Secondo Passo

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Il martedì trascorse senza nessun imprevisto o colpo di scena. La mattina rimasi in casa a studiare, perché c'era sciopero e il pomeriggio andai a lezione di danza. Frequentavo una scuola di balli latino- americani e caraibici da cinque anni e mi ero sempre trovata molto bene. Quando avevo iniziato i corsi, a dodici anni, mi avevano messo in coppia con Teo. Lui aveva già esperienza e danzava da tempo, ma la sua ballerina aveva deciso di ritirarsi, mentre io ero appena arrivata. All'inizio non fu facile, dovevo coordinare il mio corpo e allo stesso tempo entrare in sintonia con il mio partner. Ogni movimento doveva essere deciso e carico di energia, ma allo stesso tempo sciolto e sinuoso. Bisognava trovare il giusto equilibrio. Tutto questo era ulteriormente complicato dal fatto che Teo mi metteva a disagio. Era più grande di me di due anni, nonché uno dei più bravi della scuola, per la sua età. Molte ragazze avevano sperato di essere messe in coppia con lui, ma questa "fortuna" era toccata a me. Io che avevo appena iniziato e mi sentivo il brutto anatroccolo nel bel mezzo del lago dei cigni. Molte mi sparlavano dietro e in un certo senso avevano ragione. Di solito abbinavano persone che avessero più o meno le stesse capacità e la stessa esperienza, o che comunque fossero allo stesso livello. Nel mio caso invece, avevano unito una principiante a un semi professionista e nessuno capiva perché. Il motivo era che in quel periodo, metterci in coppia era l'unico modo per far tornare i conti: io avevo bisogno di un partner e lui era l'unico ad esserne rimasto senza. Mi dissero che sarebbe stata una cosa provvisoria e che mi avrebbero dato un compagno più vicino al mio livello, non appena si fossero organizzati meglio. Col tempo però, si accorsero che ero portata per la danza e miglioravo in fretta.

«Ha un bel movimento e il ritmo nel sangue» dicevano.

Così, per la gioia delle altre ballerine, rimasi con Teo e col passare degli anni iniziammo a ottenere anche ottimi risultati nelle varie gare.
Il disagio iniziale che avevo quando ballavo con lui, scomparve pian piano e al suo posto s'istaurò una solida amicizia.
Passavamo molto tempo insieme, sia ballando, sia al di fuori degli allenamenti ed era una delle poche persone che mi conoscevano davvero bene.

Arrivò mercoledì, il giorno del pranzo di classe al McDonald's, che in realtà si trasformò, come pensavo, in un'uscita a sei. Eravamo io, Sara, Teresa e altri tre nostri compagni: i migliori ovviamente. Il resto della 4^E non partecipava spesso alle uscite che organizzavamo, anzi non partecipavano praticamente mai. Chissà come, avevano sempre di meglio da fare, ma non c'importava più di tanto. Erano strani e troppo ossessionati dallo studio per avere una vita sociale.

«I ragazzi sono già andati, ci aspettano là! Noi che facciamo? Prendiamo il 6?» chiese Teresa.
Eravamo nel piazzale della scuola, al solito albero.
«Per me facciamo prima col 14» obiettò Sara.

«Prendiamo quello che passa prima, no?» conclusi io, e terminato quest'entusiasmante dibattito su quale fosse l'autobus più conveniente da prendere, ci incamminammo verso la fermata.
Arrivammo in centro, perché ovviamente era lì che si trovava il McDonald's, come il resto degli altri posti un minimo interessanti della mia città.

A metà strada, mi bloccai.
«Ragazze, mi sono scordata che devo controllare una cosa. Voi andate avanti intanto, io arrivo fra un attimo» e detto questo tornai indietro, fino a raggiungere il punto in cui stava la donna dei nove passi. Speravo di vederla lì, vestita di nero e con il suo banchettino sgangherato. Volevo farle delle domande, chiederle tante cose, alle quali probabilmente avrebbe risposto con altre stramberie, incasinandomi ulteriormente. Eppure, volevo vederla lo stesso, ne avevo bisogno, ma lei non c'era.

Ripresi a camminare delusa, con la testa bassa e gli occhi che fissavano il succedersi dei piedi, passo dopo passo.

Ovviamente se non si guarda avanti prima o poi si urta qualcosa. «Oddio mi scusi, mi dispiace tanto!» dissi dopo essere andata completamente addosso a un passante, pestandogli un piede. Alzai lo sguardo per vedere il volto del malcapitato e mostrargli il mio, sinceramente dispiaciuto.
«Be', credo di essermelo meritato dopo la lavata dell'altro giorno!» e a seguire, una risata.
Quasi non ci credevo. Era il tipo della pozzanghera e del portachiavi con il nove.
«Ancora tu? Cosa fai, mi segui?» chiesi scherzosamente.
«Guarda che sei tu che mi sei venuta addosso! Se volevi attirare la mia attenzione ci sono modi più carini, sai?»
«Attirare la tua attenzione? Ti piacerebbe. Ti sono venuta addosso perché non ti stavo minimamente calcolando».
Sorrise, alzando gli occhi al cielo, mentre si faceva scorrere il pollice sul labbro inferiore.
«E dimmi, simpaticona, dove stai andando così di fretta per non calcolarmi neanche?»
«In un posto magico» risposi con sguardo accattivante.
«Ah sì? Il paese dei balocchi o quello delle meraviglie?»
Stava al gioco. Mi piaceva.
«Nessuno dei due, in questo paese trasformano le mucche in hamburger e le patatine in stecchini gialli ricoperti di sale».
«Ah, ho capito, ne ho sentito parlare! McDonald's giusto?» ridevamo entrambi.
«Esatto! Quindi sei anche intelligente?» domandai.
«Perché, avevi dei dubbi?
«Parecchi».
«Che dici, posso sapere il tuo nome, adesso?»

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