Capitolo 12

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POV HOTCH


Tutto era distorto e confuso. Riuscii a sollevare le palpebre in due misere fessure, non ero in grado di fare di meglio. Questa volta l'S.I. si era divertito più del solito, accanendosi su di me con il Taser. Potevo ancora sentire le scariche percorrermi i muscoli, facendomi tremare sul posto in maniera lieve, ma incontrollabile. Gli arti erano diventati solo un mio prolungamento, come il dolore era diventato parte di me. Non mi ero ancora arreso, ma questa agonia stava assumendo tratti decisamente soffocanti, come il fumo che ti scende nei polmoni quando ti trovi bloccato in un incendio. Non riuscivo ad emettere alcun suono, la gola mi pareva graffiata dall'interno; non ne sarei rimasto stupito visto tutto il sangue che il mio aguzzino mi aveva fatto sputare. La vista era leggermente distorta, la luce sul soffitto rendeva tutto della stessa consistenza dei miraggi. Vedevo un'ombra muoversi davanti a me e ne dedussi che dovesse trattarsi di lui. Concentrai quelle pochissime forze recuperate per tentare almeno di capire cosa stesse succedendo. Le parole erano ovattate, distanti, non riuscivo a metterle a fuoco. Più mi sforzavo meno ce la facevo. Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi dalla frustrazione, ma non permisi a nessuna di rigarmi il volto, non ancora. Dovevo stare calmo e avere pazienza, non mi aveva ferito gravemente, quelli erano solo i sintomi delle torture subite, sarebbero passati. Non ci voleva un genio per capire con chi stesse parlando, non avrebbe mai acconsentito a rivelare informazioni a qualcuno che non fosse lei. Deglutii con fatica mentre la immaginavo in piedi dall'altra parte della cornetta. Strinsi gli occhi in una muta preghiera: che non accettasse. Che mandasse a quel paese le sue condizioni, che semplicemente gli dicesse che non aveva alcuna intenzione di vedere l'uomo che l'aveva abbandonata per tutti quegli anni.

Eppure, mentre quelle parole si tramutavano in immagini nella mia mente e il cuore me lo sentivo spezzarsi nel petto senza fare alcun rumore, seppi che le cose non sarebbero andate così. Lei avrebbe accettato le sue condizioni. Lei sarebbe venuta. Mi ritrovai a chiedermi per la milionesima volta perché e ancora non riuscii a darmi una risposta. Davvero voleva uccidermi?
Non lo credevo possibile. Non la mia bambina.

-Verrai da sola e disarmata.- la realtà mi colpì con violenza, come un televisore che viene riacceso dopo essere stato a lungo messo in pausa, così come la voce dell'S.I..

-Disarmata? Pensavo di dovergliela far pagare.- la voce era leggermente distorta dal vivavoce, ma la durezza di quelle parole no, quella era autentica. Tanto da mandarmi un lungo brivido giù per la schiena. L'uomo che parlava con lei rise sinceramente divertito.

-Non ce ne sarà bisogno ma-petite. Ti fornirò io tutto ciò di cui avrai bisogno.- la sua voce era quella di un adulatore che sa come incantare la propria vittima. Mentre mi perdevo nuovamente nelle mie riflessioni, cosa che ultimamente in quella prigione mi capitava spesso, mi persi parte delle indicazioni che le stava fornendo per raggiungerci. Almeno avrei potuto capire dove mi aveva portato. –Esci dalla strada principale e continua per una ventina di chilometri tra i campi. Ad un certo punto troverai delle vecchie baracche abbandonate, una sorta di granaio a due piani è il nostro rifugio.-

-Ho capito.- la sua voce era così fredda e distante, non la ricordavo così. Momento di silenzio.

-Sei sicura di volerlo fare Serena?-

-Sicurissima.- veloce e precisa come lo schiocco di una frusta.

-Non mi stai ingannando, vero?-

-Assolutamente. Anzi, forse quando ci incontreremo ti ringrazierò per quest'opportunità.-

-Bene. Anche perché in caso contrario ucciderò anche te.- altro momento di silenzio.

-Ci vediamo tra poco allora.-

Hotch invisible to his DaughterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora