7. Coach Yaxo è alquanto stravagante

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Evan

Rusty Ryder non la finisce mai di parlare. Il tragitto dal campo fino all'ufficio del Coach era molto breve, più o meno tre minuti, e se non vuoi passare questo tempo in silenzio, Ryder è la persona adatta. Beh, io non sono quel tipo di persona.
Stavo giusto per iniziare a prenderlo a calci, quando entrammo a scuola e Rusty mi guardò, continuando a camminare ma fermando la lingua.
Lo guardai perplesso, per poi guardarmi intorno. Subito, notai il Coach in fondo al corridoio. Non capivo perché fosse uscito dal suo ufficio invece di aspettarci là. Ci guardò e incrociò le braccia al petto, aspettando che noi lo raggiungessimo.
Appena arrivato davanti a lui, mi abbracciò come se mi conoscesse da anni. Non ricambiai, ero troppo sorpreso per un comportamento del genere di un adulto quando solo a un bambino sarebbe permesso.
Quando mi lasciò andare dopo quella che sembrava un'eternità, abbracciò velocemente anche il biondo al mio fianco. Lui sembrava tranquillo, roba da matti.
Dopo di che, si girò a passo svelto ma leggero e si diresse verso l'ufficio. Il capitano della squadra mi fece segno di seguirlo e così feci.
Arrivati dentro l'ufficio mi chiusi malvolentieri la porta alle spalle e mi sedetti su una delle due sedie davanti alla scrivania. Non sapevo il motivo per cui ce ne fossero perfettamente due, ma riuscii a dedurre che per ogni minima cosa, Rusty era obbligato all'ascolto. Sperai vivamente che lui restasse capitano a lungo.
《Allora, ragazzo... come hai detto che ti chiami?》
Il Coach mi sorrise incrociando le mani sopra la scrivania. Mi appoggiai allo schienale sospirando. In fondo, era colpa mia se ero seduto in quell'ufficio. E di mia sorella, a prescindere era anche colpa sua.
《Non l'ho detto. Mi chiamo Evan Parker e ho 17 anni, sono al penultimo anno.》
Risposi, cercando di tenere dentro di me tutta la voglia di uscire e andare in albergo. Il coach annuì, mentre lanciò uno sguardo complice al mio nuovo compagno di scuola. Anch'esso, riuscì a notare con la coda dell'occhio, aveva lanciato lo stesso sguardo al suo allenatore, per poi guardare me con un sorriso beffardo.
《Sarei molto grato se mi dicessi che idee hai per il tuo anno scolastico. Vuoi far parte della squadra?》
Aggrottai la fronte. Gli umani erano così strambi. Si emozionano per ogni minima cosa, ed è assurdo. Scossi la testa, ma subito dopo l'immagine nitida di mia sorella mi comparve nel cervello. Socchiusi gli occhi e lasciai andare un sospiro pesante. Lo avrei fatto per lei.
《E va bene, ok. Farò ogni cosa necessaria per la squadra.》
Incrociai le braccia al petto, la mia espressione con quasi un lieve velo di capriccio, come se avessi cinque anni. Strano a pensarlo, visto che ne avevo oltre duemila.
Il coach si alzò in piedi ululando, evidentemente felice. Incominciò a saltare esultando e devo dire che se io sembravo di cinque anni, lui sembrava di tre.
Per la fortuna della mia decimata dignità, Rusty si limitò a sorridere e battere una volta le mani una contro l'altra, poi sui braccioli della sedia ripetutamente, come suonasse la batteria. Mi guardò negli occhi e mi sentii strano. Una sensazione che non conoscevo affatto, o che almeno fino al quel momento avevo dimenticato. Ma la riconobbi lo stesso.
Felicità.
Ero felice. Ero felice perché avevo reso Ryder felice. Si vedeva chiaramente: aveva lo stesso sorriso rilassato, soddisfatto e luminoso. Lo stesso che avevano gli umani primordiali, Adamo ed Eva, ai tempi del Paradiso. In quel momento capì tutto sul ragazzo biondo davanti a me. Non mi era mai stato complicato leggere le vite delle altre persone (sapete, io vivevo nelle menti delle persone). Lui doveva essere normalmente molto triste, anche se cercava di non mostrarlo. Sul campo lo avevo visto ridere e scherzare, cercare di tirare su il morale degli altri. Ma a quel punto mi chiesi chi cercava di tirare su il morale a lui.
Un fitta di compassione mi travolse, altra sensazione vagamente sconosciuta per me. Ero certo della mia analisi. Ricambiai il suo sguardo, rimandendo impassibile, ma mi segnai mentalmente di chiedere ai gemelli della sua storia.
Ero curioso e questo aspetto di me non mi aveva mai dato fastidio. In fondo, la curiosità era la cosa che più mi legava a mia sorella, solo che nell'indagare io ero più discreto di lei. Al contrario, trovavo estremamente strano e di cattivo presagio sentirmi così felice in quel momento, non era da me, ma da mia sorella.
《Hey amico, sei diventato sordo in meno di cinque secondi?》
Mi riscossi e alzai nuovamente lo sguardo sul mio nuovo compagno di squadra. Non mi ero accorto del mio sguardo perso puntato sul muro dietro di lui.
《Riflettevo. Puoi ripetere?》
Dissi, lanciando un breve sguardo alla ricerca del Coach. Era sparito, forse era andato a esultare in uno spazio aperto, giusto per sfogarsi. Notai solo ora la targhetta sopra la scrivania.
'Coach Yaxo'
Tornai con lo sguardo sul mio capitano, roteando gli occhi. Quel cognome era estremamente penoso.
《Certo. Ho detto che domani potresti pranzare con me e la squadra. Potremmo parlare di tutti i dettagli, come il numero sulla tua maglia e così via. Ti informerò anche sugli allenamenti e sulle partite...》
Lo interruppi con un gesto della mano. Non mi andava affatto di pranzare con la gente che mi fissava male sul campo. Non avevo voglia di rogne.
《No. Dammi il tuo numero, stasera ti chiamo e chiariamo il tutto.》
Dissi seccato. Lo guardai a lungo, aveva un'espressione stranita. Decisi di alzarmi prima che potesse parlare, ma il mio tentativo di andarmene fu vano. Lui mi imitò e accennò un sorriso, battendomi una mano sulla spalla.
《Dai, Parker. Mica ti mangiamo. Se vuoi che gli altri ti passino la palla devi farteli amici. Sennò non giocherai e mi costringerai a metterti in panchina.》
Disse le ultime parole fingendo un tono triste e dispiaciuto, ma io non mi scomposi. Mi avviai verso la porta e arrivato allo stipite mi girai, guardandolo indifferente.
《Se non mi passate la palla, è un problema vostro. La prenderò anche a voi, se necessario.》
Alzai le spalle e mi diressi fuori, dietro di me nessun suono. Forse lo avevo offeso. Cosa che non mi interessava, fino ad un certo punto. Anche se, prima di sapere di più su di lui, avrei dovuto trattarlo con le pinze.

