Andando per il Camposanto

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Il cancello si aprì cigolando.
Gellert vi puntò la bacchetta contro, e dalla punta spuntò un getto di liquido scuro, che Albus intuì essere olio lubrificante.
Non disse niente a Gellert riguardo all'uso della magia: non lo avrebbe ascoltato, era troppo convinto delle sue idee per farlo.
E, in ogni caso, era troppo testardo.

Il cimitero era grande, e come tutti i luoghi di quel genere, deprimente. Albus non definiva mai quei luoghi "macabri", poiché un cimitero non poteva essere altro che questo, e quindi nelle descrizioni la cosa gli pareva superflua, inutile da specificare e ricordare, senza un senso logico che rendesse necessaria l'aggiunta di quest'unica parola.

Guardando il cimitero dall'alto, un qualsiasi mago su di una scopa avrebbe visto solo una distesa di pietre e di lapidi, con dei vialetti di sassolini grigi e austeri, che scricchiolavano sotto le suole delle scarpe e dividevano le tombe, come fossero barriere che separavano un mondo dall'altro, il nostro dal loro, quello dei vivi da quello dei morti.

Ogni tomba era solitaria e triste a modo suo, diversa da tutte le altre, come lo erano state in vita tutte le persone che ora le occupavano.
Uniche, in difetti e imperfezioni.
Uniche, in pregi e virtù.

Ogni volta che Albus entrava in quel posto, i ricordi gli tornavano a galla come spinti da una corrente impetuosa, che trasportava in superficie le sue memorie, le sue ferite, e allo stesso tempo trascinava Albus sul fondo di quel mare tempestoso che era la sua mente, fino ad andare giù e ancora più giù, fino ad arrivare al cuore, perforandolo, distruggendolo.

Nel cimitero non c'erano molte persone.

Per la maggior parte, erano Babbani venuti a portare fiori ai loro cari deceduti, ma alcuni erano maghi, e la cosa era evidente: vesti lunghe, mantelli, cappelli a punta.
Albus sapeva vestirsi da Babbano perché sua madre era, appunto, una strega Nata Babbana.

Gellert cominciò a girare tra le tombe, in cerca di una che pareva non trovare. Il tedesco si chiese se non avesse avuto una svista l'ultima volta che era stato là, poiché non era affatto sicuro di ciò che aveva visto. Non appena aveva letto il nome scritto su quella tomba, Gellert era corso a casa e aveva mandato la lettera ad Albus, ma lì non c'era più tornato.
Pessima mossa.

Gli sembrava di ricordare una tomba particolare vicino a quella che gli interessava, ma non riusciva a ricordarsi perché la ricordasse come "particolare".

Quando Gellert non si ricordava qualcosa, cercava di riprendere il filo di pensieri che aveva avuto prima di pensare a quella determinata cosa, e di seguirlo, passo passo, fino ad arrivare a quel pensiero. Questo funzionava con le domande, anche se non era sicuro che funzionasse per un ricordo, probabilmente, non legato in alcun modo al filo di pensieri precedente.

Girovagò ancora un po' tra le tombe, alla ricerca di quella particolare, molto più facile da individuare rispetto all'altra, che era più semplice.

Gellert si appoggiò per un attimo al muro del cimitero, cercando di orientarsi. Le tombe, notò, erano disposte in file un po' scoordinate. Alzò lo sguardo. C'erano tombe di un colore leggermente più scuro di un altro.

Si batté una mano sulla fronte, dandosi mentalmente dell'idiota, naturalmente in tedesco.

Le tombe di colore più scuro sembravano quasi allineate, a formare una riga. Non era una sola tomba che aveva attirato l'attenzione di Gellert, bensì la fila, che passava proprio accanto alla tomba di...
«Ignotus Peverell» sussurrò Gellert.
Alzò la voce. «Albus! Dove sei?»
«Quaggiù» rispose la voce di Albus, ma era una voce strana, velata.

Gellert si avvicinò all'amico, cercando di non fare troppo rumore. Le persone presenti nel cimitero avevano già guardato male Gellert prima, quando aveva chiamato Albus.
Non aveva voglia di farsi rimproverare.

Si mise di fianco ad Albus. Il ragazzo stava guardando una tomba. Sulla tomba era inciso, insieme alla data di nascita e di morte, il nome di colui, o meglio, di colei, che vi era sepolta.
Kendra Silente.

Gellert se l'era aspettato. Era per questo che gli aveva chiesto se voleva venire al cimitero con lui. Aveva sperato che Albus non rifiutasse, perché vedendo la tomba la motivazione del ragazzo si sarebbe rafforzata.

Albus era scuro in volto, il dolore scolpito nel viso. L'aveva nascosto a suo fratello, ma questo non significava certo che non esistesse.

Gellert fece la cosa più naturale da fare in questi casi: l'abbracciò.
«La rivedrai» gli sussurrò all'orecchio
«tornerà da te»
Si staccò da lui, gli diede una pacca sulla spalla e, tenendogli una mano dietro la schiena, lo guidò verso la tomba di Ignotus.

Si fermò lì davanti.
«Guarda» disse, indicando un punto della tomba «quello mi sembra il simbolo dei Doni della Morte»
Albus rimase a bocca aperta.
«Com'è possibile? Questo simbolo è ovviamente quello dei Doni della Morte, ma non riesco a capire come possa... A meno che...»
«A meno che» disse Gellert con un ghigno sul volto «chi è sepolto qua sotto non fosse uno dei Tre Fratelli»
Nessuno dei due parlò.
Erano entrambi troppo occupati ed eccitati, con le menti che viaggiavano su binari che solo persone intelligenti come loro potevano conoscere.

Dopo un po', Albus disse:
«Se questa è la tomba di uno dei Tre Fratelli, di quale pensi si tratti?»
«Credo che fosse quello del Mantello dell'Invisibilità» rispose Gellert.
«E gli altri? Sono qui anche loro?»
«No, non credo. Si sono divisi tutti, ricordi?»
«Sì, è vero» fece Albus. Guardò il suo orologio «È tardissimo! Guarda, sono già le 18:30! Com'è possibile che si sia fatto così tardi?»
«Tranquillo, Albus» fece Gellert, ridendo «se tuo fratello dovesse arrabbiarsi nel caso in cui tu torni tardi, puoi venire a casa mia e mandargli un gufo, avvisandolo che stasera dormi e ceni da me»
«Non so se sia il caso... È già tardi, e poi c'è da considerare Ariana...»
«Andiamo, Albus, sarà solo per una cena, per una volta! Non farai niente di male! Hai bisogno di distrarti, e poi, se vieni da me, Aberforth dovrà cucinare un piatto in meno. Ti ringrazierebbe, se, per una volta, potesse passare la serata da solo»

Albus sospirò.
«Non riuscirò a farti cambiare idea, vero?»
«Assolutamente no»
«E allora va bene» disse Albus, a malincuore «andiamo»

Così, si incamminarono verso la casa di Gellert e di Bathilda.

A Dangerous Friendship - Albus Silente e Gellert Grindelwald [DA RIVEDERE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora