Di nuovo lunedì.
Me ne stavo spenta tra i banchi di scuola a mordicchiare nervosamente un'insipida matita gialla, mentre la prof straparlava di cose incomprensibili e il tempo sembrava non voler passare mai. Aspettavamo tutti il fastidioso suono della campanella che, in quel caso, sarebbe stato per noi un angelico canto di liberazione.
Che strano posto la scuola. Ci avete mai pensato al fatto che ci cresciamo dentro? Ci entrano piccoli nanetti ancora puzzolenti di latte e ne escono giganti ricoperti di peli. Certo, il fatto di diventare giganti non funziona per tutti. Con me il processo di evoluzione non è stato troppo generoso e così mi toccherà subire frasi del tipo "Ehi che tempo fa laggiù?" per circa tutta la vita. Tralasciando i miei problemi di bassa statura e ritornando alla scuola: vi rendete conto di quanto quello che siamo, dipenda da lei? A parte le materie, il titolo di studio e la cultura in generale, lo vedete quanta vita ci insegna? Perché come si sa, siamo il risultato delle nostre esperienze e interazioni sociali e la maggior parte di esse, avvengono all'interno dei suoi muri. A scuola impariamo a stare con le persone e a stare al mondo. Impariamo ad ascoltare e ad esprimerci. Impariamo ad essere corretti, anche se circondati da ingiustizie. A scuola scopri chi sei e chi vuoi essere.
O almeno, questo dovrebbe essere l'obbiettivo. Purtroppo però, c'è sempre gente come me, che non ha ancora la più pallida idea riguardo al futuro. L'eccezione che conferma la regola insomma.
DRIIIIIIIIINNN
Esclamò l'armonioso suono che segnava la fine delle lezioni, nonché delle mie contorte riflessioni sulla vita.
«Vieni da me a studiare oggi?» mi domandò Teresa, mentre ero impegnata a gettare disordinatamente le mie cose nello zaino.
«No scusami, non posso oggi».
«Perché? Che hai da fare?»
«Dentista» risposi con tono tutt'altro che entusiasta.
All'uscita di scuola girovagai per un quarto d'ora nel piazzale, aspettando l'arrivo del mio maggiordomo personale, che mi avrebbe cortesemente scortato allo studio dentistico.
Sì, sto parlando di mia madre.
Ed eccola qualche istante dopo, strombazzare con fierezza dal suo pick- up per attirare la mia attenzione.
«Mamma, disturbi la quiete pubblica così» le feci notare, aprendo la portiera dell'auto. Lei, ignorando completamente quello che le avevo appena detto, ravanò per qualche istante nella sua borsa e tirò fuori un sacchettino bianco, chiaramente proveniente dal forno.
«Ti va del gnocco?» mi chiese.
Che domande, certo che mi andava.
Avevo un serio problema con i carboidrati e, in particolare, con pane e derivati. Ne ero gravemente dipendente e mia madre non perdeva occasione di farmi queste piacevoli sorpresine, sabotando puntualmente la mia dieta. Ma, ehi... si vive una volta sola!
Afferrai con avidità lo gnocco e lo trangugiai in pochi minuti. Perché di solito noi ragazze siamo eleganti e raffinate con gli altri, ma quando siamo da sole, o in presenza di membri appartenenti al nostro nucleo familiare, le buone maniere vengono drasticamente ignorate.
Mia madre mi mollò sul marciapiede, davanti ad un imponente edificio grigiastro. Presi l'ascensore, perché farsi sei piani di scale era da malati mentali, o da persone particolarmente atletiche e io non ero nessuna delle precedenti. Entrai nello studio e mi accomodai in una delle sedie libere. Oltre a me, c'erano una madre esasperata con due terremoti al posto dei figli, un signore pelato che probabilmente aveva avuto l'intenzione di leggersi il giornale, ma era finito per addormentarsi tenendolo in mano, una coppia di vecchietti che fissavano il vuoto in silenzio e una ragazza più o meno della mia età, che stava incollata al cellulare. Avevo appuntamento alle 14:30 ed erano ancora le due in punto. Sapevo di essere in anticipo, ma mia madre poteva accompagnarmi solo a quell'ora. Non restava che trovare qualcosa da fare per far passare mezz'ora di tempo. Iniziai a fissare le persone, le osservavo concentrandomi su tutti i dettagli e immaginavo quale potesse essere la loro storia. Però quel giorno, tutta la mia attenzione era attirata dalla ragazza. Era davvero bella. Capelli biondo cenere, grandi occhi verde chiaro e un fisico che le invidiavo da morire. Perché certe ragazze dovevano essere così perfette? Perché loro avevano questa fortuna e io no?
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A 9 passi da te
General FictionIole è una classica studentessa al quarto anno di liceo. Tutto nella sua vita è normale, forse troppo. Annoiata dalla routine quotidiana, passa il tempo nella costante attesa che qualcosa la cambi. Un pomeriggio, uscendo con le amiche, incontra una...