Capitolo 6

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Arrivò il mese di maggio e faceva fresco, si stava bene.
Era una bella giornata, la ricordo ancora. Era il 16 maggio ed era un sabato. Era passato circa un mese da quando mi avevano messo vicino a Michael ed era bellissimo. Stavamo sempre assieme. Giorni prima Mario mi aveva chiesto se volevo essere la sua ragazza, io avevo fatto finta di pensarci per non deluderlo al primo colpo e poi gli avevo detto di no. Non so, provavo una sorta di menefreghismo verso di lui. Non mi interessava proprio. Avevo fatto finta di essere dispiaciuta e lo avevo abbracciato. Davanti a Michael. Ma probabilmente lui non era geloso, anche perché io gli avevo detto tutto senza alcun problema, sentivo di
potermi confidare con lui. E lui lo faceva con me. Ci fidavamo a vicenda l'uno dell'altra. 
Sembrate una coppia
Aveva riflettuto più volte la mia coscienza. Io avevo sempre risposto che non era vero. Ma sotto sotto sapevo che era la verità. Lo avevo presentato a Martina e anche lei mi aveva detto che stavamo bene insieme, ma io avevo negato. Avevo detto che eravamo solo migliori amici. Ma ritorniamo a quel giorno di maggio. Alla prima ora avevamo algebra. Era il momento più bello della giornata. L'ora in cui stavamo più a contatto perché io ero più o meno considerata un genio dell'algebra perché ero bravissima e velocissima. Lui mi chiedeva di aiutarlo se non gli venivano le espressioni e se non riusciva a trovare una soluzione e io facevo fatica a trovarla ci confrontavamo e la trovavamo comunque. Insieme. Bene. Quel giorno mi chiese se potevo venire alla sua festa. L'avrebbe fatta il 30 sera in un locale e avrebbe invitato degli amici e delle nostre compagne di classe oltre a me. Io gli risposi che sarei venuta. Amavo andare alle feste. L'unico problema era il regalo da fare a Michael, non sapevo benissimo cosa gli piacesse di video giochi. Avevo già comprato una maglietta. Era una maglietta bianca a maniche corte con l'autografo di Eminem che so che a lui piaceva. Ero andata a un suo firma copie giorni prima e mi ero fatta autografare una maglietta che piaceva a me, ma che era da uomo e che avevo preso abbastanza larga e pensavo che sarebbe andata anche a Michael, anche se lui non è me. Per la serata avevo un vestitino azzurro corto e senza maniche che avevo comprato l'anno prima e che mi andava ancora e mi piaceva da morire. Era uno dei miei  vestiti preferiti. Ero davvero felice. Così dopo la scuola avvertii i miei che il 30 sera sarei andata alla festa di compleanno di Michael. Ormai anche i miei lo conoscevano e si fidavano di lui. Questa era una cosa veramente buona e significava che potevo uscire con lui più o meno quanto e quando volevo. L'ora seguente avevamo la verifica sull'analisi logica di italiano. Mi sembrava che fosse andata bene, ero insicura solo su poche cose. Alla terza ora avevamo latino e io mi annoiavo perché Michael era andato davanti perché la prof. lo stava interrogando insieme a Sam. Le interrogazioni di latino erano così noiose e la voce della prof. non ti aiutava a restare sveglio, così mi addormentai, e, dato che ero in fondo, nessuno se ne accorse. A parte quando Michael tornò al posto che svegliò piano piano scuotendomi. L'ultima ora avevamo invece scienze, una delle mie materie preferite. Il nostro prof. di scienze era molto bravo a spiegare e quasi tutta la classe stava attentissima, compresa me. Passò veloce quell'ora. Tornai a casa, chiesi a i miei se potevo andare alla festa di Michael e loro mi dissero di sì. Il resto della giornata passò all'insegna della normalità.    

La sera di sabato Martina venne a casa mia e facemmo after. Ci addormentammo dopo aver cazzeggiato ampiamente fino alle cinque di mattina. Le dissi dell'invito di Michael e poi lei mi parlò un po' del suo liceo e dei casini di alcune sue amiche. Aveva tanto da dire, invece io non molto. Ma rimanemmo comunque a parlare per tanto tempo. Ci addormentammo come tutte le altre volte sul tappeto della mia sala e dato che era primavera e di notte iniziava a fare caldo, dormire sul tappeto con un lenzuolo sopra era magnifico. Tutto in quel momento era magnifico, non c'era niente che potesse farmi diventare triste.

Il mercoledì dopo mi ritrovai in un pasticcio. Dopo la lunga giornata di scuola del mercoledì, ero uscita e camminavo per una piccola vietta che portava alla metro, mentre dei giovani che passeggiavano mi fermarono. Erano in quattro: due alti e due medio-bassi, erano uno moro, uno biondo e due castani, avevano delle magliette blu elettrico e i pantaloncini beige della carharrt. Era giorno e il sole illuminava i loro volti che erano sudati a causa forse del caldo. Mi chiesero dove stessi andando e io risposi loro che tornavo a casa. Mi davano fastidio. Avevano un modo di fare da boss. Mi chiesero dove abitavo e io non risposi. Mi fecero altre domande su di me e iniziai a sudare perché ogni volta che non rispondevo loro mi sbattevano contro il muro a cui ero vicina con più forza e il loro fare stava diventando minaccioso. Non sapevo cosa fare. Ad un certo punto il ragazzo più alto del gruppo, che probabilmente era il capo della banda, mi sbattè contro il muro molto forte e provai una fitta alla spalla. Porco Giuda! Poi sentii che stava arrivando qualcuno di corsa. Infatti i ragazzi che erano intorno a me si voltarono tutti. Il ragazzo biondo e alto avanzò lentamente verso il nuovo arrivato. Gli chiese perché corresse e perché stesse venendo verso di loro. Non sentii molto bene cosa disse, ma capii subito chi era: Michael. Era la sua voce, ma era da solo, non vidi nessun'altro con lui. Disse che era mio amico. Spintonò via il biondo e si diresse verso di me e mi prese la mano intrecciandola nella sua. Il capo notò e diss3: "È la tua ragazza?!" E Michael rispose: "Sì". Guardai il ragazzo alto e moro negli occhi per cercare di capire come volesse reagire a quella risposta, ma forse se l'aspettava. Michael fa nuoto e per questo è muscoloso e ha le spalle larghe, ma sarebbe stato difficile battere quei ragazzi. Io non sapevo cosa fare. Michael mi strinse ancora più forte la mano. Mi portò via, facendosi spazio tra il capo della banda e gli altri ragazzi. Stranamente quei ragazzi non fecero una piega e ci fissarono finché non avemmo girato nella via seguente. Non capisco ancora perché ci avevano lasciati andare. Loro erano in quattro e noi in due e per giunta io sono una ragazza e sono più debole di loro. Michael non poteva aver fatto loro così tanta paura da lasciarci andare via così. Ci doveva essere sotto qualcosa, forse lo conoscevano. Mi accorsi che Michael e io avevamo ancora la cartella sulle spalle perché eravamo appena usciti da scuola. Quei ragazzi non sembravano più grandi di noi. Non mi sembrava di aver visto qualcuno di loro con la cartella, quindi dovevano aver balzato la scuola o essere usciti prima. Poi ringraziai Michael e lui non rispose. Stette zitto per circa dieci minuti. Poi mi misi davanti a lui, lo fermai e lo abbracciai. Gli dissi ancora grazie, ma questa volta sussurrandoglielo nell'orecchio. Mi abbracciò anche lui però dolcemente. Ci staccammo l'uno dall'altra e riprendemmo a camminare verso la metro. Non parlammo molto durante il breve tragitto, più che altro ci guardavamo. Poi le nostre mani si avvicinarono e si strinsero a vicenda. E io mi misi a guardare il cielo per la prima volta in quella giornata. Il cielo era diventato di un bell'azzurro e c'erano sparse qua e là delle nuvolette. Mi ricordo che ripensai solo dopo che Michael era sceso dalla metro a quando aveva detto che ero la sua ragazza davanti a una banda. Non riuscivo a capire però quello che provavo io per lui. Lo amavo?

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