D'improvviso, la mia mente fluttuò alla ragazza dai capelli chiari, che era rimasta a guardare tutto l'allenamento insieme a Jessica. L'avevo studiata a lungo in quella occasione. Ero stato ben attento a non farmi notare da nessuno mentre la guardavo, ma avevo notato un ragazzo sul campo guardarmi poi in modo truce. Un certo Brown, forse, ma nuovamente la cosa non mi interessava: non avevo smesso di guaraldarla. E anche lei mi guardava, spesso, ma avevo deciso che era meglio per entrambi non far incrociare mai i nostri sguardi. Sentivo una sensazione troppo strana nei suoi confronti, sentivo che lei mi avrebbe portato guai, come lo avevo sentito con Ethan.

Un sospiro uscì dalle mie labbra e chiusi qualche secondo gli occhi. Odiavo le situazioni di questo genere, i miei pensieri rivolti a un ragazzino morto.
Ma quando riaprii gli occhi feci un salto all'indietro e quasi mi soffocati con la mia stessa saliva. La sagoma di quel ragazzino si era proiettata a qualche metro da me, l'espressione dura anche se indefinita. Era lui. Ethan Marcus Jones era comparso avanti a me ed era impossibile. Le mani mi iniziarono a tremare lievemente lungo i fianchi finché non scorsi uno strano sorriso sul suo viso. Un sorriso di vendetta, cattivo. Sperai che fosse solo una visione, così sbattei le palpebre più volte. Poi puff, difatto, lui era sparito, come sabbia al vento. Tirai un sospiro di sollievo, finché non mi accasciai contro il muro del corridoio.

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