Capitolo III

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L'inaugurazione del locale ci fu due settimane dopo e, per fortuna, fu un vero successo.

Avevo iniziato a spargere voce tra i miei vecchi compagni di scuola, che colsero quell'occasione per incontrarci di nuovo dopo molto tempo.
Con alcuni di loro avevo perso i contatti, con altri, invece, continuavo a frequentarmi nel fine settimana.

La mia migliore amica, Carolina, si era trasferita in Inghilterra due anni prima, dopo il diploma.
Anche lei voleva continuare gli studi a Londra e, avendone la possibilità economica, ci era riuscita.
Non provavo invidia, né rancore nei suoi confronti, potevo solo essere felice dei suoi successi.
Era sempre stata la costante della mia vita, fin da piccola, la mia ancora di salvezza, la mia certezza.
Ci sentivamo quasi tutti i giorni: passavamo le ore al telefono a parlare del più e del meno, mi raccontava ogni dettaglio della sua vita, degli studi, dei viaggi e dei ragazzi che frequentava.
Ovviamente fu la prima a sapere che ero finalmente riuscita a parlare con i miei genitori.
Quando glielo dissi iniziò a piangere di gioia e ad urlare al telefono, e io feci lo stesso.
Mi mancava così tanto; la sua assenza era la più forte presenza che potessi avvertire.
Aspettavamo soltanto il giorno in cui ci saremmo incontrate di nuovo, ma quella volta non sarebbe stato a Siena per le vacanze di Natale, no. L'avrei raggiunta lì, nella città dei nostri sogni adolescenziali, nella metropoli dove avremmo condiviso lo stesso tetto e continuato a crescere insieme.

Sapevo che quel giorno non ci sarebbe potuta essere, e un po' mi dispiacque nel vedere tutti quei volti familiari e non trovare il suo.

Dopo poco sentii chiamare il mio nome, e mi voltai di scatto. Quella voce mi suonò familiare.

«Marco! Oh mio Dio, da quanto tempo!» lo abbracciai forte e lui ricambiò.

Marco era stato il mio compagno di banco alle scuole superiori, riusciva a strapparmi un sorriso anche nelle ore di lezione più noiose.
Aveva imparato a conoscermi meglio di me stessa, era il mio complice, in tutto.
Quando non avevo voglia di entrare a scuola, chiamavo lui, sempre pronto ad assecondarmi nei miei momenti di follia. Allo stesso tempo, però, sapeva quand'era il momento di tornare con i piedi per terra e mi rimproverava spesso per la mia impulsività.
Non c'era mai stato nulla tra noi oltre l'amicizia, per quanto ne sapessi.
Ci allontanammo negli ultimi mesi del quinto anno, perché Marco si fidanzò con una ragazza oca, più piccola di noi, estremamente egoista e gelosa che non gli permetteva nemmeno di parlarmi.
Quanto la odiavo!
Avevo perso il mio migliore amico, per colpa sua.

Rivederlo mi fece uno strano effetto, non ci sentivamo da un bel po' e dopotutto, solo un paio di anni prima, passavamo insieme intere giornate e conoscevamo tutto dell'altro.
Con il passare del tempo, in un certo senso, semplicemente mi abituai alla sua assenza.

«Candice, che bello rivederti! Ci sarebbero così tante cose che vorrei dirti...» Abbassò lo sguardo.
I suoi occhi si incupirono, e un ciuffo di capelli scuri andò a coprirgli la fronte. Era amareggiato.
«Mi dispiace davvero tanto per essere, come dire, scomparso... Non avrei mai dovuto permetterle di comportarsi in quel modo, se sapessi quanto mi sei mancata...» disse.

Ma tu guarda, con quale faccia tosta mi viene a dire ora certe cose, dopo aver rinunciato alla nostra amicizia per una stupida ragazzina?

Lo guardai, le sue parole erano sincere, ma allo stesso tempo mi facevano tanta rabbia.
«Si beh anche tu...» fu ciò che dissi, istintivamente. In effetti, era vero: mi era mancato.

Marco mi sorrise, e io ricambiai. La nostra complicità non era del tutto sparita.
«Ah comunque, complimenti! Ti vedo in gran forma, e ti fai sempre più bella. E' qui che lavorerai adesso?» disse.

«Oh, ti ringrazio. Anche io ti trovo davvero bene. E...si, ora lavoro qui, sai... i miei genitori hanno accettato l'idea che potessi andare a studiare fuori, così... ho deciso di darmi da fare per potermi pagare gli studi...»

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