XIII.

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Non appena varcai l'ingresso della mia dimora mi misi a cercare il mio cellulare.
Non appena lo sbloccai mi ritrovai tantissimi messaggi e la maggior parte mi erano stati mandati da Katherine.
Marcai il suo numero e lei dopo un paio di squilli rispose.

«Ti ho chiamata quattordici volte, quattordici!», urlò, sembrava abbastanza arrabbiata.

«Sono mortificata, ma sono stata costretta ad andare a Las Vegas per questioni di famiglia».

«Non devi darmi spiegazioni», il suo tono di voce si addolcì leggermente. «Scusa per come ti ho risposto alcuni secondi fa, ma stavo litigando con mio fratello e me la sono presa anche con te».

«Ti capisco», le dissi alzando gli occhi al cielo, ma poi mi ricordai che non poteva vedermi.

«Allora, iniziamo oggi?», le chiesi con entusiasmo.

«Sì, volevo chiederti se per te è un problema se alle nostre lezioni partecipasse anche il mio fratello gemello. Vedi, anche lui non è molto esperto».

«Non c'è nessun problema», le dissi.

E poi iniziai a chiedermi che aspetto avesse suo fratello. Se era anche lontanamente bello come lei non avrei resistito dal saltargli addosso.

«Va bene, ora ti mando un messaggio con su scritto l'indirizzo di casa nostra. A dopo», a quelle parole riattaccai.

Prima di uscire bevvi due intere sacche di plasma per prevenire un improvviso attacco di fame e impostai l'indirizzo di Katherine sul navigatore del mio cellulare.

Quando giunsi di fronte al numero civico da lei segnatomi scrutai la sua abitazione.
Viveva in un semplice condominio, era la prima persona che conoscevo che non viveva in una villa.
Lessi l'intera lista di cognomi accanto ai campanelli, finché non trovai il suo.

«Vieni pure. Terzo piano sulla destra», mi disse dal citofono.

Seguii le sue istruzioni per arrivare alla porta di casa sua.
Quando bussai mi aprì un ragazzo.

«Ehm, scusa. Devo aver sbagliato abitazione», dissi imbarazzata.

«Tu sei Charlotte?».

«Ti conosco?», chiesi confusa.

«Sono il fratello di Katherine. Accomodati pure».

Lo scrutai un attimo.
Era la versione femminile di Katherine.
Erano identici.
La stessa pelle, olivastra e arricchita da alcune lentiggini, gli stessi capelli color corvino e il fisico invidiabile.
Secondo i miei calcoli era alto circa un metro e novantadue centimetri.
L'unica differenza erano gli occhi. Quelli di Katherine erano marroni, mentre i suoi erano azzurri, molto simili al colore del mare.

«Non ti ho mai visto al college, ne frequenti un altro?», chiesi per rompere il ghiaccio.

«Oh, no. Io non vado in nessun college, quella roba non fa per me. Io lavoro, sono uno dei dipendenti del bar centrale di questa città».

«Katherine?».

«Credo che stia arrivando. Appena hai suonano il campanello è corsa in camera sua per fare non so che cosa».

«Mi stavo soltanto rendendo presentabile per la mia ospite». Katherine alzò gli occhi al cielo.

«Allora, iniziamo», dissi alzandomi dal loro divano di pelle.

Mi sistemai di fronte al tavolo in salotto e al centro sistemai una candela.

«Ora dovrete provare ad accenderla», gli spiegai.

Blood improved meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora