Capitolo 15

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  BAU TEAM

I colleghi assistettero alla scena via video, inorriditi, impotenti. Prentiss si portò le mani alla bocca. Lei sapeva cosa voleva dire provare dolore fisico e il suo capo in tutte quelle ore ne aveva già vissuto troppo. Sperò ardentemente che non fosse grave, in tal caso, il tempo a loro disposizione diminuiva esponenzialmente.

Derek mandò tutto al diavolo in un gesto adirato. Aggirando il suv, puntò verso il capannone.

-Morgan! Che stai facendo?- gli urlò dietro Emily.

-Voi fate quello che volete, io entro!- tagliò corto il moro, senza nemmeno voltarsi a guardarli. Fu David a intervenire, afferrandolo per un braccio. Derek si girò di scatto, liberandosi dalla presa del collega. –Non provarci Rossi!-

-Morgan, so bene come ti senti. Ma se entri là dentro adesso rischierai di far ammazzare Hotch, Serena e anche te.- rispose il più anziano, tentando di farlo ragionare. Derek scosse la testa, rifiutando il fatto che l'unica cosa da fare fosse stare ad aspettare.

-Li ammazzerà comunque.- ci riprovò.

-Può darsi, ma ricordati che Serena ha un piano, finchè quello non va a monte è meglio attenerci al nostro ruolo.- lo convinse Rossi. L'altro sbuffò contrariato, prima di tornare al suo posto.

-Beh, allora speriamo si sbrighi. Ad Hotch non rimane più molto tempo.-

I due non risposero a quell'affermazione, ma sapevano che aveva ragione.


-No! No, non è possibile! Non può essere! Ditemi che è un incubo!- iniziò a dire concitatamente Penelope, agitandosi sulla sua poltrona girevole, lo sguardo fisso sui monitor che riportavano quella macabra scena. Lo avevano visto tutti. L'S.I. aveva sferrato un violento colpo all'addome del loro capo. Hotch si era piegato in avanti per quel tanto che i lacci con cui era legato gli permettevano. Sul suo viso un'espressione di puro stupore mescolata ad un intenso dolore, mentre tentava con la bocca socchiusa di respirare, sempre che ricordasse come si faceva.

JJ si era portata le mani al viso, per poi stringersi le braccia in un abbraccio solitario, mentre le dita arpionavano nervosamente le maniche della sua giacca. Si era morsa il labbro così tante volte, con così tanta forza, che temeva presto o tardi si sarebbe messo a sanguinare. Detestava vedere i propri compagni in difficoltà, ben sapendo che non avrebbe potuto essere di alcun aiuto, considerando il fatto che quasi sempre toccava a lei rimanere in centrale per risolvere le questioni burocratiche. Aveva visto la consapevolezza di quanto stava per succedere sul volto del proprio capo troppo tardi, così come non le era sfuggito lo slancio in avanti di Serena, legata ad una sedia. Poteva solo immaginare cosa stessero passando i suoi colleghi in quel momento. Soprattutto Hotch. Serena era ancora piccola quando erano morti Haley e Jack, ma Hotch...nessuno poteva sapere esattamente cosa avesse passato in quelle ore, a come avrebbe reagito se l'S.I. avesse veramente portato a termine il proprio piano di uccidere Serena. –Non lo è purtroppo.-

Spencer deglutì in silenzio. Le braccia incrociate davanti al petto ebbero un sussulto e andarono a circondarsi maggiormente il torso. Non sapeva quale sarebbe stata la cosa più giusta da fare in quel momento: dire qualcosa, non dire niente, chiamare Morgan per avere un consiglio, un sostegno...lui di sicuro avrebbe saputo cosa fare. Era rimasto a bocca aperta, terrorizzato nel momento in cui McGrant aveva pugnalato Hotch. Aveva ragione Garcia, non poteva star succedendo veramente, non doveva. Hotch non era solo un capo per loro, come loro non erano solo colleghi. Erano una famiglia e Hotch ne aveva assunto per modo di dire il ruolo di padre. Li rimproverava, li difendeva, per loro c'era sempre. Ma adesso...adesso che era lui ad avere bisogno di loro, erano tutti un po' smarriti. L'unica cosa che potevano fare per non crollare era sostenersi l'un l'altro.

