VIII

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"Forse è questa la vera felicità in fondo, vivere fregandosene."

"Lo è, almeno credo di sì."

"Non l'avremo mai noi due allora."

"Già. La felicità richiede  un lavoro molto, molto duro per arrivarci."

"Non sono per lo sgobbare io."

"Io sì. Ma non credo di voler lavorare duramente per la felicità, sapendo quello che comporta. Diciamo che... la felicità è relativa, come il tempo per Einstein. Forse per quelli come noi non è quella la felicità, perché soffriremmo al pensare a cosa abbiamo dovuto sacrificare per fregarcene."

"Beh, forse sì, ma non lo sapremo mai. Credo che la felicità in generale non sia alla portata di tutti, tantomeno alla mia portata. Io auspico alla serenità, è quella che perdura nel tempo. La felicità è momentanea."

"Hai ragione, la felicità viene e va. Non si può essere felici per sempre. Credo sia impossibile."

Ci aveva azzeccato alla fine, pensò Bea. Non si può essere felici per sempre. E nel frattempo, neanche l'ombra né della felicità, né tantomeno della serenità. Era in macchina, aveva deciso di andare a fare una passeggiata a mare, per prendere un gelato, sedersi sulla spiaggia e staccare un po' la spina. Stava andando a prendere la sua migliore amica, Anna, colei che considerava sua sorella. Anna non sapeva della sua doppia vita, ma sapeva di Andrea: quando, qualche sera prima, Andrea era andato a parlare con Bea, Anna le aveva chiesto, una volta al tavolo:

"Ehi B, tutto bene? Ho visto che Andrea è venuto a parlarti, che ti ha detto?"

"Ma niente, le solite stronzate, lo sai com'è."

"Ti ha toccato? Ti ha fatto male?"

"Nono, ma che dici, Anna, non ti agitare! Non mi ha fatto nulla."

"No, perché lo sai che se ti sfiora di nuovo, non so quello che potrei fare..."

"Sta tranquilla, Anna, davvero, è tutto ok."

Arrivò sotto casa di Anna, e suonò il clacson 3 volte. Dopo pochi secondi, Anna scese, e salì in macchina. Indossava un vestito dalla dubbia utilità tant'era corto che lasciava intravedere un costume intero nero, un cappello gigante di paglia, sulla spalla una borsa mare di un fucsia accecante e in viso un paio di occhiali da sole talmente grossi da coprire quasi tutte le guance.

"Amore mio, finalmente mi stai portando al mare! Ma il costume e il telo, dove sono?" disse appena salì in macchina.

Bea continuava a guardarla con un'espressione facciale che sembrava dire "questa qua è scema".

"Anna, mi pare di averti detto parecchie volte che mi è venuto il ciclo stamattina. Volevo solo andare a farmi una passeggiata in riva al mare, non il bagno."

"Ah, sì, me lo ricordo! E vabbè, vorrà dire che mentre tu passeggerai in riva al mare, io mi prenderò un po' di sole! Non posso certo tornare all'uni con questo colorito così pallido."

"Sembri del Ghana talmente sei abbronzata."

"Bea, tu proprio non capisci. Non basta! Tutte le mie colleghe sono andate in vacanze in luoghi assurdi: Ibiza, Canaria, Lucia è stata addirittura a Miami e Paola alle Hawaii! Saranno abbronzatissime, rimarranno così fino a gennaio. E io non posso categoricamente esser da meno."

Anna, la solita. Tutta Gucci e Prada, come amava definirla. Amava l'idea di apparire, non perché fosse altezzosa, ma più semplicemente perché era cresciuta in una famiglia parecchio benestante ed importante, ed apparire era sempre stata la loro priorità. Bea la conosceva dalle elementari, e sapeva quanto in fondo fosse esattamente come lei: una piccola pazzoide, imbranata e divertente. La persona più buona che questo mondo potesse conoscere. Bea sospirò e sorrise, rispondendole con un semplice "Va bene".

Il tragitto fu accompagnato dalle canzoni reaggeton che tanto Anna amava e che cantò a squarciagola per tutto il tempo, e Bea non poté fare a meno di cantarle con lei, anche controvoglia.  Una volta arrivate in spiaggia, andarono a prendere un gelato, e Anna andò a stendersi in riva al mare, cercando la posizione perfetta per posizionare il suo telo e poter abbronzarsi quanto più possibile. Bea si mise le cuffiette e cominciò a passeggiare in riva al mare. Si era tolta le scarpe e si era messa a camminare sulla sabbia umida, lasciando le onde del mare bagnarle dolcemente i piedi. Guardava il mare, così cristallino, così celeste da aver quasi voglia di sparire al suo interno. Lasciarsi sommergere dalle onde, lasciarsi trascinare dal mare senza opporvi nessuna resistenza.

Eppure a Bea il mare faceva rabbia.

Il mare se ne frega, diceva sempre. Il mare è pieno di sé, se ne frega degli altri. Se ne frega che non resti in galla: se non ti muovi, se non sai muoverti, ti porta via, ti porta con sé. Il mare non ha sentimenti, il mare non può dartene. Il mare non lotta con te, il mare lotta contro di te, e se non sei abbastanza bravo, batterti è un attimo. Il mare nasconde, il mare opprime, il mare uccide. Un po' come questo mondo, no? Esattamente come questo mondo, che ti uccide e ti fa fuori se non dimostri di saper lottare, se non dimostri di essere abbastanza bravo. Altrimenti è una morte lenta, come l'annegamento, che ti porta inesorabilmente verso il cuore del buio, il centro della notte, la più buia di tutta la sua vita.

Si sedette, e si prese la mano tra le mani.

Nelle cuffie, una chitarra, una voce strana, che cantava questi versi.

"Perciò non avere paura man, tutto torna,
anche nella notte più scura frà tutto torna.
Alla fine la luce prevarrà sull'ombra,
e se ti chiedono come sta un marcio?
tu digli è in forma.
Perciò non avere paura baby tutto torna,
sono tanti e tu sei una,
ma giuro, tutto torna.
Prima o poi la luce prevarrà sull'ombra,
e se ti chiedono come sta un marcio?
tu digli è in forma." 🎶

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