III

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I genitori di Bea e Giacomo erano morti quando lui aveva 17 anni e lei 15. Bea non ricordava quasi nulla di quel giorno, gli psicologi dicevano che il suo cervello aveva totalmente rimosso quella giornata. Giacomo, invece, se lo ricordava bene. Ricordava i poliziotti sotto casa a dargli la notizia, le urla strazianti della sorella della madre, il pianto silenzioso dei fratelli di suo padre, i vicini di casa distrutti. Eppure, a distanza di anni, Giacomo continuava ad immaginarla come una morte bella: erano morti insieme, mano nella mano, la testa di mamma appoggiata alla spalla di papà, mentre una Cadillac guidata dal ladro che l'aveva appena rubata, sbandata per l'asfalto lucido impregnato della dolce pioggia di aprile, li aveva presi in pieno mentre attraversavano la strada. Erano stati ritrovati a terra abbracciati: forse le ultime forze che erano rimaste loro in corpo avevano permesso ai due di abbracciarsi per l'ultima volta.

Giacomo non li aveva visti, né quando li avevano portati a casa, né prima di chiudere le bare. Aveva passato tutta la notte a piangere insieme alla sorella, senza dire una parola. Era rimasto seduto con le ginocchia al mento a piangere copiosamente. Le lacrime sembravano non finire mai, e anche quando le sentiva finire, ecco che ricominciavano a scendere, di nuovo, senza sosta. Aveva pensato a come dovevano essersi sentiti i suoi genitori, mentre la macchina arrivava loro addosso: l'avevano vista? Avevano capito quello che stava per succedere? Avevano tentato di scappare? E a cosa pensavano mentre morivano? Pensavano a loro due? Avevano sofferto?

Giacomo li aveva immaginati a scambiarsi promesse d'amore, con il volto rigato dalle lacrime e dal sangue, mano nella mano, mentre cercavano di aggrapparsi a quel poco di vita che era rimasto dentro di loro.

Nei giorni a seguire, casa sua era diventata un santuario: visite a tutte le ore, raduni di preghiera, file immense di gente pronta ad aiutare, e a ricordargli che era una terribile disgrazia e che a quanto pare "il Signore deve avere un altro piano per te". "Devi essere forte, per te e tua sorella, lei è più piccola, tu sei grande adesso" era stata la frase che in assoluto lo irritava di più: quando ne aveva parlato con lo psicologo, questi gli aveva detto che in casi del genere, le persone non sanno bene cosa dire e provano con le solite frasi, ma ciò non significa che siano cattive e lo facciamo per dispetto.

"Beh, se non sanno cosa dire, che stiano zitte" aveva replicato così Giacomo.

Ricordava che in quell'occasione Luca gli era stato molto vicino: era rimasto a casa sua per mesi, non voleva abbandonarlo neanche un secondo. Ricordava bene una di quelle notti, la più bella che riuscisse a ricordare, in cui tutto era cambiato, in cui la luce in fondo al tunnel, quella volta, non era un treno, ma due meravigliosi occhi marroni.

Giacomo era disteso supino sul letto, fissando il soffitto. Se solo qualcuno in quell'istante avesse potuto sentire il rumore assordante dei suoi pensieri, avrebbe pensato che avrebbe potuto esplodere da un momento all'altro. Bussarono alla porta, ma non si alzò. Luca entrò nella sua stanza e senza dire una parola, si distese al suo fianco. Girò la faccia e lo fissò, dopo tornò a guardare il soffitto.

"Che cazzo ci fai qua? Avevo detto a mia nonna che non volevo vedere nessuno."

"Lo so, infatti non voleva farmi salire."

Giacomo si girò verso Luca, guardandolo con aria stranita.

"Cazzate" disse.

"Infatti era una cazzata."

Giacomo tornò a guardare il soffitto, sbuffando. Luca si girò verso di lui, spingendo il suo corpo contro quello di Giacomo.

"Giacomo, io non potrò mai capire come ti senti, ma sono passati due mesi, e tu non hai detto una parola. Non ti fa bene. Sento il rumore dei tuoi pensieri, lo sento da qua, e lo so che non stai bene. Lo so che al momento stai pensando a tutto quello che i tuoi genitori si perderanno, quello che non vedranno. Lo so che stai pensando che non ci sarà tuo padre ad insegnarti a guidare, non ci sarà tua madre con cui parlare di quello che succede a scuola. Lo so che stai pensando che non ci saranno quando farai finalmente 18 anni, non vedranno il tuo esame di maturità, non ti vedranno scegliere dove andare all'università e non vedranno la tua laurea. E più di tutto stai pensando a Beatrice, che al momento è tranquilla ed hai paura che tutto questo casino possa riemergere improvvisamente e danneggiarla, anche a livello mentale. Hai paura che un giorno possa venire da te, e ti chieda di raccontarle di mamma e di papà, e hai paura che non ce la farai. Hai paura che possa svegliarsi nel cuore della notte urlando e piangendo che vuole la sua mamma e suo papà e tu non potrai far nulla per consolarla, perché che cazzo si può fare in questi casi? Nulla, assolutamente nulla, e hai paura che, codardo come sei, la lascerai piangere da sola e lascerai che sia tua nonna ad andare da lei, e ti rigirerai nel letto, buttando la testa sotto il cuscino, cercando di non sentire, cercando di soffocare là sotto, così da non sentirla più, così da non sentire più niente. E sai di cosa hai ancora più paura? Hai paura di perdere anche lei, la tua sorellina, e di rimanere solo. E non lo dici, perché hai paura di apparire debole. È per questo che sono due mesi che eviti di parlare di quello che è successo: perché hai paura di sembrare debole, una femminuccia, che piange perché ha perso le persone che l'hanno messo al mondo. Perché sei un maschio, no? E non puoi piangere, tu devi essere sempre forte per tutti, devi essere un uomo, e gli uomini non piangono. È così Giacomo, vero? Non è così?"

Luca aveva iniziato ad alzare la voce, e Giacomo piano piano si allontanava da lui, facendosi sempre più piccolo. "Giacomo, rispondi" disse Luca.

Respirò profondamente e infine, rispose. "Sì, è vero."

Luca si alzò e cominciò a camminare nervosamente per la stanza, e Giacomo si sedette ai piedi del letto, fissando il pavimento e cercando di evitare qualsiasi contatto visivo con Luca. Luca si fermò improvvisamente, si avvicinò piano e lo abbracciò; Giacomo appoggiò la sua testa al suo petto, che sentiva scoppiare. Luca gli accarezzava dolcemente la testa senza dire una parola, e piano piano le lacrime scesero copiose sulle guance di Giacomo. La mano grande di Luca cercava di asciugarne quante più possibile, ma si dimostrò una battaglia persa in partenza. Luca si sedette accanto a lui, gli girò la testa e lo guardò fissamente negli occhi. Si rese conto solo in quel momento di quanto fossero belli i suoi occhi, di un intenso colore blu, messo ancora più in risalto dalle sue lacrime.

Gli sussurrò con voce tremante "Andrà tutto bene, io non ti abbandonerò mai".

E piano piano, si avvicinò a lui e lo baciò, un candido bacio.

E tutto intorno sembrò acquistare nuovamente colore.

Road to somewhere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora