7. Quell'attimo

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A chi si lascia accompagnare.

***

Uno sguardo che rompe il silenzio
Uno sguardo ha detto ciò che penso
Uno, uno sguardo.

(Stop! Dimentica,
Tiziano Ferro)

Ama camminare da solo per le strade che non conosce, perché lo fa sentire libero. Quando esce con gli amici fa attenzione alla velocità del passo, restando sempre ad una distanza che gli avrebbe permesso di scappare, se qualcosa lo avesse spinto ad andare via. Un po' più indietro, un po' più avanti. Per poter guardare avanti, per potersi fare guidare o per la convinzione di poter proseguire anche da solo, per poter guardare meglio. «Perché non ti avvicini?» gli chiedono sempre, e lui non sa rispondere, o forse non vuole. "Mi piace camminare da solo." pensa, ma non lo dice mai. Per non ferire chi.

Ma Paolo questa sera lo sa che è uno di quei momenti in cui ha bisogno di stare solo con se stesso, e di rilassarsi. Forse per l'ansia rimasta dopo il lungo viaggio.

Allora, appena lo vede uscire dal bagno con un asciugamano stretto in vita, segno di essere appena uscito dalla doccia, gli dice: «Clà, io sono stanco...ma se tu vuoi farti un giro fa' pure. Magari potresti chiedere a qualcuno di Roma un posto che potremmo visitare domani, io e te!», ed è suonato più come un permesso o anche come una scusa stupida, piuttosto che come un consiglio. Claudio se ne accorge, ma decide di far finta di nulla. E poi sorride, come a dire "Grazie". Si veste ed esce dal B&B che li avrebbe ospitati per una settimana.

Paolo durante gli anni ha imparato a conoscerlo meglio di chiunque altro, ed una volta - quando gli aveva fatto notare di questa sua abitudine nel voler camminare da solo - l'aveva preso in giro, dicendogli che forse, per poter sfogare quell'irrefrenabile voglia, avrebbe dovuto cercare un vasto prato verde, e camminarci sopra ogni giorno, fino a quando non gli fosse passata. Erano scoppiati a ridere, ed era nata la definizione di "momenti verdi", ovvero quei momenti in cui Claudio avrebbe preferito un prato verde sotto i piedi piuttosto che una persona al suo fianco.

Ed è così che si giustifica il ragazzo che stasera - per confondersi col nero della notte - ha deciso di vestirsi interamente dello stesso colore: «È uno dei miei momenti verdi».

E alle volte si crede pazzo, ma gli va bene lo stesso.

Senza rendersene conto ha velocizzato il passo più del solito ed è arrivato davvero sopra un prato di cui - però - non conosce minimamente il nome.

Il passo che ora viene interrotto dal contatto di una sua scarpa con una bottiglietta di profumo.

Claudio per istinto la prende, e cerca la persona alla quale è caduta.

Si gira intorno, un po' per cercare qualcuno, un po' per capire quanto sia lontano dall'hotel.

Poi all'improvviso una panchina con sopra un uomo che - illuminato dalla Luna - sembra volersi abbracciare da solo, e il suono di un pianto solitario di chi non vive da tempo.

E Claudio segue l'istinto quando decide di avvicinarsi a quel suono dopo aver messo in una tasca quella bottiglietta.

Gli porge una mano che prepotente vuol essere notata.

«Ciao...Claudio.», quasi sussurra.

«Mario, piacere.»

Non ci è data sapere l'espressione del ragazzo su quella panchina, perché il veronese non riesce a smettere di guardare i suoi occhi, mentre le due mani si stringono.

«Posso sedermi?» gli chiede impacciato, e non aspetta la risposta prima di avvicinarsi al ragazzo dai colori scuri. Quasi si convince di non averlo disturbato, perché - secondo lui - chi piange deve avere sempre un motivo per smettere. Che, in questo caso, porta il suo nome.

«Sì, puoi.» gli risponde Mario, quando ormai se lo trova vicino.

«Sei di Roma? Non ti ho mai visto prima.» gli chiede, sganciandosi le gambe dal petto e assumendo una posizione sicura.

«No, di Verona. Come fai a conoscere tutte le persone di questa città?» gli chiede stranito, pensava avesse riconosciuto la diversità dell'accento, e invece.

«Tutte no, ma la maggior parte.» si ferma a guardarlo, poi riprende «Esco spesso.»

«Sempre a quest'ora?»

«Sì, sempre a quest'ora.»

Allora Claudio d'istinto rivolge uno sguardo al suo orologio, che segna le undici di sera.

«Tu, piuttosto, perché sei qui a Roma, da solo...a quest'ora?» gli chiede il - presunto - romano.

«Volevo farmi un giro. E no, non sono solo, c'è mio fratello che mi aspetta in hotel.»

«Ah, ok.»

Se avesse dovuto descrivere il suo stato d'animo, Claudio avrebbe sicuramente risposto: "Tranquillo, ma con un po' d'imbarazzo".

Imbarazzo involontario, che ora cerca di cancellare rompendo - per la seconda volta in quella seria - il silenzio.

«Sei di Roma, tu?»

«Sono nato ad Anzio, ma ormai vivo qui da quando...da tanto tempo. Perché?»

«Io e mio fratello Paolo siamo arrivati oggi qui, e domani vorremmo visitare Roma, ecco...»

«Potreste visitare il museo, è molto bello.»

Ed avevano continuato a parlarsi, e a guardarsi come si guarda qualcosa di proibito. Avevano parlato di tutto quello su cui puoi parlare una sera di agosto ad una persona che conosci da tempo. Perché così era sembrato ad entrambi.

Il lavoro, le passioni. Ed avevano riso, riso di cuore, nonostante quegli occhi neri non ne sembravano capaci.

«Mi sa che è ora di tornare a casa.», aveva detto Mario quando le lancette del suo orologio segnavano le due di notte.

«Dovrei tornare anch'io, Paolo sarà preoccupatissimo!»

Si alza velocemente, anche se controvoglia.

«Devo andare...» dice tristemente, e lo guarda annuire e salutarlo con una stretta di mano, che - però - sapeva d'arrivederci.

E Mario per la prima volta sente di voler sapere l'unica cosa che questa notte non ha avuto il coraggio di chiedere.

«Claudio, la sai la strada per tornare?»

Il veronese sembra rifletterci, con la paura di aver pensato ad alta voce.

«Penso di...no, penso proprio di no.»

«Ricordi come si chiama l'hotel?»

«Sì, certo.»

«Ti accompagno.»

E si erano salutati di nuovo, sulle scale di un B&B, sorridendosi.

E Claudio ancora non riesce a dormire ripensando a quel saluto, a quel sorriso, alle parole dette su quella panchina.

Non riesce a chiudere occhio, perché nonostante le tante parole, non è riuscito a chiedergli il vero motivo per il quale si trovasse lì, solo.

Nonostante le tante parole, non è riuscito a chiedergli il vero motivo per il quale l'immagine delle loro mani strette gli ricorda qualcosa. Qualcosa che disegnava da bambino, quando la speranza di poter trovare un posto nel mondo, sembrava più forte di qualsiasi altro dolore.

Ed ora, nell'attimo prima di addormentarsi, gli sfiora l'idea che quel posto l'abbia visto coi suoi occhi.

Pensa di aver visto per la prima volta quella casa grande tra un prato verde e un cielo blu.

Ed ora, sempre in quell'attimo, decide che domani potrebbe scegliere di camminare vicino a qualcuno.

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