PARTE SECONDA: Firenze, Italia.

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Quando mi svegliai, aprii lentamente gli occhi, mettendo a fuoco l'immagine che mi si presentava davanti.
Il letto di Carolina era disfatto, ma lei non c'era.

Mi rigirai nel letto, voltandomi verso la finestra.
Il sole era alto nel cielo, tornato a splendere dopo una notte di tempesta e filtrava attraverso i vetri della finestra della mia stanza. Da ciò dedussi che fosse mattina inoltrata e che avessi dormito più del previsto.

Mi stiracchiai, allungando braccia e gambe e, sbadigliando, mi alzai.
Non sapevo dove potesse essere andata Carolina e mi preoccupai pensando che l'avessero chiamata dall'ospedale dove sarebbe dovuta arrivare di corsa.

Decisi di prendere il cellulare per chiamarla, ma nell'esatto momento in cui mi avvicinai al comodino notai due buste gialle chiuse e un foglietto bianco ripiegato.
Sul foglio la calligrafia di Carolina, piccola e ordinata, attirò la mia attenzione e mi precipitai a leggerlo.

"Se Maometto non va alla montagna, allora sarà la montagna ad andare da Maometto"

Non riuscivo a capire cosa volesse significare quella frase.

La sera precedente avevo avuto l'impressione che la mia migliore amica stesse escogitando qualcosa, come se si fosse accesa una lampadina in lei, e ora ne stavo avendo la conferma.

Senza indugiare, stracciai la carta delle due buste e con grande meraviglia ne vidi il contenuto: due biglietti per il treno, direzione Firenze.

Sbarrai gli occhi. Il mio cuore era letteralmente impazzito, lo sentivo scalpitare in petto.
Avrei sfidato chiunque a rimanere calmo al posto mio, ma era assolutamente impossibile, feci addirittura fatica a trattenere una lacrima di gioia.

Per qualche secondo pensai di stare sognando, così andai a sciacquarmi la faccia e tornai in camera, dove i due biglietti c'erano ancora.

Fu quel genere di risveglio che, almeno una volta nella vita, ognuno di noi dovrebbe ricevere.

Carolina trovava sempre il modo di sorprendermi, sapeva benissimo quanto adorassi ricevere sorprese e quella volta fu davvero il massimo. Ero fortunata ad averla nella mia vita.

"E' di persone così di cui bisogna circondarsi, di qualcuno disposto a mettere la felicità dell'altro davanti alla propria, perché la cosa più bella è rendere felice chi è il motivo della nostra felicità."

E' un vero e proprio atto di coraggio, ma quel pensiero mi aveva sempre accompagnata durante tutta la mia vita: rinunciai all'amicizia con Marco, poiché preferii vederlo felice insieme a quella che un tempo era la sua ragazza; non mi allontanai mai di casa, poiché sapevo che i miei genitori avevano bisogno di me; non provai mai rancore nei confronti di Carolina che, dopo tutti gli anni passati insieme, andò a vivere lontana, poiché vederla realizzare il suo sogno mi rendeva orgogliosa.

Dovevo ringraziare Carolina al più presto, così al piano inferiore della mia abitazione per chiedere ai miei genitori se sapessero dove fosse.
La cucina e il soggiorno erano deserti.

Uscii fuori e, con sollievo notai mio padre intento a tagliare l'erba del giardino.

«Papà, ma Carolina dov'è?» chiesi, urlando per sovrastare il rumore del tosaerba.

«Oh, ciao tesoro. E' uscita con tua madre, successo qualcosa?» chiese, passandosi una mano sulla fronte sudata.

«Dai papà, non dirmi che tu non ne sapevi nulla!» dissi, sorridendo.

«Non capisco... ma di cosa stai parlando Candice?» il suo viso era accigliato.

«Aspetta un secondo.» Sgattaiolai in camera, presi i biglietti e glieli porsi davanti agli occhi. «Ecco, guarda!»

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