Ordinare la mente

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«Thomas? Che cavolo ci fai tu qui?» chiesi abbastanza stupita.
Prima che potesse darmi una risposta, subentrò Ivan.
«Ah, vedo che vi conoscete. Thomas ha bisogno di far su qualche soldo e così mi dà una mano qui nel garage. È un vero talento!» disse dandogli una pacca amichevole sulla spalla, prima di allontanarsi e lasciarci soli. Ci conoscevamo da tempo. Eravamo nella stessa classe all'elementari e abitavamo nella stessa zona. Era un ragazzino molto chiuso e riservato, ma da piccola ci andavo d'accordo perché facevo tutto da me. Raccontavo cose, inventavo giochi. Avevo solo bisogno di qualcuno che mi ascoltasse e facesse quel che dicevo e lui era perfetto. Veniva spesso a casa mia, oppure andavo io nella sua e facevamo i compiti insieme. Le nostre mamme erano diventate amiche e tutto continuò così, fin quando iniziarono le medie e perdemmo completamente i contatti. Lo vedevo in giro ogni tanto, abitando vicini era inevitabile, ma era diventato una di quelle persone abbastanza insignificanti e noiose che non consideri troppo.
«E così... lavori con Ivan adesso».
Cercai di iniziare un discorso, perché per me era quasi una cosa obbligatoria. Non puoi stare davanti a una persona che conosci, senza dire niente. Non si può stare in silenzio e aspettare. Eppure, questo compito che di solito mi veniva semplice, con lui era estremamente complicato.
«Già...» sospirò.
Già?!
Faceva sul serio? Io mi sforzavo anche di essere amichevole e lui mi liquidava così? Come se gli stessi dando fastidio? Ma che problemi aveva la gente, oggi? Decisi di fare un secondo ed ultimo tentativo.

«E... ti stai trovando bene?»
«Per ora sì» detto questo, si allontanò.
Allibita. Ero allibita.
Mi avvicinai alla mia bici e ci montai sopra.
«Io vado Ivan, grazie mille!»
«Torna quando vuoi Iole, io sono qui. Buon pranzo!»
Iniziai a pedalare forte e ad ogni pedalata immaginavo di tirare un calcio. Prendere a calci tutti quelli che, ogni volta, dovevano trattarti come aveva appena fatto Thomas.
Perché sembrava sempre che a tutti scocciasse parlare?
Arrivai a casa, andai in cucina, mangiai un toast e salii di sopra. Preparai la doccia, aspettai che raggiungesse la giusta temperatura, mi svestii ed entrai. Adoravo stare lì sotto, con l'acqua che ti massaggiava la testa, il ticchettio delle gocce e l'atmosfera creata dal vapore. Cominciai a pensare. Io pensavo sempre e pensavo troppo.
Era stata una mattinata intensa e diversa dal solito. La sfortuna mi aveva perseguitata, eppure era proprio grazie a lei se avevo parlato con Alex e la cosa non mi dispiaceva.
Un momento.
Tutto questo era accaduto dopo che avevo contato i nove passi. Insomma, li avevo fatti e un minuto dopo parlavo con un ragazzo che avevo sempre trovato carino! Quindi era lui l'amore di cui parlava la donna? Però il ragazzo della macchina, allora? Tecnicamente era comunque colpa di quei passi se la bici era caduta e lui mi aveva schizzata. Il nove sul suo portachiavi poi...
Troppa confusione. Non riuscivo a capire se quegli incontri avevano effettivamente un senso e, soprattutto, perché stessi perdendo tempo a pensarci. Erano solo coincidenze e poi non avevo mai creduto al destino, alle premunizioni e a tutto il resto.
Chiusi l'acqua, uscii dalla doccia, mi asciugai e mi rivestii. Il telefono vibrò. Teresa e Sara stavano scrivendo nel gruppo WhatsApp della classe, proponendo un pranzo al McDonald's quel mercoledì. Ci poteva stare, non ci andavamo da un po'. Diedi conferma sulla mia partecipazione e poi iniziai ad asciugarmi i capelli.

Nel frattempo, riflettevo sull'organizzazione dell'uscita. Come mi dovevo vestire, quanti soldi dovevo portare, come mi dovevo spostare. Se ci andavamo subito dopo scuola, avrei dovuto prendere l'autobus e lasciare la bici, oppure andare a scuola a piedi, oppure...
Ve l'ho detto che penso troppo. Lo faccio perché ho bisogno di essere certa di avere tutto sotto controllo. Sono quel tipo di persona dalla mente rapida, che prima di iniziare a fare qualcosa immagina già come sarà quando avrà finito, con tutti i particolari e i dettagli. Immagino talmente bene che poi quelle cose mi sembra di averle fatte davvero e rifarle mi annoia. Per questo lascio sempre tutto a metà e non concludo mai niente. Perché ho già concluso tutto nella mia testa.              

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