-Andrà bene! Deve andare tutto bene. Vedrete che torneranno tutti a casa.- non sapeva dove aveva trovato il coraggio per dirlo, ma lo aveva fatto.

Le due donne non dissero nulla, avevano bisogno di sentirselo dire, poiché era pur sempre qualcosa a cui aggrapparsi. Spencer allungò una mano, posandola sulla spalla di JJ; aveva visto che stava piangendo, sebbene non avesse fatto nulla per farlo notare. JJ non si girò a guardarlo, ma pose una mano su quella di lui, apprezzando quel muto incoraggiamento. In fin dei conti non era ancora finita.


POV SERENA

L'aria immagazzinata nei miei polmoni era stata espulsa tutta insieme, con l'effetto dello scoppio di una bomba. Un grido che mi aveva graffiato la gola. Ma non poteva importarmene di meno, non era nulla rispetto al dolore che stava provando mio padre. Per un istante avevo mandato tutto al diavolo: fanculo la copertura, fanculo il piano, solo quel bastardo doveva allontanarsi da mio padre, solo qualcuno doveva chiamare una stramaledetta ambulanza.

Avevo udito chiaramente il respiro di mio padre spezzarsi a metà nell'esatto momento in cui la lama del coltello era penetrata nella carne. La sua espressione confusa, non sapendo come controllare tutte quelle emozioni insieme: stupore per non esserselo aspettato, paura delle conseguenze che quell'azione avrebbe portato, dolore che poco alla volta andava propagandosi per tutto il suo corpo come un'eco.

Avrei dato qualunque cosa per andare da lui, per aiutarlo; le corde che mi legavano i polsi non mi erano mai sembrate strette e ruvide come in quel momento. Il busto proteso in avanti, come se anche io fossi stata colpita a tradimento, mentre tenevo gli occhi fissi su quella scena, incapace di distoglierli. Stavo correndo il rischio di far saltare al copertura? Probabile. Ma in quel momento questa domanda quanta importanza aveva? Non avrei saputo dirlo. Ci avrei pensato a tempo debito.

Con una calma ed una crudeltà strazianti, l'S.I. estrasse il coltello dal fianco di mio padre. Quest'ultimo emise un gemito rauco, cercando di restare calmo e continuare a respirare, per evitare una perdita maggiore di sangue. La sua camicia bianca sporca di polvere e alcune precedenti goccioline di sangue, adesso poteva vantare una grossa macchia cremisi che poco alla volta andava allargandosi. No, non era così che doveva andare. Dovevo mettere alla svelta in atto il mio piano se non volevo che mio padre morisse dissanguato.

Mi accorsi dopo un po' che McGrant mi stava osservando con fare tranquillo, valutandomi. Merda!

-Cosa c'è?- mi irrigidii quando si avvicinò di un paio di passi –In fin dei conti pensavo che tu fossi qui per punirlo.-...-O mi sbagliavo?- assottigliò lo sguardo.

Potevo ancora farcela, dovevo solo giocarmela bene con le ultime carte che mi rimanevano. Recuperai velocemente un contegno distaccato: raddrizzai la schiena, mi schiarii la voce e lo guardai dritto negli occhi come se nulla fosse.

-In effetti ci sono rimasta un po' male.- pausa ad effetto, mentre la sua espressione divenne una muta domanda –Avevo capito che sarei stata qui perché venisse punito, ma pensavo sarei stata io a farlo.- il mio tono lasciava trapelare tutta la mia indignazione. –O mi sbaglio?- non potevo lasciare che mi fissasse così a lungo senza dire nulla, dovevo accelerare i tempi. McGrant sorrise.

