continuo e si mescolavano ai suoi ricordi, cambiando forma e sostanza, ma continuando intaccarla dentro, come una goccia che cade imperterrita e finisce con il levigare anche la pietra. Ma lei non si sentiva pietra, piuttosto sabbia, e la goccia scavava solchi profondi. Sentiva inquietudine dentro di lei spandersi e riempirla, ma non era più quel manto nero opprimente, era un lago rosso e denso nel quale affogava, un lago di sangue: il suo, quello di Michael o entrambi che si mescolavano, come i volti e le situazioni, come quelle voci che le venivano da dentro e che le dicevano che le non era meno colpevole di Peggy perché anche lei aveva fatto la stessa cosa. Si era appena assopita sul divano quando si risvegliò per un rumore troppo forte che veniva dalla tromba delle scale, qualcosa di metallico che doveva essere caduto e rimbombava. Si tirò su di scatto in preda all'ansia, boccheggiando ma l'aria era troppo poca e sentiva che stava per avere un altro di quegli attacchi. Il suo fisico non oppose resistenza, si lasciò squassare e poi pian piano riprese fiato, uscendone più stanca di quanto pensasse. Il medico dal quale era stata glielo aveva detto, così, come se fosse un'avvertenza. "Potrebbe capitare che abbia dei momenti di crisi, degli attacchi di panico, magari qualcosa potrebbe riportare alla mente il giorno dello sparo. È del tutto normale. Se ha bisogno mi chiami, mi faccia sapere."

Dover lavorare ancora con Bryan Preston lo vedeva come una pena accessoria al fatto di non potersi più occupare al caso del duplice omicidio. Non solo doveva sopportare la sua presupponenza ed il suo essere totalmente inutile ad ogni indagine che stavano facendo, ma dovette intimargli anche a brutto muso di tenere le mai a posto. Era uno di quelli che pensava che solo per essere fisicamente piacente, ogni donna doveva starci con lui mentre Beckett pensava che avrebbe preferito farsi suora piuttosto che accettare le sue avances. Praticamente per Kate era come lavorare da sola, anzi, peggio, era lavorare con una zavorra. Non potè evitare di ripensare ai primi tempi con Castle. Lui che non era un poliziotto, non era addestrato, anche se faceva sempre troppo di testa sua non era mai stato un peso, anche se più volte glielo aveva rinfacciato ed anzi l'aveva più volte aiutata a risolvere casi anche complessi. Non pretendeva che Preston l'aiutasse, ma che per lo meno evitasse di essere d'intralcio. Montgomery era morto, non lavorava più con Ryan ed Esposito e non c'era più Castle al suo fianco: era sola, anche a lavoro era totalmente sola e niente era come prima.

In un paio di giorni, comunque, riuscì a chiudere anche il secondo caso in coppia con il detective idiota. Avrebbero dovuto darle un premio solo per quel motivo, invece quella sera la Gates la chiamò nel suo ufficio ma il motivo era ben diverso.

- È stata denunciata dai signori Fuller per aver abusato dello stato confusionale della figlia causandole un grave shock ed anche minacciandola.

- Che cosa?

- La disciplinare esaminerà il suo caso nel frattempo è sospesa fino a quando non si pronunceranno.

- Capitano, mi sta prendendo in giro?

- Detective Beckett, le sembra la faccia di chi ha voglia di scherzare?

- Quella donna ha ucciso due persone e non solo è libera, ma denuncia me?

- Al momento la sola accusa confermata a suo carico è l'aggressione all'agente nel parco.

- Quella donna ha ucciso suo figlio e suo marito, Capitano!

- Lo so, ma non possiamo fare nulla al momento se non cercare altre prove.

- La interroghi lei Capitano. La faccia confessare, lei se vuole so che può farlo. Ma la verità è che non vuole. Che della giustizia e del rispetto delle vittime non interessa niente a nessuno.

- Detective ma come si permette?

- Mi permetto, Capitano, perché siete tutti più interessati ai protocolli, alla burocrazia che alla verità. Mi permetto perché io sono stata dall'altra parte ed ho trovato persone che non volevano giustizia ma solo chiudere un caso senza problemi, e non c'è stato un solo altro detective che si è fatto venire un dubbio, che ha indagato e fatto giustizia per mia madre. E ancora non ce l'ha. Ecco perché mi permetto ed ecco perché io non ho più niente da spartire con tutto questo. Sono entrata in polizia per questo, per dare giustizia alle vittime, per tenere alta la loro voce ed ora me la state togliendo. Michael Swanston aveva tre mesi. Non ha mai parlato e non parlerà mai. La sua voce non la sentirà mai nessuno perché a nessuno interessa di lui. Sua madre lo ha ucciso, suo padre è morto e i suoi nonni se ne fregano che sia mai esistito. - Mise sul tavolo il distintivo e la pistola. - È evidente che per me qui non c'è più posto. Mi dimetto.

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