ventinove

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GIORNO 2 (IN VIAGGIO)
Lascio questa città con l'amaro nel cuore, con un vuoto profondo che mi assale all'improvviso come se lasciassi qualcosa che da sempre amo.
Lascio la paura dell'ignoto su cui la mia fervida immaginazione aveva più volte fantasticato durante il viaggio per arrivare qui.
Lascio lo stupore di essere riuscita comunque a sopravvivere superando gli alti e bassi che ho incontrato nel mio percorso infinito alla ricerca di qualcosa che somigli alla felicità.
E ancora lascio la bellezza di questa città sottovalutata dalle stesse persone che sono nate e cresciute nei suoi confini, che non sanno neanche di essere felici benché accompagnati ogni giorno dalle loro famiglie nel fresco profumo della loro patria.

Come "quello stesso" partì volontario così feci anche io non molti giorni fa.
Ora seduta su questo sedile mi trovo a chiedermi ancora se partire è stata la scelta giusta.
Casa mi manca, nonostante tutto mi manca tanto, ma non posso tornarci, non prima di aver riordinato le idee.
Tornerò, l'ho promesso a mamma. Tornerò per vedere quanti hanno sofferto durante la mia assenza.

Scrivo su quel maledetto diario tutto ciò che penso, senza dovermi preoccupare che qualcuno lo legga. Sono io e soltanto io, come ho sempre desiderato.
Alzo gli occhi per guardare fuori dal finestrino, le case hanno già lasciato il posto a immense distese di campi attraversate dalla strada che pare infinita.
- si può avere un po' di musica? - chiedo.
Il tassista acconsente schiacciando un bottone.
Più bella cosa non c'è, più bella cosa di te...
È come se il mio passato mi seguisse dappertutto, le probabilità che questa canzone capitasse su una frequenza rumena e che io avessi l'occasione di ascoltarla sono spaventosamente rare. Eppure è così che è stato.
Personalmente non credo nel destino o in qualcosa che vada contro ciò che è scientificamente provato, ma certe cose non possono succedere per caso.
Capitano in momenti troppo precisi, come se fossero state stabilite.
Così una lacrima comincia a rigare il mio viso, poi un altra e mi sembra di poterci annegare da un momento all'altro, nelle mie lacrime.
Alzo la testa verso il finestrino, un campo di papaveri e una piccola casetta in mezzo. Vivremmo così, mano nella mano in una distesa di fiori, io e te, nient'altro.
Mi manchi Federico, chissà se anche la mia assenza ti toglie il respiro, ogni tanto.

Tre ore dopo come previsto siamo davanti casa di Aleksandr.
È una casetta graziosa, stile inglese, con il tetto a spiovente, di un giallo vivace.
Una delle tante casette di questo quartiere che si distinguono solo per il colore.
Salgo i gradini che conducono alla porta e suono il campanello.
Qualche secondo dopo appare Alec che mi invita ad entrare con un sorriso smagliante.
- non è tanto grande, ma non è male - spiega riferendosi alla casa - metti pure le valigie nella prima camera a sinistra, poi andremo a fare un giro della città -
- ai suoi ordini - ironizzo.
Disfo i bagagli riponendo tutta la mia roba nel grosso armadio color tortora sul fondo della stanza, ho la sensazione che starò qui per un po'.
- Vita allora sei pronta? -
- arrivoooo - urlo dalle scale.
Aleksandr è già nel corridoio di ingresso sempre vestito impeccabilmente nonostante il freddo.
- sempre bellissima - mi fa fare una giravolta e mi trovo appoggiata al suo petto a pochi centimetri dalla sua faccia.
Dopo qualche secondo di sguardi imbarazzati ci stacchiamo e apre la porta impacciato.
Tira un forte vento qui in Transilvania, un vento gelido, insopportabile.
Vedendomi tremare Aleksandr apre un lembo del suo cappotto marrone e mi ci infila sotto, sento il fuoco al suo contatto.
Qui fa buio presto, mi spiega e dopo le sei la gente si rintana in casa lasciando le strade nella più completa desolazione.
- prima tappa: la chiesa nera il simbolo della città - spiega.
- per quale motivo qui costruiscono chiese di colori scuri? -
- in origine questa chiesa era bianca, poi però verso il 1800 c'è stato un incendio ed è per questo che i muri si sono anneriti, da li poi non è stata più ristrutturata -
- quando un disastro si trasforma in qualcosa di più bello -
- si, è andata all'incirca così - sorride.
Il sole comincia a calare, il cielo si tinge di arancio e l'aria diventa sempre più fredda.
Passeggiamo tranquilli per le vie di questa città dalle case basse dai colori pastello che infondono un senso di allegria.
Sto respirando la libertà.
Torniamo verso il centro proprio mentre il sole sta scomparendo dietro ad una collina facendo cadere la città nel buio più totale.
Aveva ragione Alec, le strade sono già deserte, tutto tace.
- andiamo a mangiare qualcosa? - mi propone.
- ci sto -
- ti porterò nel mio ristorante preferito -
- cucina rumena? - chiedo temendo la risposta, non capisco niente sui menù e comunque ciò che vedo servire non attira la mia curiosità.
- ovviamente, dovrai pur abituarti prima o poi -
- non è facile dopo che si è mangiato il miglior cibo al mondo per tutta la vita - lo stuzzico.
- su questo ti do ragione - ridacchia.

Dopo venti lunghissimi minuti a piedi arriviamo davanti ad un ristorante, da fuori ha un aspetto grazioso, sembra una di quelle vecchie locande dei paesi medioevali.
Entriamo e ci accoglie un cameriere dicendo qualcosa di incomprensibile, ma questa volta non importa c'è Alec che capisce tutto.
Alla fine ci assegnano un tavolo accanto ad una delle piccole finestre.
- cosa mi consigli? - chiedo.
- non ti preoccupare, faccio io -
- cercherò di fidarmi - ironizzo.
Ordiniamo una strana zuppa chiamata Gulasch, e una grigliata di carne.
- allora, cosa ti spinge a lasciare l'Italia per tornare qui? - gli chiedo.
- tu meglio di tutti saprai quanto il paese dove sei cresciuto possa mancarti -
Annuisco a quella che mi sembra una frecciatina.
- pensi di tornarci presto? - mi chiede.
- sono scappata, ho deciso di sparire senza lasciare tracce e quando sparisci non torni più indietro - reprimo una lacrima che minaccia di scendere, ma Aleksandr si accorge lo stesso - ci sono io non preoccuparti - dice accarezzandomi la mano.

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