-No, non sbagli. E sentiamo, cosa ti piacerebbe fargli?- ottimo, si stava rilassando e questo significava che stava anche abbassando la guardia.

-Beh...considerando che è un esperto profiler, o almeno questo è quello che si ritiene di essere, direi che un po' di dolore psicologico ci sarebbe stato bene. Per poi proseguire con un po' di dolore fisico.- se qualcuno ci avesse sentito avrebbe potuto benissimo pensare che si trattasse di una sessione d'esame; solo che, in questo caso, era lo studente a condurre l'interrogazione. –Per questo avrei aspettato a pugnalarlo.-

McGrant mi guardava interessato, grattandosi il mento, probabilmente curioso di sapere cosa la mia mente più nera fosse stata in grado di partorire –Continua.-

Perfetto, era giunto il momento di mettere in atto il mio piano.

-Come ben sai, visto che sicuramente mi avrai perquisita, io ho in tasca due oggetti. Banali, certo. Ma fidati, talmente significativi per "quest'uomo" a tal punto da far crollare la sua psiche.- non guardai mai mio padre negli occhi mentre parlavo, non solo perché non volevo vedere il dolore che stavo continuando a causargli, ma anche perché altrimenti avrei perso il filo del discorso, mandando tutto a monte. Dovevo pensare che lo facevo solo per il suo bene.

L'S.I. si mise a ridere in modo chiassoso, quasi avessi raccontato una barzelletta divertentissima.

-Sai, non avrei mai immaginato l'agente Aaron Hotchner capace di legarsi a dei giocattoli.- e rise ancora.

-Sì, in effetti è divertente. Ora, considerando che l'hai pugnalato e sicuramente gli avrai inflitto altre dolorose torture prima del mio arrivo, che ne dici di slegarmi, così che anche io possa attuare il mio piano, prima di ucciderlo?- mai avrei pensato di poter risultare così minacciosa in vita mia, potevo quasi avere paura di me stessa.

Sebbene non lo avessi degnato di uno sguardo per tutto il tempo di quella conversazione, non mi era sfuggito il movimento del capo di mio padre nella mia direzione, quando l'S.I. aveva detto la parola "oggetti". Potevo facilmente immaginare gli ingranaggi della sua acuta mente mettersi in moto per capire di cosa potesse trattarsi. Bisognoso di comprendere cosa stesse succedendo. E non potevo biasimarlo.

L'S.I. nel frattempo rifletteva, soppesando le mie parole, le mie espressioni, tentando di capire se poteva fidarsi di me. La verità era che moriva dalla voglia di soddisfare la sua macabra fantasia: io che facevo del male a mio padre. Per questo non l'aveva ancora ucciso, l'unica cosa che lo tratteneva era quel briciolo di ragione che lo aveva spinto sia a perquisirmi che a legarmi; ma non sarebbe durato ancora a lungo. Il conto alla rovescia per lui era iniziato nel momento in cui aveva rapito mio padre.

-D'accordo.-

Una sola parola. Insicura. Aveva ceduto, ma era ancora titubante perciò dovevo stare attenta; poteva ancora ripensarci. Con sguardo serio mi aggirò, iniziando a trafficare con le corde che mi legavano i polsi. Quando ebbe finito si allontanò, rimanendo a debita distanza da me e mio padre, il coltello davanti a sé a fargli da scudo, quasi fossimo due cani randagi pronti a rivoltarglisi contro. Prima di alzarmi mi massaggiai i polsi doloranti, più tardi avrei dovuto essere agile nei movimenti se non volevo farmi sopraffare dall'S.I.. Tanto sapevo che quest'ultimo avrebbe interpretato quel gesto come un modo per prolungare l'agonia di mio padre. Alzai la testa. Adesso potevo anche guardarlo. Feci fatica a respirare. Era pallido, segno che stava perdendo molto sangue, eppure i suoi occhi sembravano immuni a quel dolore: caldi, brillanti, vivi, come sempre. Era forte il mio papà, un supereroe, nessuno poteva piegarlo. Avrebbe potuto essere sconfitto. Ma non era quello il giorno.

-Serena...- rimasi ferma al mio posto, in piedi davanti a lui –Ti prego, non farlo.-

Lo pregai mentalmente di perdonarmi per quello che stavo per fare, ma era necessario. Mi avvicinai a lui con passo lento, lasciando che l'attesa logorasse lui e inibisse l'S.I., abbastanza da portarlo completamente dalla mia parte. Mio padre non mi staccò mai gli occhi di dosso, come se, qualunque cosa fosse successa, l'ultimo sguardo che voleva vedere fosse il mio. Mi accucciai davanti a lui e appoggiai le due coroncine sulle sue ginocchia. Le nostre coroncine. Quelle del re e della regina. Finalmente riuniti.

In quel momento un rumore ritmico, come quello di un motore, si fece mano a mano sempre più forte. Garcia aveva rispettato i tempi "Ottimo lavoro ragazza strana!".

-Che diavolo sta succedendo?- sbraitò l'S.I., lo sguardo rivolto verso il soffitto, ancora ignaro che si trattasse dell'elicottero dell'F.B.I.. Negli occhi marroni di mio padre vidi installarsi il dubbio, ora potevo anche smettere di fingere.

-Te lo ricordi? Ce lo siamo promesso.- bisbigliai velocemente, indicandogli le due corone ancora sulle sue ginocchia. Sapevo avrebbe capito subito, ma dopo quello che era successo e che avevo detto, era abbastanza palese che necessitasse di qualche altra prova. E questa era in arrivo assieme all'elicottero. Una musica, non una qualunque, squarciò il cielo sopra il granaio:

"Rimanderò tutto a domani
Sono di carta tutti gli aeroplani
Sei tu il mio re, io la tua regina.
In un'eterna Roma.
Ehh, all'aria tutti i piani
Riavviciniamo i sogni più lontani
E tu lo sai, che non c'è segreto
Per vivere a colori..."

E ne fui certa, in quel momento mio padre capì tutto.

Fu proprio l'S.I. a riportarci brutalmente alla realtà, con il culo per terra.

-Che cosa significa tutto questo?- il volto era paonazzo di rabbia, i suoi occhi mandavano lampi. Mi alzai in piedi, fronteggiandolo, finalmente libera di mostrare le mie vere intenzioni.

-Significa che non permetterò a nessuno di fare del male a mio padre. E che tu hai perso.-

Era scioccato, letteralmente, allibito. Troppo preso dalle sue voglie da non aver notato i segni dell'inganno che mi avevano circondata sin dall'inizio. Mai fidarsi degli sconosciuti. Prima che potesse fare ordine nella sua mente e prendere l'iniziativa, agii. Quello era il segnale, sentendo la musica i miei colleghi sarebbero accorsi in mio aiuto, dovevo solo resistere fino al loro arrivo. Perché non gli avevo svelato della canzone? Perché lo avrebbero ritenuto un piano stupido, cose che succedono solo nei film; ma loro non potevano sapere l'importanza che c'era dietro quella canzone per me e mio padre, per non contare la componente psicologica dell'S.I..

Tirai un calcio mirato alla mano che ancora teneva il coltello, facendoglielo sfuggire di mano. Come risvegliatosi da un sogno McGrant tentò di reagire, cercando la pistola agganciata alla cintura dei pantaloni. Dovevo spostarmi da lì, rischiavo che mio padre venisse colpito. Lo colpii con un altro calcio al torace e uno in piena faccia, roteando su me stessa. L'S.I. mi afferrò la caviglia, trascinandomi con lui al suolo. Fortunatamente, poco distante da me c'era il coltello. Non ebbi dubbi su cosa fare. Lo afferrai e lo lanciai dritto contro di lui. Nello stesso momento in cui il coltello lasciò la mia mano, vidi la canna della pistola puntata contro di me...e fare fuoco.

e fare fuoco

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