Capitolo XVIII

213 39 51
                                    

«Mamma, ti sbrighi? Il treno parte tra un'ora, non vorrei arrivare in ritardo.»

Urlai, nel viale sul quale affacciava la mia abitazione.

Quella settimana sembrò non passare mai, ma il giorno della partenza era finalmente arrivato.

Avevo passato le mie intere giornate in pasticceria, cercando di guadagnare qualcosa in più per il viaggio con la mia migliore amica. Carolina mi aveva dato una mano, prendendo ordinazione ai tavoli, nonostante non ci fosse stata molta clientela.
La condizione di suo padre rimase abbastanza stabile: era tornato a casa, ma purtroppo costretto a passare il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle.

Quella mattina ero in piedi, poggiata alla macchina con Carolina e le valigie al mio fianco.

Mia madre era ancora dentro casa, cercando i documenti dell'auto e quell'attesa stava diventando esasperante.

Ero una persona ansiosa, e in quella situazione lo fui particolarmente, poiché non mi ero mai allontanata da casa da sola, se non in occasione di viaggi d'istruzione.

«Allora, sei pronta?» Carolina si rivolse a me con un sorriso che le illuminava il viso.

«Puoi dirlo forte! Se solo mamma si sbrigasse... » Non terminai la frase, che lei uscì di casa, con un piccolo beauty case tra le mani.

«Allora, qui ci sono le medicine... tachipirina, Gaviscon per il mal di stomaco... Ah, ecco anche il termometro!» Era agitata, e frugava freneticamente in quel piccolo baule per controllare per l'ennesima volta se non avesse dimenticato di metterci qualcosa, e me lo porse.

Io la guardavo con un'espressione divertita, ma allo stesso tempo sconvolta.

«Mamma, sta tranquilla! Non sto mica partendo per la guerra... Si tratterà di qualche giorno!» Le dissi, cercando di tranquillizzarla.

Entrammo in macchina, dopo aver sistemato i bagagli nel cofano.
La stazione si trovava a qualche chilometro da casa. Avremmo preso un treno regionale che ci avrebbe impiegato poco più di un'ora per arrivare a Firenze.
Quando arrivammo, mia madre insistette per accompagnarci fino ai vagoni e di aspettare che partissimo.

Glielo permisi, poiché sapevo che, da un certo punto di vista, la mia lontananza l'avrebbe fatta preoccupare e che quel gesto avrebbe migliorato il suo umore.

La stazione non era molto affollata, ma provai comunque un senso di dispersione.

Era un luogo ampio, confusionario, non adatto a me. Odiavo trovarmi in mezzo a troppa gente, così camminavo facendomi spazio con la valigia che, invece di trascinare, spingevo in avanti.

Carolina, al contrario, abituata al caos della sua metropoli inglese, era perfettamente a suo agio.


Ci dirigemmo al nostro binario, il numero 5.

Feci fatica a trascinare su il mio bagaglio, forse un po' troppo pesante e grande per il tempo della nostra permanenza. Mi sistemai al mio posto, emozionata al sol pensiero che a breve avrei rivisto il mio ragazzo.

Durante il tragitto ripresi la lettura di un libro, "Due di Due", proprio nel passo in cui, i due ragazzi protagonisti del romanzo, erano in partenza per le vacanze estive.

Mi voltai verso la mia migliore amica che dormiva beatamente a bocca aperta, con la testa all'insù.

Ogni tanto rivolgevo il mio sguardo verso il finestrino, osservando la velocità con la quale quel treno si muoveva. I miei pensieri erano più lenti della vista del paesaggio che attraversavamo con estrema velocità, tanto che non riuscivo a bloccare un immagine che già se ne presentava una nuova.

Ricomincio da teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora