3 - TRENTA SECONDI

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Arianna abbassò la cornetta del cordless. «Le linee sono momentaneamente interrotte, dice il disco.»

Sebastian insisté :«Se non possiamo chiamare Vespucci, dobbiamo raggiungerlo.»

«Il mio prende!» esclamò Giancarlo. «Svelto, dammi il numero.»

«Con lei non parlerà.»

Giancarlo emise un ringhio e gli passò il cellulare.

Attesero, poi ascoltarono Sebastian intraprendere con lo scienziato una conversazione in francese. Pochi istanti e perse il segnale.

«Dobbiamo andare da lui. Non è lontano, vive al Palatino» si affrettò a dire.

Giancarlo aveva occhi cerchiati dallo stress.

«Lo vuole lo scoop? Mi aiuti a trovare il Palatino.»

Arianna osservò le finestre e percepì il ronzio che perdeva potenza. Stando a quel poco di francese che aveva tradotto disse: «L'entomologo ha consigliato di aspettare. Di uscire tra... quanto?»

Il francese perse colore, poi ammise: «Tre minuti. Ma come hai–».

«La casalinga del Tufello» ribatté lei, lanciando una frecciatina al suo capo. «Migliaia di mosche morte. Queste stanno per morire, dico bene?»

«State scherzando?» intervenne Giancarlo.

Il francese annuì. «Tre minuti e le strade saranno piene di mosche morte».

«Scendiamo ai garage, prendiamo la mia auto.» Giancarlo afferrò una Panasonic. «Questa non me la perdo. Saremo i primi a filmare la caduta delle mosche. E penso che intitolerò così l'articolo. Muoviamoci».

*

Giancarlo si rivolse ad Arianna: «Guida tu!» e le lanciò le chiavi. «Prendi questo» passò un telecomando al francese, «quando mancheranno trenta secondi alla morte delle mosche premi il pulsante, le serrande si apriranno. Dobbiamo cogliere l'attimo in cui cadranno dal cielo. Ma mi raccomando: non un secondo prima o ci assaliranno».

Si piazzò lato passeggero col finestrino abbassato e i gomiti fuori, pronto a filmare. Sebastian montò dietro, telecomando in mano e occhi puntati sul suo orologio: «Inizia il conto alla rovescia. Abbiamo un minuto».

Arianna accese il motore col cuore che pulsava in gola e le mani strette a morte al volante.

Il francese, dito fermo sul tasto, iniziò a contare: «Meno quattro, tre, due, ora!».

Arianna ingranò la marcia e le ruote striderono. La serranda iniziò a sollevarsi e subito sciami di mosche s'infilarono. Giancarlo puntò l'obiettivo e gridò: «Spero per voi che queste creperanno, perché tra venti secondi a crepare saremo noi!»

Arianna era diretta a tutto gas verso una coltre fitta, nera e viva. Avrebbe potuto finire la sua corsa contro qualunque ostacolo invisibile.

Appena fuori furono travolti. Allo scoperto il ronzio era assordante.

Arianna perse aderenza e sbandò. «Non la controllo più!»

«Frena!» urlò Sebastian.

Giancarlo era cosparso di mosche ma continuava a filmare.

L'auto carambolò. Ad ogni giro su se stessi, i tre intravidero coni di luce penetrare dal vetro.

Una pioggia di mosche precipitò a terra simultaneamente. Prive di peso, senza fare rumore.

Un improvviso silenzio li investì.

L'auto arrestò la carambola ma la testa di Arianna seguitava a girare. Quando un raggio di sole la colpì trovò la forza di osservare la scena. Sommersi da cumuli di sciami, avevano davanti una via del Corso deserta e macabra. Un cimitero d'insetti a cielo aperto.

Corpi a terra, forse svenuti, feriti. Buste, valige, moto, biciclette, c'era di tutto rovesciato sui sampietrini.

«Schivali» ordinò Giancarlo. «Vai verso il Palatino».

Arianna trasalì. «Dobbiamo aiutare quelle persone, non possiamo aggirarle».

«Sì che possiamo! Siamo giornalisti, non la croce rossa! Muoviti» e riprese a filmare.

«Ha ragione, vai» s'inserì Sebastian.

Mise in moto.

Guidare a cinque all'ora per evitare persone, oggetti, veicoli sopra strati scivolosi d'insetti morti era la cosa più terribile a cui Arianna si fosse mai sottoposta.

*

Eugenio Vespucci li ricevette in vestaglia, trascinandosi lento verso lo studiolo disseminato di tomi, dispense, tesine e lunghe teche in cui insetti che Arianna non seppe identificare vivevano indisturbati. Pare che fosse un grande amico del nonno di Sebastian, unica ragione che lo aveva spinto a farli entrare.

Vespucci si accostò a un vetrino estratto da un microscopio e mostrò i resti della mosca ai suoi ospiti. Parlò con voce bassa, quasi un sussurro: «Ho finito di analizzarla. L'ho raccolta nell'androne».

«Ci sa dire che succede, professore?» chiese Sebastian.

L'entomologo inforcò gli occhiali e osservò i tre giornalisti con espressione divertita. «Succede che sono morte. A milioni. Contemporaneamente in tutto il paese.»

«Potrebbe essere accaduto in altre parti del mondo?» chiese Arianna.

«No.»

«Come fa a dirlo?» replicò Giancarlo. «Se è stata colpa del clima–»

«Il clima non c'entra» intervenne Sebastian.

Giancarlo lo aggredì: «Ma che ne sai, te?».

«Cosa le ha uccise? Veleno? Radiazioni?» s'inserì Arianna.

Il professore avvicinò il vetrino ai tre. «Uccise? Proprio niente. Queste mosche si sono suicidate.»

«Non è possibile!» disse Sebastian.

Giancarlo mormorò: «Quindi è finita».

L'entomologo scosse la testa: «Direi che è appena cominciata».

Fu allora che il pavimento cominciò a tremare.

LIMITE INVALICABILEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora