1. Cambiamenti necessari

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Evan

Il concetto "devo fare qualcosa" per me non aveva un significato preciso. Infatti, se ci si pensa, è molto vaga come affermazione. La prima cosa che si fa in questi casi, è chiamare un'ambulanza. Assolutamente fuori questione, ci avrebbero scoperto. Io potevo fare qualcosa, ma se lo avessi fatto ci avrebbero trovato. Come prima, d'altronde.

Respirai profondamente per qualche secondo. Dovevo stare calmo, mia sorella stava rischiando la vita. Mi tolsi la maglietta e ne strappai un pezzo per fasciarle il braccio. L'unica cosa che potevo fare era portarla a casa e, purtroppo, chiamare l'unica persona che era in grado di aiutarla. La presi in braccio e camminai tra i girasoli, percorrendo la strada a ritroso, cercando di passare inosservato.

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Fortunatamente, io e mia sorella siamo sempre stati discreti a scegliere le case dove abitare. La nostra era abbastanza isolata, piccola e carina. Quando arrivai sull'uscio non notai nessuno in giro per la strada. Mi affrettai ad entrare e chiusi la porta alle mie spalle. Coricai Jessica sul divano e solo allora mi guardai allo specchio: un piccolo squarcio si apriva sotto il pettorale destro e finiva sopra gli addominali, ero pieno zeppo di lividi e altri graffietti insignificanti e della mia faccia non si poteva neanche parlare.

Presi il telefono e digitai velocemente il numero della persona che mi amava più o meno quanto la odiavo. Era la figlia del miglior medico della città ed era pure interessata a studiare medicina, perciò sapeva molte cose a riguardo: una grande fortuna per noi. Ormai era palese che a lei piacessi e facevo finta di niente ormai da settimane.
In realtà, neanche la odiavo, anzi, era simpatica e anche carina, ma per il bene di tutti era meglio che uno come me non stesse con nessun umano e nonostante lo ripetessi spesso a Jess, non mi ascoltava. Anzi, mi rimproverava dicendo che dopo tutto quello che avevamo passato per essere liberi, dovevo capire che amore e libertà avevano lo stesso valore, e che dovevo vivere la vita con entrambi. Ma la verità era che non ero ancora pronto per l'amore.

Io e Jessica frequentavamo entrambi l'ultimo anno di liceo, le stesse lezioni. Così eravamo avantaggiati, se uno dei due non capiva, l'altro lo aiutava. Lei è molto estroversa, le piace fare amicizia ed è molto dolce. Io sono tutto il contrario. Odio fare amicizia, nessuno mi potrebbe capire.

《Evan?》 Mi chiamò la voce proveniente dal telefono, togliendomi dai miei pensieri e dalle mie preoccupazioni.
《Olympe. Devi venire subito a casa mia. È urgente.》Dissi velocemente e in maniera fredda. Buttai giù la chiamata e posai il telefono sul mobile. Sinceramente, lei era una strana umana. Non mi ero affezionato a lei, ci avevo fatto attenzione. La trattavo spesso con sufficienza, ma lei sembrava non voler demordere sul voler passare del tempo con me. Quello che faceva, però, non aveva comunque senso. Era troppo determinata e... Strana, avevo constato alla fine. E se dicevo io che qualcuno era strano, dato chi ero, allora era vero.

Lanciai un'occhiata allo specchio attaccato al muro vicino alla TV (chi ha ammobiliato la casa doveva essere pazzo per mettere uno specchio in quella posizione) e mi guardai. Vidi qualcosa muoversi sulla mia spalla. Per poco non ebbi un infarto avvicinandomi veloce al mio riflesso. Mi girai un poco per guardarmi la schiena dove il mio tatuaggio a forma di ali si muoveva liberamente sulla mia pelle. Ci stavano trovando. Eravamo in pericolo. Imprecai mentalmente.

Un gemito strozzato mi fece sobbalzare nuovamente. Mi girai verso mia sorella, come se mi fossi appena ricordato che anche lei era lì.
《Evan... n-non possiamo più stare qui. Dobbiamo andare via.》
Stava guardando fissa il mio tatuaggio che sembrava impazzito. Spostò lentamente lo sguardo su di me. La paura che vedevo nei suoi occhi mi fece sprofondare il cuore nel petto.
《Ma Olympe... Sta venendo qui, deve curarti.》
Il suo sguardò si addolcì nel mio, vedendo la mia preoccupazione.
《Sai anche tu che siamo...in p-pericolo qui. Ormai ci hanno trovato- si mise a sedere a fatica- io mi s-materializzo e tu curi.》
La guardai, a fondo. Stavo studiando la sua situazione. Il suo occhio incominciava a gonfiarsi. Sopra le labbra si apriva un taglietto.

《Non credo tu abbia la forza di portare via entrambi, come non hai la forza di curarci. Cura solo te, ti porto in un posto sicuro.》
Le gambe mi cedevano sotto il mio peso. Sapevo che questo ultimo sforzo mi sarebbe costato un lungo sonno, oppure, nel caso più estremo, sarei morto. E lei sarebbe morta con me.

Lei continua a guardarmi. Dovevamo rischiare. Era l'unica possibilità per non rinunciare alla libertà. Lanciai uno sguardo al mio anello, bianco come la neve, poi guardai quello di Jessica, nero come il petrolio.

Le porsi la mano e lei l'afferrò per poi abbracciarmi. Chiusi gli occhi, concentrandomi. Le mie ali uscirono dalla pelle della schiena, aprendosi in tutta la loro larghezza. Un fascio di luce nera travolse me e la mia gemella, che aveva la faccia affondata nel mio collo. Il tempo di aprire gli occhi e ci ritrovammo su un prato. Urlai. Un dolore lancinante mi colpiva la schiena, dove in men che non si dica le mie ali si ritirarono in tatuaggio. Caddi a terra, sulle ginocchia. L'unica cosa che ricordo è mia sorella inginocchiarsi davanti a me, così da poter appoggiare la fronte alla mia.
Poi svenni.

Shared Souls: A New LifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora