TRENTOTTO

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Kate non aveva dormito.

Aveva passato tutto il tempo con le mani immerse nei capelli di Rick pensando a tutte le cose che avrebbe voluto dirgli. Sarebbe stato più facile se lui avesse potuto leggere veramente nella sua mente, perché lei non sapeva da dove cominciare. Benedì il suo sonno pesante, anche in quelle condizioni precarie, su quel divano troppo piccolo per lui. Sarebbe voluta entrare nei suoi sogni per dirgli tutto quello che lì, nella realtà non sapeva se sarebbe mai riuscita a fare, ma si velò subito di tristezza, pensando che forse lui ora era tranquillo perché lontano da lì, da lei ed era un bene che non lo disturbasse.

Pensò che nel troppo breve periodo in cui erano stati insieme, forse lei non gli aveva mai dimostrato abbastanza quanto lo amasse. Si sentiva sicuramente in debito con lui, perché aveva preso più di quanto gli aveva dato. Spero di essere in grado di sdebitarsi, un giorno, di averne la possibilità. Lo guardò dormire e la sua immagine di era sovrapposta a quella del loro bambino che aveva sempre disegnato nella sua mente, un piccolo Castle che dormiva imbronciato. Ecco perché lo aveva allontanato, perché sapeva che tutto quello, con lui era inevitabile. La sensazione delle lacrime che scorrevano sulle sue guance era qualcosa a cui non era più abituata.

Quei sussulti sommessi avevano svegliato Castle che ci mise qualche istante per capire dove fosse: nell'ultimo mese e mezzo aveva raramente dormito per due notti nello stesso posto, ma adesso era diverso, si sentiva indolenzito, ma aveva una piacevole sensazione di una mano che lo stava accarezzando e quel profumo, non aveva dubbi di chi fosse. Aprì gli occhi e si voltò accorgendosi di essere appoggiato sulle sue gambe. Si alzò con un gesto repentino che colse di sorpresa tanto lui quanto lei.

- Scusami non volevo... infastidirti. - Disse Kate.

- No... sono io che non dovevo... Scusami, ero veramente stanco... il fuso orario.... - Si passò una mano sul volto e tra i capelli.

Si guardarono per un po' senza dirsi altro, fino a quando lui non le accarezzò il volto per togliere qualche lacrima che ancora scendeva.

- Cosa c'è, Beckett?

Scosse la testa e non rispose, togliendosi lei il resto delle lacrime.

- Non è così che funziona, Kate. Non è così che starai meglio.

- Starò meglio? - Chiese riluttante. Viveva da mesi con la consapevolezza che quel meglio non sarebbe mai arrivato.

- Sì, starai meglio. Ma non devi tenere tutto dentro.

- Tu stai meglio? - Le sembrava impossibile che si potesse stare meglio.

- Un po'. Ma non vuol dire che ho dimenticato nulla. Capisci cosa voglio dire? Stare meglio non vuol dire dimenticare. - Rick ci tenne a precisarlo. Perché sapeva che lei aveva bisogno di condividere e lui era disposto anche a tornare indietro, a tuffarsi di nuovo nel loro dolore ed attraversarlo tutto per uscirne insieme se lei voleva. Kate lo ascoltava ed annuì mentre si stringeva e strofinava le mani nervosamente.

Quelli che nascevano tra loro erano silenzi spontanei, necessari per accettare quello che si stavano dicendo. Erano spesso poche parole, frasi spezzate, ma ognuna aveva il significato ed il peso di un macigno. Kate in quel momento era un bambino che doveva imparare a camminare, ed anche ogni piccolo passo, ogni incertezza, ogni volta che provava ad alzarsi da sola e stare in equilibrio, era una conquista e come tale Rick sapeva che la doveva prendere. Gli sembrava impossibile anche essere arrivati fino a lì. La Kate che aveva visto lui era ben diversa da quella descritta da Lanie.

Forse era stata veramente una magia quella che era successa, non voleva credere che la sua presenza fosse stata per lei così importante da farla cambiare all'improvviso, perché questo voleva dire che avrebbe cominciato ad incolparsi per tutto il tempo sprecato. Ma i sensi di colpa erano inutili quanto dannosi in quella situazione. Alzava la testa ogni tanto per guardarla, sospirava ed aveva lo sguardo basso. Non aveva nulla di magico tutto quello, decisamente no. Era accaduto in quel momento e non prima perché lei era pronta per risalire, perché era caduta così in baso che poteva solo rimanere lì o cercare di venirne fuori. Si volle convincere di non essere arrivato tardi, di non aver sprecato tempo, ma di essere lì al momento giusto, perché prima sarebbe stato inutile, ed aveva già avuto delle dimostrazioni, e dopo sarebbe stato troppo tardi. Doveva sforzarsi di vedere il buono che c'era nelle cose, era quello che gli aveva detto anche lo psicologo da cui era andato qualche volta, per avere una mano, per parlare con qualcuno professionale con cui sfogarsi e non affliggere troppo Martha e Alexis. Forse avrebbe fatto bene anche a Kate parlare con una persona così, ma era troppo presto per proporglielo. Di certo credeva che fosse meglio che smettesse di vedere chi non aveva fatto altro che imbottirla di farmaci: di certo così era più semplice, ma non risolveva i problemi, semplicemente li accantonava.

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