L'inizio

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Era sabato pomeriggio e io, come il resto degli adolescenti della mia città, passeggiavo per il centro.
Eravamo un branco di persone senza obbiettivi, che bighellonavano calpestando sempre la stessa strada, nel disperato tentativo di far passare il tempo.

Sì. Perché alla fine, il punto è proprio quello: ci lamentiamo di non averne abbastanza, ma continuiamo a buttarlo via e io, lo ammetto, sono la prima a farlo.
Me ne sono spesso chiesta il motivo e la risposta è che siamo deboli. Deboli di volontà, di voglia, di ambizioni. Così la noia continua a vincere impadronendosi di tutti i momenti, impadronendosi di noi, talmente tanto che non sappiamo più goderci niente.

Quindi ero lì, che camminavo solo per il gusto di camminare, mi spostavo senza andare da nessuna parte.
Mi muovevo, eppure ero ferma.
I miei passi facevano rumore, un piccolo rumore insignificante che si confondeva con quello del mondo. Teresa e Sara, le amiche di una vita, camminavano al mio fianco e parlavano di tante cose, di quelle inutili e fondamentali. Perché alla fine senza gli argomenti inutili di cosa parleremmo?

Staremmo in silenzio a guardarci negli occhi.
Le avevo conosciute a scuola quando avevo undici anni. Eravamo nella stessa classe e lo siamo anche adesso. Avete presente quando guardate una persona e capite che è fatta per voi? Ecco, con loro è stato così. Un'intesa fortissima fin dal primo momento.

«Ragazze mi aspettate un secondo? Voglio provare a farmi predire il futuro da quella signora».

Teresa e Sara mi guardarono come se di colpo fossi ammattita.
«Iole, non spenderci soldi per ste cose, lo sai che sono cavolate!»

«Sì lo so, ma oggi mi va così».
Sapevo che mi sarei pentita. Era da un po' infatti che risparmiavo i soldi: cercavo di accumularli per pagare la vacanza estiva.
«Salve, vorrei che mi leggesse la mano» dissi con aria di sfida. In un certo senso volevo metterla alla prova.
«Vieni e siediti qui».
Aveva un tono calmo e pacato e una voce rilassante. Mi avvicinai e mi accomodai in una sottospecie di sgabello scricchiolante. Mi fece un cenno e io gli porsi la mano destra. Lei la strinse con presa decisa e poi iniziò a fare pressione in vari punti del palmo. Sembrava quasi una sorta di massaggio. Nel frattempo, le guardavo le braccia rugose, stropicciate dal tempo. C'erano tanti tatuaggi di simboli e disegni strani. Era così insolito vederli addosso a una signora di quell'età.
Nel frattempo, avevo perso di vista Teresa e Sara, quando la donna esclamò all'improvviso, facendomi prendere un colpo.
«Nove!»
Aveva una luce negli occhi che prima non aveva. Sembrava felice. «Mi scusi, nove cosa?»
Sinceramente non avevo grandi aspettative fin dall'inizio, ma non pensavo si mettesse letteralmente a dare i numeri.
«Nove! Nove passi! L'amore è a nove passi da te, ragazza!»
Avrei davvero voluto che qualcuno avesse fatto una fotografia alla mia faccia in quel momento.
Aggrottai le sopracciglia e la fissai con cattiveria, per farle capire che non stavo scherzando. Doveva dirmi qualcosa di un minimo interessante, altrimenti non l'avrebbe passata liscia.
«Cosa intende per nove passi?»
«Nove passi ragazza, solo nove passi» continuava a ripeterlo e nel frattempo rideva. E poi sembrava felice, felice per me, come se fosse davvero contenta di aver letto quelle cose sulla mia mano.

Intanto, io percepivo la rabbia salire, a tal punto da volerle urlarle in faccia, in mezzo alla folla. Mi sentivo presa in giro e non avevo intenzione di sborsare un centesimo per una povera matta, capace di dirmi solo "Nove passi, nove passi, nove passi..."

Poi però la guardai e mi fece quasi tenerezza, così le lasciai i soldi nel cestello sul tavolino e me ne andai, mentre lei continuava a sorridermi tutta contenta. Iniziai a camminare sovrappensiero e per poco non mi dimenticai delle mie amiche. Presi il telefono dalla tasca. La cover che un tempo era trasparente, risultava ingiallita e la cosa m'infastidiva. Dovevo assolutamente comprarne una nuova.

«Pronto, Iole?»
«Ehi, stronzette, grazie per avermi abbandonata con la veggente pazzoide. Si può sapere dove siete finite?»
«Scusaci, ma quella tizia ci faceva paura» dissero ridacchiando «Siamo al bar all'angolo, ti aspettiamo».
Rimisi il telefono in tasca e continuai a camminare.
Nove Passi. Ormai ne avevo fatti molti di più e non era successo nulla. La scema ero io che continuavo pure a pensarci.
Cosa mi aspettavo?
Che avrei accidentalmente urtato l'amore della vita e che, casualmente, questo avrebbe perso la testa per me, tipo colpo di fulmine?
Sì, Iole, molto credibile.
Entrai nel bar e sentii "Din, don". Quei campanellini appesi alle porte, che puntualmente informavano i presenti del tuo ingresso, attirando l'attenzione generale, davvero non li sopportavo.
«Allora ti senti avvolta in un'aurea mistica adesso?»
«Assolutamente sì, Sara, avresti dovuto provare» risposi ironicamente, sedendomi al loro tavolo.
«Dai, raccontaci, cosa ti accadrà nel futuro?» proseguì Teresa con aria curiosa.
«Nove passi».
«In che senso nove passi?»
«Nove passi».

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