Laurea, caldo e Rock and Roll.

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Questa storia è frutto della mia immaginazione.

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Era una mattinata calda e afosa, quella del giorno della mia laurea.
Dopo tre anni di corsi e svariati tirocini, di nottate insonni e mattinate di esami, caratterizzate dall'ansia attanagliata allo stomaco e dalla continua sensazione di nausea, finalmente era arrivato quel giorno: IL GIORNO.
Il 19 luglio.               
Certo che poi avrebbero anche potuto evitarlo luglio come mese di lauree, a Palermo, con l' afa, il sole, il caldo, il sudore, il trucco che sbava.
E chi, se non io, poteva laurearsi a luglio?

Mi guardai allo specchio per l'ennesima volta lisciando, sui fianchi, il tubino verde petrolio che indossavo e dando una leggera spazzolata ai boccoli; respirai profondamente, pronta per il mio grande giorno.
Presi la mia tesi, perfettamente relegata, dalla grossa scrivania in camera mia.
Sentii bussare delicatamente alla porta.

<Tesoro, sei pronta?> chiese mia madre con il suo solito sorriso, che questa volta non riusciva a trattenere tanta era la gioia e l'orgoglio.

<Sì ma' , ho fatto. Prendo la giacchetta e scendo!> che poi a che serviva, in pieno luglio, la giacchetta, ancora me lo chiedo.

Scese le scale trovai mio padre, tutto in ghingheri, intento a litigare con la cravatta.

<Lascia amore, faccio io> andò in soccorso la mamma che portò le mani al collo del papà e gli sistemò, per bene, la cravatta.

Era forse la quarta volta che papà si vestiva di tutto punto, neanche in trent'anni di onorata carriera da banchiere aveva portato l'abito e la cravatta; diceva che preferiva star comodo indossando dei semplici jeans e delle camice di seta, e sosteneva che riusciva a lavorare meglio, senza dover morire dal caldo.
Presi il mio iPhone da sopra la console all'ingresso e lo misi nella piccola clutch.

<Io ho fatto, possiamo andare!>

<Perfetto, andiamo!> batté entusiasta le mani la mamma.

<Andiamo mie belle donzelle!>

<Pa' per favore, diamoci un contegno!> dissi alzando gli occhi al cielo.

Entrammo in auto di tutta fretta, stando attenti a non sgualcire gli abiti e ricontrollando che ci fosse tutto quello che dovevo portare con me: la tesi, i mazzi di fiori, ricolmi di splendenti girasoli che tanto amavo, e la tanto agognata corona d' alloro; erano tutti presenti e riempivano i sedili di fianco al mio.
I venti minuti di tragitto che portavano da casa mia all' Università degli studi di Palermo erano appena stati raddoppiati, ovviamente, a causa del traffico; non mi restò, quindi, altro da fare che massacrare coi denti le cuticole delle unghie delle mie mani, ben curate per l'occasione.

<Ludo, la colazione non ti ha saziata?> chiese mia mamma, con un sorriso ironico in volto.

< Non basterebbe una colazione all'inglese per saziare quella mangiona di nostra figlia. Ha la voragine della morte, al posto dello stomaco!> scherzò mio padre, seguito dalle risate di mia madre.

<Prego, fate pure come se io non fossi qui a sentirvi ridere di me> dissi, trattenendo, a stento, un sorriso <che poi da qualcuno avrò pur preso!>

I miei genitori si accusarono, reciprocamente, indicandosi gli uni e gli altri e, in un attimo, l'abitacolo si riempì di felici risate.
Nonostante il traffico, arrivammo comunque con le due ore di anticipo che il rettore aveva chiesto a tutti i laureandi.
Eravamo tutti sotto i portici davanti alla sala dei congressi, in attesa di riempirla e andare ad occupare i posti che ci erano stati assegnati.

Nati sotto la pioggiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora