Capitolo 6

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"Comunque andareAnche quando ti senti morirePer non restare a fare nienteAspettando la fineAndare, perché ferma non sai stareTi ostinerai a cercare la luce Sul fondo delle cose"POV SERENA


Era strano trovarsi alla sede dell'FBI di Quantico. Pensare a mio padre che percorreva tutti i giorni quei corridoi avanti e indietro; era quella la cosa che lo aveva visto sempre, ogni giorno presente, ligio al proprio dovere. Mi faceva sentire strana. Ricordo di esserci venuta ancora con mamma, ma da allora erano passati anni eppure non sembrava cambiato nulla.

Ero seduta nella stanza usata di solito per gli interrogatori, ignoravo perché mi avessero portata qui. Dopo aver conosciuto gli agenti Rossi e Morgan, il più anziano aveva chiesto alla ragazza di nome Emily di accompagnarmi qui, così avremmo potuto fare quattro chiacchiere senza essere disturbati. Saranno passati una decida di minuti quando l'uomo mi degnò della sua presenza. I cinquant'anni li aveva superati di sicuro, i sessanta? Probabile, ma non ci avrei scommesso. Aveva un modo di fare galante, si vedeva che era abituato a stare insieme alle persone e amava conversare. Lui faceva in modo che la gente si fidasse di lui per avere le informazioni di cui aveva bisogno, l'esatto contrario di mio padre. Freddo e distante, la sua fiducia andava guadagnata. Non lo biasimavo, anche io ero fatta così sebbene avessi dei comportamenti più espressivi ereditati da mia madre. Non concedevo a tutti la mia fiducia, ma mi ritenevo una ragazza molto socievole.
Come capii tutte quelle cose sull'agente Rossi?
Dal modo in cui mi guardò: da padre affettuoso; dal modo in cui mi sorrise: cortese e rassicurante; dal suo modo di muoversi: raffinato ma spontaneo; dalla sua premura...

-Scusa se ti ho fatto aspettare, ma è stata una mattinata piuttosto intensa e avevo proprio bisogno di una bella tazza di caffè. Spero non ti dispiaccia, ne ho preso uno anche per te. Non dirmi che non lo bevi.- il suo fare scherzoso mi fece sorridere, era di sicuro un buon metodo per allentare la tensione. Avevo infatti avuto modo, durante il viaggio verso Quantico, di pensare a quello che mi sarei dovuta aspettare da questa avventura e, dovevo ammetterlo, la cosa un po' mi preoccupava. Non sempre si ha voglia di confrontarsi con il proprio passato.

-Sì, grazie. È stato molto gentile.-

-Ma ti pare, per così poco.- prese posto sulla sedia di fronte a me, le braccia sopra al tavolo, le dita delle mani intrecciate in una posizione a lui naturale. Era più forte di me, non riuscivo a non analizzarne i movimenti, le espressioni. Mi capitava praticamente con tutti. Lui poi sapevo essere il secondo agente in comando dopo mio padre, probabilmente lo conosceva persino meglio di me, ovvio che provassi un profondo interesse nei suoi confronti. Così come anche negli altri colleghi del team.
Avevo le gambe accavallate con nonchalance di lato, le mani appoggiate in grembo in una postura rilassata e lo guardavo simulando la più completa tranquillità. Era giunto il momento di rompere il ghiaccio.

-Pensavo di essere qui per dare una mano, non come sospettata.- dissi sorridendo a mo' di battuta, facendo tuttavia vagare lo sguardo per la stanza, in modo che l'agente capisse il significato delle mie parole.

-Infatti è così.- confermò lui.

-E, mi dica, c'è qualcuno oltre il vetro?- domandai, indicando con un cenno del capo il vetro nero oltre le sue spalle, dove sapevo esserci una stanza per ascoltare gli interrogatori senza essere visti e sentiti.

-No, siamo solo noi. Ho pensato che avresti preferito fare quattro chiacchiere in privato piuttosto che sotto gli occhi di tutti.- rispose con calma, gli occhi stretti sapevo mi stavano studiando. Mi aveva detto la verità, in caso contrario non mi avrebbe fornito alcuna spiegazione.

Hotch invisible to his DaughterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora